venerdì 31 luglio 2015

Francesco Alliata, "il Mediterraneo era il mio regno. Memorie di un aristocratico siciliano"(ed. Neri Pozza)

di Tommaso Romano


Non sono pochi i libri di memorie di aristocratici siciliani, scritti o dettati, e/o pubblicati in memoria capaci di suscitare l’interesse non solo di una fetta di lettori appassionati e di cultori di tradizioni patrie, ma anche utilizzati per ricostruire una storia di famiglie molto spesso complessa , articolata e ricca, che si pretende di obliare o di mortificare – in troppe snobistiche occasioni – come un residuo da cui disfarsi perché ingombrante, impegnativo, e forse perché interroga la coscienza degli ignavi e dei responsabili della deturpazione anche edilizia e del paesaggio, unite al colpevole disinteresse delle “autorità”, alle mani mafiose e a volte politiche stese sui patrimoni ceduti e/o sottratti con il raggiro, con la violenza o con artigli voraci.
Una storia ancora da ricapitolare per intero, dalla parte di chi ha fatto la storia di Sicilia rispetto agli incapaci sciacalletti, alle macchiette, ai ladri e delinquenti che da troppi decenni infangano l’isola e la manomettono gettandola nel caos e nel disgusto, nel saccheggio e nello sfregio alla sua millenaria e, diciamolo gloriosa storia.

