sabato 6 maggio 2017

Tommaso Romano, "Elogio della Distinzione" (Ed. Thule)

di Pier Felice degli Uberti

Conosco Tommaso Romano dalla fine degli anni ‘70 del secolo scorso, e già allora trasparivano i prodromi e lo svettare della sua profonda formazione culturale acquisita anche con la laurea in filosofia e pedagogia e la specializzazione in sociologia. Ho assistito alla fondazione di una particolare casa editrice, la Thule di Palermo, con un catalogo dei più svariati argomenti della tradizione difficilmente reperibile altrove, seguito da un impegno civico- politico che lo vide consigliere provinciale di Palermo nel 1990, poi assessore alla cultura della Provincia sino ad arrivare alla vice-presidenza e poi ancora assessore comunale alla Cultura della città di Palermo. Filosofo, letterato, antropologo, autore di saggi, raccolte ed interventi, ma anche poeta, ora ha dato alle stampe l’Elogio della Distinzione. Così si esprime l’autore nella Premessa: «Come è attitudine e desiderio dell’Autore di queste note, si è scelto di trattare ancora una volta un tema nodale, la Distinzione, tessendone l’Elogio. Certo, un libro come questo - realizzato grazie all’unione di saggi stesi da chi adesso scrive con un ricco e per certi versi unico Florilegio, fatto di frasi, aforismi, sentenze e brevi trattazioni tratte dalla Storia, dalla Filosofia e dalla Letteratura, nonché dalla ricerca scientifica e, inoltre, arricchito da un prezioso Saggio stilato e donato all’uopo dall’illustre studioso Amadeo Martin Rey y Cabieses e completato da specifica bibliografia - è sempre un rischio e un azzardo. L’obiettivo del testo è indicare ciò che è considerato inattuale e scorretto rispetto ai tempi che viviamo, propriamente per sottolineare la sempre permanente concezione di Aristocra­zia, Cavalleria, Nobiltà, intesi come segno e consapevolezza di Stile, per una risvegliata coscienza d’affinamento e qualificazione del soggetto, di Distinzione appunto, rispetto a tutto ciò che è, invece, conforme, standardizzato, massificato nel singolo e nel processo abbrutente informe come drammaticamente avviene nella società del nostro tempo. Recuperare, attualizzando in positivo, il concetto e la pratica della Distinzione, non si­gnifica certo proporre il disprezzo degli altri o la separatezza aprioristica e irreale. Tutt’altro. La Distinzione può essere perseguita da tutti, volendolo, ordinando le idee, seguendo studio, esempi e ciò che di nobile ditta dentro, riscoprendo l’unicità e l’irrever­sibilità che contraddistinguono da sempre ogni donna e uomo apparsi sulla terra, frutto di una Creazione e non di una ideologica e indimostrata “fede” evoluzionistica. La dignità è di tutti e per tutti. L’accrescimento delle virtù è ciò che, invece, seleziona e distingue. Quello che si propone, con ciò che indicano il titolo stesso e i fondamenti contenuti nel libro è, quindi, l’ideazione e forse l’utile realizzazione di un “manuale”, una sorta di codice di sopravvivenza e di riscossa, con un piccolo scrigno di saggezza che centinaia di Autori antologizzati di tutti i tempi ci donano e propongono, senza avere in occulta vista l’ombra di discriminazioni e razzismi di qualsiasi genere, questi sì reperti mostruosi d’ideologie e antropologie perverse e di un’idea zoologica dell’uomo che sfocia, in estremo, in immane selezione eugenetica. Tornare all’equilibrio e all’equità vera, alla sostanzialità del linguaggio, come ha insegnato Attilio Mordini, sono fonti necessarie per ristabilire e ridare qualità e organicità al corpo sociale, rivalutando, vivificandole, le naturali gerarchie dalla dimensione asfittica che viviamo, piuttosto che isterilirle del tutto, in una prospettiva virtuosa di miglioramento, realmente aperta, facendoci uscire, se solo lo si decidesse, dall’uniforme e non divenendo pedine forse inconsapevoli, strumenti di “élite” oligarchiche e dirigiste che impongono e orientano gusti, opinioni, costumi, mode, oltre che l’economia, la politica e lo stesso diritto, in nome di una astratta e falsa libertà. Quanto di più controcorrente, insomma, si possa proporre, in tesi, per una necessaria riforma intanto di sé stessi e, quindi, della comunità; riforma che potrebbe apparire, a prima vista, una mera illusione, una utopia o un disperato grido al deserto. Tuttavia, si deve partire o ripartire sempre da uno, dall’uno, perché proprio dall’Uno proveniamo e a Lui, se ci salveremo, torneremo. Anche in tempi apocalittici come sono quelli presenti, intrisi di “pioggia di zolfo e di piombo”. Distinzione, ancora, per mettere in evidenza e fare l’apologia di ciò che distingue spiritualmente, operando necessarie distanze rispetto alla babele delle volgarità; apologia dell’educazione e dell’etica tradizionale, della cortesia e della disponibilità, attitudine alla delicatezza e rispetto per tutti a cominciare dall’aiuto possibile - evitando la falsa retorica dell’umanitarismo - per i più sfortunati, emarginati, deboli, anziani, indifesi, recuperando così lo spirito e l’attitudine della più classica e nobile Cavalleria. La Distinzione è intrinsecamente aristocratica ed è anche un modo, un tratto, che rivela di ognuno lo stile, la raffinatezza, l’eleganza, la sobrietà, la finezza, il garbo uniti a discrezione, fermezza, signorilità e a gentilezza che fanno, ancora, affermare che quella tale Signora o quel tale Signore, sono soggetti distinti, capaci di promanare un’aura, un fascino, fino a poter raggiungere - in casi specialissimi - il vertice della regalità, anche in tempi di crisi e decadenza. E in effetti, malgrado tutto, si possono evidenziare positivamente non poche persone in grado di contrapporsi con equilibrio ai comportamenti di dozzinalità, rozzezza, volgarità, cafonaggine e violenza nei modi, negli atti, nelle parole. Ecco ancora una distintiva qualificazione che attiene all’essere o al mostrarsi gentiluomo o gentildonna, senza sottomissioni al divenire “zerbini”, gregari, sfruttati, e così privi di autonomia e personalità. Ancor di più, la Distinzione è atto e forma necessaria per saper indagare e distinguere ciò che è bene da ciò che è male, vista anche la vischiosità e la liquidità odierna che tendono, invece, ad annullare la capacità di esprimere valutazioni e giudizi, non separando il giusto dall’ingiusto, facendo così trionfare il relativismo e il minimalismo. L’esame plurale delle posizioni espresse da molti Autori - specie contemporanei o direttamente interpellati per realizzare l’Antologia che segue - non deve distogliere da quella costante che in effetti le unisce: il rifiuto in radice dell’uniformità e
dell’indistinzione fra gli uomini. Riconosceremo così coloro che pongono l’accento più sulla differenziazione del comportamento e dell’interiorità, della qualità e del merito inteso come una sorta di primato da sottolineare, rispetto a chi, invece, punta sulla ereditarietà, l’innatismo e sulla solidità della storia seppur ovviamente dinamica; entrambi in realtà concordano sulle cause dei processi dissolutivi, perniciosi aspetti della secolarizzazione e della tecnolatria, ponendo ipotesi di soluzione ad equazioni possibili di affrancamento, di distinzione appunto. Compito è trovare una sintesi alta (che non è il banale sincretismo), un’auspicabile convergenza che si possa porre come metodo e pedagogia della decisione anzitutto, per affrontare i processi critici sul piano esistenziale e spirituale, nella sottolineatura appunto della discretio, della Distinzione. Questi sono l’invito e il suggerimento che si lasciano, senza aprioristicità, allo studioso e al lettore. Omnia praeclara rara. Fare Apologia della Distinzione, saper uscire dal coro, prendere le distanze e indicare una via per ritornare liberi, padroni di se, riconoscendo anzitutto la selettività e il merito quali valori eminentemente