Biografie, storie, aneddoti, cedimenti e resistenze della parte nobile che l’indimenticabile Amico Bent Parodi di Belsito non smise mai di riproporre e sottolineare a partire dalle vicende, dagli intrecci fra successi, tonfi, rovine e orgogliosi ritiri in solitudine, ad appannaggio di straordinari personaggi  sui cui, appunto, le memorie proposte risultano avere un peso notevole da non disgiungersi dal fascino e dal rammarico che prende leggendo le loro pagine o le loro biografie. Non tutti i capolavori letterari, sia chiaro, ma pezzi, tasselli utilissimi per comprendere il valore, le contraddizioni, il peso dell’aristocrazia e di colore che hanno saputo restare in piedi in campi molto diversi, o hanno saputo conservare preservare la bellezza che il volgo, gli arricchiti illecitamente, la borghesia dei “villini” non poteva comprendere.
Storie a volte emblematiche, a volte tragiche, ma storie, vicende vere, anche – per non pochi – nel crepuscolo del declino inarrestabile e nel cupio dissolvi.
Certamente, capostipite indiscusso di tali memoriali memorabili dovrebbe essere giustamente considerato il famoso Marchese Francesco Maria Emanuele e Gaetani di Villabianca con i suoi opuscoli infiniti, minuziosi, a volte pedanti sulla società settecentesca, non solo aristocratica. A cui è giusto aggiungere il poligrafo reazionario e tradizionalista Vincenzo Mortillaro di Villarena, che mi pregio aver restituito alla luce che gli è dovuta.
Ma il filone a cui mi riferisco, anche a causa della fine della regalità in Sicilia e nel resto del continente, data appunto a partire dai testi che, nel periodo a noi più contemporaneo, indubbiamente hanno in Giuseppe Tomasi di Lampedusa e nel Suo immortale Gattopardo , la pietra miliare, che ha dato via alla scia delle memorie proprie e di famiglia intessute fra religiosità, affari, politica, amori, eroismi, dissesti finanziari, bella vita e povertà, professioni borghesi e voluti annullamenti di stato, in nome di una presunta novella eguaglianza che si è tradotta nel livellamento verso il basso.
Va appena ricordato che tutte le famiglie assurte a distinzioni premiali e onorifiche e graziate di titoli e di prebende, hanno avuto i loro fondatori, non nobili . come dire che la nobiltà dovrebbe essere per tutti i dotati di virtù, una sorta di aspirazione al meglio, votata alle grandi e significative conquiste, ad un riconoscimento more nobilium impegnativo, altruistic verso disagiati e sfortunati, che dovrebbe essere sempre sorretto da spirito cavalleresco e non da albagia e utilitarismo. Pena l’annullamento del titolo stesso.
Questa non breve premessa, con la promessa a me stesso di tornare più ampiamente sul tema, anche storiograficamente oltre che dal punto di vista letterario e dottrinale, per raccontare adesso finalmente del bel libro di Francesco Alliata di Villafranca, Il Mediterraneo era il mio regno. Memorie di un aristocratico siciliano , Neri Pozza editore di Vicenza(2015) con una bella introduzione di Stefano Malatesta a sua volta autore di libri imperdibili su fatti, ambienti e persone di Sicilia.
Ho letto in due riprese questo libro – avvincente per altro – del Principe Alliata. Appena uscito, infatti, sapendone e attendendone la comparsa in libreria, mi sono fiondato avidamente nella lettura, riponendolo per circa un mese data l’impressione in me suscitata dalla scomparsa a quasi novantasei anni, del Principe a pochi giorni dall’uscita del suo libro-verità, che spero abbia avuto fra le mani prima della scomparsa.
Formidabile protagonista in Sicilia di un intero secolo,amava dire che bisogna essere Principi prima di apparirlo.
Principe Francesco Alliata di Villafranca
Ho avuto il privilegio della conoscenza di questa unica figura di aristocratico siciliano, che ha fatto onore alla sua vocazione, alle sue vicende personali, alla sua famiglia e alla nostra sempre bellissima e ineguagliabile terra. Grazie devo subito dire, soprattutto a Nino Aquila  che me lo presentò, un gentiluomo e letterato che tanto ci manca, e a Rita Cedrini, docente universitaria e antropologa di valore, giustamente celebrata nel libro di Alliata come punto di riferimento della rivalutazione delle sue imprese novecentesche, a volte veramente epiche. Ricordo un afoso pomeriggio di qualche anno fa, alla Sala delle Lapidi di Palermo in cui gli conferimmo, grazie a Rita in particolare e al Dott. Anello e a chi scrive fra i giurati, il Premio Speciale Arenella-Città di Palermo per tutto ciò che oggi, grazie anche al libro sappiamo nel dettaglio, nella briosa narrazione, nelle combattive scelte e determinazioni dettate dal fare e che l’autore rivendica in toto, pur con talune ingenuità unite a tanta buona fede, non sempre corrisposta peraltro. La storia quasi millenaria della famiglia degli Alliata – che vanta parecchi rami ancora oggi – fra guerrieri, letterati, Santi, uomini di potere e Beati, ha inizio a Pisa.  Mercanti di quella Repubblica aristocratica ( le cui gesta furono oggetto di un volume storico di grande importanza che dobbiamo a Marco Tangheroni, valoroso medievalista e caro Amico, troppo presto scomparso) che presero dimora in Sicilia assurgendo le più alte care del Regnum e gestendo il servizio di posta. Vicende che la zia di Francesco, Felicita (1876-1974) aveva ricordato in un suo imperdibile volume anch’esso di memorie Cose che furono attraverso la storia di un’antica famigli italiana, edito da Flaccovio nel lontano 1949, e in cui le origini della famiglia, come si usava nei secoli scorsi, sono ricordate avvolte nella mitologia antica, ma ben documentate quelle degli ultimi secoli, non esenti da aneddoti ed esaltazioni che invece mancano, ed è un bene, alla fluida scrittura di Francesco.