aristocratici, da conquistarsi con una vita coerente con i prin­cipi alti professati, con dignità e con onore. Professare, insomma, “idee chiare e distinte”. Per essere e non per apparire». Nella premessa viene delineata tutta la materia contenuta nella pubblicazione, che è un unicum per i contributi portati, e per le tematiche oggi inusuali. I punti chiave ed i concetti vanno ricercati particolarmente nell’essenza delle parole che accompagnano il titolo dell’opera ricordando che la distinzione, il fatto di distinguere, è in senso attivo l’atto stesso o giudizio mediante il quale si distingue, cioè si riconosce e si afferma una intrinseca diversità fra esseri, apparentemente simili o analoghi o comunque posti in relazione tra loro. Le tematiche focalizzate trattano l’aristocrazia nel significato originario e più proprio, la prevalenza, il governo dei più meritevoli, intesi questi come coloro che sono moralmente e intellettualmente i migliori o i più valorosi, identificati poi, in un secondo tempo, con i nobili, quelli cioè che, per diritto di sangue, appartengono alla classe più elevata della società, nella quale costituiscono un gruppo privilegiato; la cavalleria, che era originariamente la Milizia a cavallo, e nel medioevo, era l’istituzione politica e sociale, della quale facevano parte i cadetti esclusi dalla trasmissione ereditaria del feudo, legati fra loro da un giuramento di fedeltà non a un signore, ma agli ideali di giustizia e d’onore, di difesa della fede, dei deboli, delle donne, secondo la morale celebrata dalla poesia cavalleresca; la nobiltà, o meglio la condizione e il fatto di appartenere alla classe dei nobili, di avere le distinzioni, le prerogative, i privilegi che erano connessi a tale appartenenza; ma anche il senso dell’eccellenza, della superiorità, derivante dalle origini e dalla tradizione, o dalla propria stessa natura, e anche elevatezza spirituale, perfezione morale o intellettuale, per indole, pensiero, propositi, sentimenti; lo stile, termine usato nelle più svariate forme dello scibile umano, ma anche come modo abituale di comportarsi, agire, parlare; il costume, la consuetudine; come signorilità di modi, discrezione e correttezza nel comportarsi; il tema attuale della barbarie, ovvero la condizione di un popolo barbaro che effettuò importanti migrazioni in vari parti del mondo nella civiltà primitiva e che oggi ancora designa un comportamento crudele e primordiale. Nella pubblicazione compaiono una miriade di persone che lasciano un loro pensiero conforme alla propria formazione e personalità, antica, moderna e contemporanea, spesso in antitesi l’una con l’altra, e con una cultura e visibilità umane ben diverse tra loro. Ogni testo dovrebbe servire alla loro identificazione e spesso è il meglio della loro produzione. Con un così elevato numero di contributi la poderosa opera si suddivide in tre corpi: un saggio dell’autore, un saggio di Amadeo-Martin Rey y Cabieses ed un lungo Florilegio di Autori (selezionati senza malizie araldico, genealogico nobiliari) ove figurano: Simonetta Agnello Hornby, Felicita Alliata di Villafranca, Maria Patrizia Allotta, Almanacco Nobiliare del Napoletano L’Araldo, Hans Christian Andersen, Achille Angelini, Fabrizio Antonielli d’Oulx, Ludovico Ariosto, Aristotele, Jules Amédée Barbey d’Aurevilly, Maurizio Barraccano, Giacomo C. Bascapè, San Basilio Magno, Walter Begehot, Hilaire Belloc, Benedetto XV, San Bernardo di Chiaravalle, Andrew Bertie, Severino Boezio, Matteo Maria Boiardo, Nicolas Boileau, Louis de Bonald, Francesco Bonanni di Ocre, Guglielmo Bonanno di San Lorenzo, Salvatore Bordonali, Giovanni Botero, Pierfranco Bruni, Edmund Burke, Robert Burton, Antonino Buttitta, Tommaso Campanella, Cristina Campo, Albert Camus, Gaspare Cannizzo, Giovanni Cantoni, Antonio Capece Minutolo di Canosa, Antonio Caprarica, Franco Cardini, Thomas Carlyle, Baldassarre