Altro libro che voglio ricordare è quello delle memorie di Gianfranco Alliata di Montereale, principe anch’Egli, e di un altro ramo della famiglia, pure ricordato nel libro attuale del Villafranca insieme alla memoria della madre di Gianfranco, Olga Matarazzo. Mentre di Francesco sono stato un buon conoscente, come lo sono della degna figlia Vittoria, scrittrice e fiera imprenditrice (a cui ebbi l’onore a Bagheria di attribuire nel 2012 il Premio Socialità e Cultura del Circolo Giacomo Giardina, presieduto da Giuseppe Bagnasco), che è stata capace di riunificare le proprietà disperse della villa bagherese di famiglia, teatro in un recente passato di corvi rapaci e di interessi e presenze mafiose, di Gianfranco Principe del Sacro Romano Impero, che dilapidò una fortuna fra la politica monarchica (fu più volte deputato, le donne, la massoneria, l’esilio per improbabili golpe), sono stato amico e mi legano a lui tanti ricordi di comuni imprese culturali in Grecia, a Malta, a Roma e oltre che ovviamente a Palermo.
Il libro dicevo, fa il periplo di un secolo storia propria e di Sicilia. Scorrono in modo lieve le tappe della formazione, la famiglia, l’iniziazione alla cultura con la correzione di 7500 pagine di bozze, le proprietà sparse in tutta l’isola, il ricordo vivo del maestoso Palazzo Villafranca a piazza Bologni a Palermo con una Crocifissione di Van Dyck, i viaggi la vita militare da ufficiale addetto alle riprese cinematografiche, la guerra, la passione mai venuta meno per il mare, per la fotografia, per il cinema, per gli affari (non sempre andati a buon fine), la difesa della proprietà avita di palazzi, ville, delle terre dall’assalto dei nuovi barbari della burocrazia sclerotica e del malaffare mafioso. 
Certo dire di Francesco Alliata, è dire innanzitutto della sua creatura più riuscita: la Panaria film, fondata nel 1946. Il cuore del libro,  e certamente il più riuscito. Una volontaristica impresa tutta siciliana condotta con i sodali Pietro Moncada, Renzo Avanzo (veneto e primo marito di Uberta Visconti, sorella di Luchino e poi moglie del compositore e direttore d’orchestra Franco Mannino) nonché da Quintino di Napoli (poi raffinato artista che mi onorò della sua considerazione con bellissime conversazioni domenicali a piazza San Domenico , e nella sua casa a largo dei Cavalieri di Malta. Tutte le vicende di questa coraggiosa casa di produzione che prendeva il nome dall’isola di Panarea nelle Eolie, vi sono minuziosamente e con godimento raccontate, insieme all’invenzione con le prime riprese subacquee al mondo (una volta si diceva sottomarine) nonché dei documentari e dei film prodotti. Memorabile resta la storia del “duello” cinematografico tra la Panaria e Roberto Rossellini, e fra due film emblematici “Vulcano” con Anna Magnani e “Stromboli terra di Dio”  con la Bergman in funzioni di rivali sul set e non solo artisticamente, contendendosi le due attrici un Rossellini ormai stanco di Nannarella e innamorato della sensuale Ingrid. Vulcano della Panaria fu notevolmente e artatamente ostacolato da svariate forze clericali e politico-cristiane e da interessi geoculturali anche americani, che sfuggivano però ad Alliata ed ai suoi amici. Altra impresa da ricordare fu “La carrozza d’oro” un film altrettanto bello e significativo che ebbe per regista il grande Renoir. Le  vicende, anche di costume, sono semplicemente e onestamente narrate nel libro da Alliata con l’occhio   rivolto anche ad altri comprimari e co-protagonisti delle sue imprese, fra i tanti magnificamente descritti svetta un Luchino Visconti, geniale regista ed esteta decadente, immerso nella sua turris aeburnea, scostante rampollo comunista con ville splendide e camerieri in livrea, il cui corpo morto venne esposte a Botteghe Oscure. Non manca inoltre il ricordo di un funambolico, affascinante Raimondo Lanza di Trabia, su cui si sono scritte tante pagine, ultime quelle della figlia Raimonda e del bravo Vincenzo Prestigiacomo in un libro edito alla Nuova Ipsa. Decine le figure di contorno illustrate, che sono però citate sempre a proposito e con garbo, avvolte con giusta esecrazione , specie fra la fauna dei politici di professione e dei responsabili del mancato decollo dell’economia del secondo dopoguerra, autori di politiche dissennate di presunto sviluppo (a cominciare dalla disgraziata Cassa per il Mezzogiorno) di cementificatori senza scrupoli e di affaristi  impuniti. S’inquadra in tale contesto la seconda parte del libro legata alle nuove avventure di Moncada e Alliata, nella pista delle surgelazioni e dei gelati confezionati in quel di Catania.
Chiude il volume la dettagliata Odissea, fino ai più piccoli particolari, patita da Francesco e da Vittoria per i beni di famiglia “donati” dalla cognata di Francesco al seminario della Curia di Palermo (l’amato palazzo cittadino), e all’Opus dei (quello bagherese, a cui l’Opera rinuncerà saggiamente a favore degli Alliata ). Una pagina oscura, ancora non risolta nelle complesse appendici che certo getta ombre contraddittorie, non solo nello specifico caso, sull’incameramento dei beni storico-monumentali. Non fa difetto la narrazione dei fatti un violento atto di accusa, con nomi e cognomi , nei confronti della politica di tutela della Sopraintendenza ai Beni Culturali e a quella per i Beni Archivistici.
La lotta fino allo stremo per difendere la residenza straordinaria di Bagheria, per fino dalle mani ingorde e sporche di sangue della mafia, è un altro segmento importante di questo libro, che è anche un civile atto di accusa. Paradosso, come nella migliore o peggiore, che è meglio dire, tradizione pirandelliana siciliana, e  la miope messa in stato di accusa di Francesco Alliata da parte della magistratura con l’imputazione di non badare al patrimonio…  controsenso per i vincoli e gli ostacoli insormontabili che invece la burocrazia imponeva e tutt’ora impone, alle strutture in degnado.
Insomma, un libro da leggere e godere e su cui riflettere, specie pensando ad un micromondo  come Bagheria tanti bella quanto perseguitata e  violentata dal malaffare. A proposito di Bagheria non si manchi di visitare l’appena aperta al pubblico Villa Sant’Isidoro de Cordoba, un gioiellino ancora miracolosamente intatto anche negli arredi, che un’altra storia da raccontare.   