Castiglione, Miguel de Cervantes, Arnolfo Cesari d’Ardea, Abate Cesarotti, Nicolas de Chamfort, Emil Cioran, Paul Claudel, Codice Cavalleresco Italiano, Paulo Coelho, Confucio, Plinio Corrèa de Oliveira, Manlio Corselli, Benedetto Croce, Fernando Crociani Baglioni, Giorgio Cucentrentoli di Monteloro, Jean Baptiste de la Curne de Saint- Palaye, Camillo d’Alia, Lucio d’Ambra, Gabriele D’Annunzio, Ugo D’Atri, Pier Felice degli Uberti, Massimo d’Azeglio, Da Ponte, Mozart, Dante Alighieri, Ferruccio De Carli, Gio Battista De Luca, Massimo De Leonardis, Federico De Maria, Roberto De Mattei, Giuseppe Della Torre, Goffredo di Crollalanza, Charles Dickens, Diogene, Maurizio Duce Castellazzo, Guillame Durant, Meister Eckhart, Francesco Emanuele e Gaetani di Belforte e di Villabianca, Epicuro, Eraclito, Felix Esqirou de Parieu, Euripide, Julius Evola, San Pier Giuliano Eymard, Marcello Falletti di Villafalletto, Giuseppe Attilio Fanelli, Massimo Fini, Domenico Fisichella, Gustave Flaubert, Jean Plori, Francesco I re delle Due Sicilie, San Francesco di Sales, John Fulton Scheen, Sigmund Freud, Luciano Garibaldi, Panfilo Gentile, Innocent Gentillet, Giuseppe Giacosa, Fausto Gianfranceschi, Vincenzo Gioberti, Sandro Giovannini, Giovenale, Domenico Giuliotti, Johann Wolfang Goethe, Nicolas Gómez dà Vila, Edmond e Jules De Goncourt, Salvator Gotta, Remy de Gourmont, Jacques Goussault, Arturo Graf, Romano Guardini, Guglielmo, Arcivesco di Tiro, Guido Guinizelli, Guittone d’Arezzo, Martin Heidegger, Heraldica, Angel Herrera Oria, Hirohito, imperatore del Giappone, Santa Ildegarda di Bingen, Incmaro di Reims, Henry James, Roberto Jonghi Lavarini, Ernst Jünger, Sören Kierkegaard, Tommaso Landolfi, Stefano Lanuzza, Leone XIII, Emmanuel Lévinas, Alberico Lo Faso di Serradifalco, Giorgio Lombardi, Leo Longanesi, Otto von Lossow, Costantino Lucatelli, Raimondo Lullo, Franco Maestrelli, Joseph de Maistre, Gennaro Malgieri, Thomas Malory, Giuseppe Manzoni di Chiosca, Oliviero de la Marche, Giovanni Maresca di Serracapriola, Carlo Marullo di Condojanni, San Matteo, Charles Maurras, Cesare Merzagora, Clemente di Metternich, Jean de Meun, Jules Michelet, Enzo Modulo Morosini, Thomas Molnar, Michel de Montaigne, Montesquie, Cirillo Monzani, Attilio Mordini, Carmelo Muscato, Napoleone Bonaparte, Friedrich Nietzsche, Novale, Michel Onfray, Alfredo Oriani, Diego Ortega, José Ortega y Gasset, L’Osservatore Romano, Pier Paolo Ottonello, Aldo Palazzeschi, Silvano Panunzio, San Paolo, Giovanni Papini, Vilfredo Pareto, Bent Parodi di Belsito, Blaise Pascal, Roberto Pecchioli, Camillo Pellizzi, Giuseppe A. Pensavalle de Cristoforo dell’ingegno, Francesco Pericoli Ridolfini, Regine Pernoud, Fernando Pessoa, Francesco Petrarca, Pio XII, Platone, Jacques Ploncard d’Assac, Porfirio, Antonio Possevini, Ezra Pound, Proclo, Alexander Sergeveich Pushkin, Rob Reimen, Jules Renard, Antoine Rivarol, Annibale Romei, Jean Rostand, Sforza Ruspoli, Roberto Russano, Alessandro Sacchi, Antonino Sala, Madaleine de Souvré de Sablé, Riccardo Scarpa, Emanuela Scarpellini, Friedrich Schlegel, Karl von Schmidt, Arthur Schnitzler, Arthur Shopenhauer, Seneca, Sergio Sergiacomi de Aicardi, George Bernard Shaw, Primo Siena, Sofocle, Luigi Athos Sottile d’Alfano, Othmar Spann, Edmund Spenser, George Ernst Stahl, Edgardo Sulis, Torquato Tgergeasso, Vanni Teodorani, Teognide, Gustave Thibon, Ludwig Tieck, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, San Tommaso d’Aquino, Cesar Carlos de Torella, Ugo di San Vittore, Marco Vannini, Diego de Vargas Machuca, Piero Vassallo,
Auvenargues, Marcello Veneziani, Giovanni Verga, Giambattista Vico, Carl-Alexander von Volbort, Karl Ferdinand Werner, Oscar Wilde, Roberto Zavalloni, Stefano Zecchi. Proprio per aggiungere un tocco che ben rappresenti le tante recensioni alla pubblicazione, riporto quella di Giovanni Taibi: «La distinzione per non perdersi nel mare magnum della volgarità di usi e di costumi oggi imperante, la distinzione per rivendicare la propria individualità davanti alla massa plaudente che ha come unico merito quello di correre in soccorso del più forte! Come distinguersi, come essere sé stessi, come vivere con stile in un tempo di barbarie? Sono queste le domande che si pone il saggio di Tommaso Romano “Elogio della distinzione”, (fondazione Thule cultura) in cui passa in rassegna l’esegesi e la storia dell’Aristocrazia, della Cavalleria e della Nobiltà. Se i natali danno in qualche modo un imprimatur necessario, questo solo non è sufficiente per fare di un uomo un gentile. Dante ce lo insegna: la vera nobiltà non risiede solo nella stirpe e nel sangue ma soprattutto nel cosiddetto cor gentile ovvero nell’animo capace di provare nobili sentimenti e comportarsi di conseguenza. A partire da questo assunto Romano, in quello che si può considerare un vero e proprio manuale del viver cortese, diventa guida sapiente per chi intenda intraprendere con totale disinteresse economico e professionale la strada verso la distinzione, contro la massificazione e la standardizzazione dell’uomo di oggi. “La distinzione può essere perseguita da tutti volendolo, ordinando le idee, seguendo studio, esempi e ciò che di nobile ditta dentro” (p. 5). Come d’altronde ci insegna il filosofo Epicuro: “Non la natura, che è unica per tutti, distingue i nobili dagli ignobili, ma le azioni di ciascuno e la sua forma di vita” (p. 68). Nella prima parte del libro troviamo l’Apologia della condizione singolare in cui Romano si appoggia a uno dei pilastri del suo pensiero: la Tradizione. Come ama spesso ripetere: “Tanto più forti saranno le sue radici tanto più l’albero (l’uomo) crescerà in altezza (morale)”. Dopo avere passato in rassegna il pensiero legato alla Tradizione Romano affronta un tema a lui particolarmente caro: la casa. Essa da semplice dimora diviene la cartina di tornasole da cui è possibile avere un identikit esatto di chi la abita, del suo (buon) gusto, del modo in cui passa il tempo libero, del valore che dà agli oggetti che diventano testimonianza delle sue esperienze di vita. Sapere distinguersi non può che passare dal modo in cui si vive la casa, dal rapporto che si instaura con essa ma questa non deve necessariamente essere un rifugio solitario, un eremo senza terra ma “può aprirsi, accogliere pochi e scelti interlocutori per goethiane affinità elettive... I libri, le suppellettili, gli oggetti, la musica, le buone persone, un animale fedele, la memoria ci faranno ala non certo ingombrante” (p. 22). Si può dunque affermare con Romano che la casa è la proiezione della propria identità. Dopo questa prima parte di carattere didascalico il volume presenta un florilegio di autori diversi, per stile, pensiero ed epoca storica, che nei loro scritti e nel loro pensiero hanno codificato regole e grammatica della Nobiltà, spiegato il motivo della nascita della Cavalleria e dell’Aristocrazia. In quelli più recenti, è presente la biunivoca corrispondenza tra caduta di valori dei nobili ideali e crisi del tempo storico presente. Tra le tante citazioni mi piace riportarne una di Nicolas Gomes Davila. Lo scrittore, aforista e filosofo colombiano così scrive: “Più gli uomini si sentono uguali, più facilmente tollerano di essere trattati come pezzi intercambiabili, sostituibili e superflui. L’uguaglianza è la condizione psicologica preliminare delle carneficine fredde e scientifiche”. Se ci riflettiamo bene, altro non è che un elogio della diversità alla rovescia cioè mettendone in evidenza i limiti autodistruttivi dell’uguaglianza intesa come obiettivo supremo da raggiungere per un popolo che vuol definirsi civile. Segue infine un saggio sulla Nobiltà, (scritto appositamente per Tommaso Romano) sulla Cavalleria e sull’Aristocrazia dell’illustre studioso, il nobile spagnolo Amadeo-Martin