venerdì 17 luglio 2015

"Armoria" rivista dell'Istituto Catalano di Genealogia e Araldica


E’ stato pubblicato l’ultimo numero di “Armoria”, rivista di genealogia, araldica, vessillologia, scienze nobiliari ed emblematica edita dall’ICGenHer (Istituto Catalano di Genealogia ed Araldica).
Di seguito il sommario:
- Esteve Canyameres i Ramoneda, “I fratelli Giuseppe e Pietro Rocafort Tortadès: grandi genealogisti di famiglie contadine del XVIII secolo”
- Núria Raspall i Rovirosa, ” La saga dei Rovirosa (1461- 2011)”
- Salvador-J. Rovira i Gómez, “I Montagut, della Torre de l’Espanyol (Riviera dell’Ebro)”
- Jordi de Canals i Campà, “Gli ultimi anni di splendore monarchico”
- Salvador-J. Rovira i Gómez, “Panormanica sulla nobiltà settecentesca di Tarragona”
- Armand de Fluvià i Escorsa, i dibuixos de Xavi Garcia i Mesa, “I simboli di alcune popolazioni martiri della guerra di succesione”

La nobiltà secondo Marco Vannini

“Chi è degno di grandi cose, è uomo nobile”, scrive Aristotele[1].
Dovendo parlare di dignità, è bene parlarne per così dire nel suo grado più alto, nella persuasione, come dice Platone nella Repubblica, che le cose si vedano meglio quando sono più grandi[2], e che da esse sia poi più facile comprenderne anche il grado più piccolo. Ho scelto perciò il termine nobiltà, nel suo senso morale, spirituale, che è quello appunto che Aristotele indica col terminemegalopsichìa (alla lettera: anima grande, reso in latino e poi in italiano con magnanimità).
Nobiltà è una parola ormai desueta, perché il nostro mondo è pervaso dal mito dell’uguaglianza. Ormai persuaso che la democrazia sia un valore assoluto – peraltro senza averci pensato, e senza sapere che si tratta in realtà della forma di governo peggiore di tutte le altre, ad eccezione della tirannide (noi diremmo la dittatura) e che il totalitarismo democratico[3] è la forma peggiore di totalitarismo, nel quale il cittadino è ridotto a una marionetta nelle mani dei veri poteri, che sono quelli forti ma occulti dei detentori dei media – considera cosa riprovevole la aristocrazia. E, non a caso, insieme a nobiltà è pressoché scomparsa la parola virtù, che ha nella sua origine greca (aretè) la radice stessa di eccellenza, nobiltà (aristeia).