Rey y Cabieses, (Componente dell’Audizione Generale e Consigliere della Real Deputazione del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio nonché Membro Corrispondente del Collegio Araldico di Roma) storico e critico nell’ambito araldico-cavalleresco della Classe aristocratica e della Tradizione iberica, che mostra una particolare attenzione alla storia della nobiltà italiana. Lo scrittore spagnolo espone a chiare lettere quelli che sono i tratti distintivi della nobiltà: il rispetto della parola data, la bontà, la generosità, il valore e l’umiltà del cuore. Nel capitolo finale, prima di una ricchissima bibliografia, c’è il Congedo al Café de Maistre, in cui Romano, malinconicamente, constata come ai nostri tempi la cultura, l’arte, la tradizione, la stessa fede siano diventati degli pseudo valori da utilizzare a piacere per il proprio tornaconto. E allora cosa fare? La ricetta di Tommaso Romano è semplice eppur non sempre facile da attuare: “Resistere, pur sapendo di servire una causa perduta. Profferire parole e concetti solo quando richiesto, declinando con garbo ma fermamente la compagnia di arrivisti, molesti e insulsi; studiare e scrivere per sé e per chi egualmente non si piega. mostrare la bellezza e la potenza del creato. Tutto ciò con la ferma consapevolezza di stare in minoranza, in assoluta minoranza, forse testimoni attivi di una ipotetica, eventuale futura memoria” (pp. 133-134). Una voce fuori dal coro, un anticonformista assoluto che nella vita ha sempre seguito i suoi ideali a costo di rimetterci personalmente, pur di non abbassare la testa davanti al potente di turno. Questo è, ed è sempre stato, Tommaso Romano per chi lo conosce e a cui non fanno stupore le lapidarie frasi del suo “Elogio della Distinzione”. Per i pochi che non lo conoscono ancora, questa lettura servirà a comprendere la figura di un intellettuale a volte scomodo ma per questo più interessante da studiare perché, attraverso il capovolgimento della prospettiva, ci fa vedere la realtà con occhi diversi e disincantati». Nella nostra società detta globalizzata è meraviglia e sospetto affermare che ci si sente “cittadino del mondo”, senza per questo sentirsi cosmopoliti. Del resto Tommaso Romano è sempre andato contro corrente per quasi tutta la sua vita, per lui “L’Elogio della Distinzione” è l’elogio dovuto a chi si distingue dalla massa amorfa ed uniforme, di chi si tira fuori dal gregge, assumendo posizioni nette ed inequivocabili, fuori dai sofismi e dall’ambiguità, di chi pur ricercando la sintesi, rifiuta il sincretismo che attualmente sembra espandersi a macchia d’olio su tutte le questioni più importanti del mondo: da quelle politiche a quelle economiche e perfino alle questioni riguardanti la sfera più intima e privata del genere umano. Tommaso Romano, in questo mondo che cambia per opportunità i propri principi, muta le opinioni per ottenere nuovi benefici, inventa nuove soluzioni pescando dal passato, ha la particolarità che nei quasi 40 anni che lo conosco è rimasto quell’uomo serio, corretto, lineare, onesto con le sue pietre miliari che sono le stesse provenienti dalla nostra tradizione europea, dalla nostra identità cristiana, dalle nostre famiglie che ci hanno fornito quegli strumenti di saggezza utili a lavorare senza sosta per quella aristocratica società migliore che amiamo e a cui aspiriamo. Ho ancora negli occhi l’immagine di quel giovane che durante un suo convegno a Montecarlo in una dolce estate dei primi anni Ottanta, esprimeva ieri (come fa oggi) quella sintesi che non muta né può mutare sino alla fine della nostra moderna società, rappresentata e diversamente incarnata dai tanti personaggi che hanno lasciato quei loro messaggi che l’Elogio della Distinzione ci racconta nelle sue belle pagine. 
da: "Nobiltà", n. 137 anno XXIV, Milano, marzo-aprile 2017

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