martedì 14 luglio 2015

Intervista a Plinio Correa de Oliveira da "Le Nouvel Aperçu", 1995

[Sulla scia del successo del suo ultimo libro Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana (Marzorati, Milano, 1993), il prof. Plinio Corrêa de Oliveira rilasciò la seguente intervista al mensile francese Le Nouvel Aperçu. Tratto da Tradizione Famiglia Proprietà, anno 1, n° 1, marzo 1995.]


Perché ha scelto la nobiltà come tema per la sua opera?
Attualmente mi sembra che l’atteggiamento dell’opinione pubblica sulla nobiltà sia molto meno influenzato dagli errori della Rivoluzione francese di quanto non fosse fino a poco tempo fa.
Infatti oggi si può ben vedere, man mano che il tempo passa, che gli errori della Rivoluzione del 1789 vanno invecchiando e perdendo influenza. Ciò non significa che tale influenza sia piccola, ma è minore di un tempo, e tende a diminuire sempre di più. Nel momento di questa transizione storica, è interessante trattare della questione della nobiltà, che era al centro di tutte le riflessioni, di tutte le agitazioni e perfino di quasi tutti i crimini della Rivoluzione francese.

Quale ruolo attribuisce alla nobiltà nei nostri giorni?
Non si tratta propriamente di attribuire un ruolo alla nobiltà, ma di riconoscere questo ruolo nel panorama oggettivo della realtà contemporanea. La nobiltà ancora esiste, i suoi titoli ancora si usano, i suoi esponenti sono ancora frequentemente oggetto di speciale considerazione. E perfino, come ho poc’anzi detto, in molti ambienti il prestigio della nobiltà sta crescendo.
Orbene, in cosa consiste il ruolo della nobiltà nei nostri giorni?
Certo, non è più il ruolo che essa svolgeva anticamente, cioè quello di partecipare in qualche modo alla direzione dello Stato, sia mediante il governo dei territori nei quali quella classe esercitava un potere feudale, sia attraverso certe attività di importanza fondamentale nello Stato e nella società.
Infatti, la nobiltà una volta, in quanto classe eminentemente militare, contribuiva al reclutamento e alla formazione della classe degli ufficiali di ogni paese. La quasi totalità degli ufficiali era nobile. Alcune alte funzioni, come quelle di diplomatico e di magistrato, erano, in larga misura, pure esercitate dai nobili, il che caratterizzava pertanto la nobiltà come una classe molto potente.
L’opinione pubblica di quel tempo, non massificata dai mezzi di comunicazione sociale e da tutte le conseguenze provocate dalla Rivoluzione Industriale, possedeva in grado eminente la coscienza dell’importanza e della rispettabilità di ciascuno dei compiti svolti dalla nobiltà. Ragioni per cui si tributava a questa classe sociale un rispetto del tutto speciale.
Con la Rivoluzione francese, tutto questo mutò. Il falso dogma rivoluzionario in base al quale la suprema norma della giustizia, in materia di relazioni umane, consiste nell’uguaglianza assoluta fra gli uomini, fu accettato come vero da innumerevoli persone. La pressione ugualitaria della Rivoluzione provocò, quindi, sullo Stato e sulla società, effetti immediati e non raramente violenti, alla pari degli effetti graduali causati più dalla propaganda che dalla forza. Così, in numerosi Stati, l’ugualitarismo politico condusse a colpi di stato, che ebbero come effetto la sostituzione delle monarchie con le repubbliche, con la conseguente abolizione delle funzioni politiche della nobiltà.
In altri Stati, l’ugualitarismo progredì mediante un lento sgretolamento del potere politico dei monarchi e degli aristocratici, riducendoli ad una mera figura simbolica o quasi, come nel caso del re di Svezia e della Camera dei Lord in Inghilterra.

E nel campo sociale?
A tale decadenza politica seguì naturalmente una certa decadenza sociale, poiché l’esercizio del potere costituisce, di per se stesso, una fonte di prestigio sociale. Ma in questo campo le trasformazioni più importanti si dovettero a fattori scientifici ed economici. Il progresso accelerato delle scienze, iniziato alla fine del secolo XVIII e proseguito più o meno fino ai nostri giorni, favorì l’apparire di nuove tecniche, applicabili ai più vari campi del vivere umano. Conseguentemente, le tecniche di produzione agricola e di allevamento del bestiame, le industrie, l’avvento dei nuovi mezzi di comunicazione, di trasporto e via dicendo, influenzarono a fondo i costumi sociali.
Non solo i costumi, ma le stesse strutture sociali, poiché la scoperta di un nuovo metodo di produzione, così come l’invenzione di un nuovo rimedio per debellare alcune malattie, possono essere considerate da un popolo come avvenimenti più importanti di una vittoria militare. Così, l’invenzione dell’aereo o del telefono ebbero più importanza per gli Stati Uniti ed il mondo che molte celebri battaglie dei secoli XIX e XX.
Si aggiunga l’esercizio di professioni a volte molto lucrose, magari anche più rischiose, come quella di carattere strettamente finanziario, e si avrà un quadro del formidabile cambiamento che si determinò: da una economia a base strettamente immobiliare e, in modo speciale rurale, si passò ad un’altra soprattutto urbana, finanziaria, industriale e commerciale. E si vedrà che le attività professionali che una volta conferivano ricchezza e prestigio, furono relegate in secondo piano, a vantaggio delle nuove, che vennero a trovarsi ora in primo piano.
Di conseguenza la nobiltà, con tutto il suo inestimabile capitale di principii, di tradizioni, di stili di vita e di modi di essere, perse in molti luoghi buona parte della sua influenza, il che andò provocando un crudele danno nei confronti delle altre classi sociali, che passarono a vivere sotto l’influenza criticabile e a volte perfino ridicola dei nuovi ricchi.
Pio XII fa appello alla nobiltà perché utilizzi tutti i mezzi che le restano — senza disprezzarne nessuno — per controbilanciare queste conseguenze dannose. Il pontefice spera che essa lo faccia in un nobile sentimento di preservazione e di elevazione religiosa, morale e culturale, a beneficio di se stessa, come pure delle altre classi sociali, dal più modesto proletariato fino al culmine dei neo-nababbi.

Duecento anni dopo la Rivoluzione del 1789, Lei pensa che la società francese possa ancora attendersi qualcosa dalla nobiltà?
Senz’altro. La storia ci insegna che le aristocrazie si vengono a costituire in condizioni tali che consentono loro di perpetuarsi a lungo nel tempo. Duecento anni! Cosa sono per la nobiltà francese, di cui certe famiglie sono talmente antiche che la loro origine, secondo l’espressione consacrata, "si perde nella notte dei tempi"?
La condizione nobiliare non è fatta per avere la durata di una vita individuale, al contrario di ciò che avviene per i singoli e per le famiglie nelle società di carattere democratico, nelle quali, del resto, un uomo celebre può frequentemente scomparire anche prima di morire. La condizione nobiliare è fatta per avere la durata di una famiglia. E la famiglia, ereditaria per definizione, è fatta per durare secoli e secoli senza usura; anzi, essa finisce col valorizzarsi nel tempo.
Si potrebbe obbiettare che la sua domanda non si riferisce tanto alla mera durata del tempo, quanto all’usura conseguente agli avvenimenti storici dei due ultimi secoli inaugurati dalla Rivoluzione francese. E ci si potrebbe domandare se la nobiltà, dopo aver subito due secoli di rivoluzione così violentemente anti-nobiliare, non sia ormai tanto obsoleta da non avere più alcun servizio da rendere alla nazione. La storia della Francia, persino quella repubblicana, fornisce innumerevoli esempi del contrario: ci sono state personalità eminenti, che hanno reso servizi importanti al paese, nei campi più variati dell'attività pubblica.

Lei commenta le allocuzioni di Pio XII, ma non si potrebbe ritenere che dopo la politica conciliante nei confronti della repubblica liberale (il Ralliement) promosso da Leone XIII, la Chiesa abbia definitivamente optato per il popolo e che il ruolo della nobiltà e delle élites tradizionali sia stato relegato al passato?
La sua domanda presuppone due affermazioni che non condivido. La prima è che possa esserci una contraddizione fra l'insegnamento di due papi, Pio XII e Leone XIII. Inoltre, se si ammette, argumentandi gratiae, che una tale contraddizione esiste, non vedo perché non si possa scegliere, in tutta libertà, gli insegnamenti di Pio XII anziché quelli di Leone XIII.

Si può comprendere che in Europa i discendenti dei nobili di un tempo abbiano ancora un ruolo da compiere, ma che valore ha la sua "opzione preferenziale per i nobili" in paesi quali gli Stati Uniti, che mai hanno conosciuto una nobiltà e dove il supremo valore di riferimento è il denaro?
Se la ricchezza è certamente un elemento che permette di acquisire uno status sociale, gli studi sociologici più recenti ci dimostrano che non è sufficiente per diventare membro a pieno titolo dell'alta società americana.
Questo concetto di alta società basato esclusivamente sulla ricchezza fa parte di un mito liberale che si è diffuso nella coscienza popolare a partire dal secolo scorso per mezzo di opere come Democrazia in America del nobile francese Alexis de Tocqueville. Questo mito è stato ugualmente confutato da studi recenti, in quanto i sociologi ci hanno dimostrato che negli Stati Uniti si è formata una società non meno gerarchizzata che in Europa. Non vi sono titoli nobiliari; tuttavia, come in Europa, la tradizione familiare ha un ruolo predominante per assurgere a membro dell'alta società.
In assenza di titoli nobiliari, le famiglie più antiche delle diverse città e stati vengono chiamate con espressioni che mettono in rilievo la tradizione e la continuità. Così troveremo i Proper San Franciscans, i Proper Philadelphians, i Genteel Charlestonians, le First Families of Virginia, i California Dons (allusione alle famiglie discendenti dell'antica aristocrazia spagnola), i Boston Brahmins, e via dicendo. Molte di queste famiglie conservano ancora i loro palazzi e ville patriarcali.
Se osserviamo più attentamente la società americana arriviamo alla conclusione che gli Stati Uniti non sono guidati dalle masse ma dalle èlites, nuove e tradizionali. Queste ultime sono organizzate in associazioni ereditarie. Le famiglie dei nuovi ricchi, le quali dopo alcune generazioni riescono ad accedervi, devono innanzitutto impegnarsi a non ostentare sfacciatamente la loro ricchezza di fronte agli aristocratici, a volte impoveriti, e a rispetarne le tradizioni.
La più importante di queste società ereditarie è forse quella dei Cincinnati, per appartenere alla quale è necessario discendere da un ufficiale, americano o francese, che abbia lottato per almeno tre anni nella guerra d'Indipendenza o vi abbia preso parte fino alla fine; inoltre in alcuni stati può farne parte un solo membro per ogni famiglia qualificata. Questa società risale al 1783 e deve il suo nome a Quinto Cincinnato, il famoso condottiero romano che abbandonava il suo aratro per assumere il comando dell'esercito nei momenti di grave pericolo. I membri dell'associazione vollero stabilire nel paese un'autentica nobiltà militare ereditaria, e come protettore venne scelto il re Luigi XVI.
Si può affermare che tutti questi gruppi ereditari formano nell'alta società americana una élite analoga alla nobiltà titolata d'Europa.

E quali sono secondo Lei queste "élites tradizionali analoghe" alla nobiltà nella Francia odierna?
La delimitazione delle diverse classi in una società è un compito sempre delicato e soggetto a innumerevoli contestazioni. Per quanto riguarda l'Ancien régime, e specificamente in Francia, il pubblico in genere ha l'impressione che le classi sociali — clero, nobiltà e popolo — si distinguevano così nettamente come le linee di frontiera fra i paesi europei o americani. È un errore. Innanzitutto bisogna precisare che la nobiltà era ben lungi dal configurarsi come un corpo assolutamente omogeneo. C'erano diversi tipi di nobiltà: la nobiltà di spada, quella di toga e altre ancora, per finire forse con quella di campanile.
Certi storici parlano di più di cinque classi di nobiltà in Francia. E anche così i confini fra queste classi sono sovente imprecisi. Inoltre era facile che una famiglia passase da una classe all'altra: bastava un decreto reale che elevasse una famiglia di condizione plebea alla nobiltà, o una decisione del Re o della Giustizia che degradasse qualcuno dalla condizione di nobile a quella di plebeo. Ciò poteva accadere, per esempio, in seguito a un crimine, specialmente se si trattava di un crimine contro lo Stato come l'alto tradimento.
In una società come la nostra, in cui i principii ugualitari — "libertà, uguaglianza e fraternità" hanno contribuito a formare la struttura dello Stato e anche quella della società, questa delimitazione diventa ancora più difficile.
Comunque proverò a darne qualche nozione. L'élite di un popolo è costituita dagli elementi — singoli o famiglie — che hanno nelle loro mani le leve dello Stato e della società. In una democrazia, le élites sono essenzialmente mobili ed è molto difficile che una famiglia possa assicurarsi una durata sufficiente da potersi qualificare come tradizionale.
La nostra società ha voluto essere una società aperta, alla maniera di un corso d'acqua abbastanza profondo che riceve senza inconvenienti tutti i corsi d'acqua minori che vanno ad alimentarlo lungo il percorso. Ciò che ha voluto, la nostra società lo ha avuto. Essa assomiglia appunto a un fiume che accoglie senza discriminazione tutti i suoi affluenti. Ma questo flusso indiscriminato aumenta talmente il volume della massa liquida, con acque a volte cristalline e a volte inquinate, fino a causare straripamenti, inondazioni e inconvenienti di ogni tipo. Allora è il trionfo dell'arrivismo, di una certa concezione opportunista dell'UGUAGLIANZA. Il denaro stabilisce la sua dittatura sia utilizzando le astuzie e gli intrighi politici, sia mettendosi al loro servizio.
Tutto ciò forma un insieme di circostanze che, aggiunte alla terribile corruzione dei costumi (vigorosamente servita da una certa concezione della LIBERTA'), produce come risultato complessivo un'agitazione fatta di rivalità a tutti i livelli, dai più piccoli comuni fino alla nazione intera. Cioè, neanche l'ombra di quella FRATERNITA' laica e inconsistente che i sognatori del 1789 vollero sostituire alla carità cristiana.
Non c'è più il tradizionale desiderio di buoni figli che aspirino ad essere i continuatori dei loro buoni genitori, come gli anelli ultimi di una catena tanto forte quanto antica: tutto ciò è sparito con l'agonia delle tradizioni.
Tuttavia, pur nel bel mezzo di questa nebbia confusa e inquinata si possono costituire élites nuove ed antiche dopo aver superato una serie di ostacoli. Il fenomeno è più frequente di quanto lascino capire la gran parte dei moderni media. Nel mio libro Nobiltà ed élites tradizionali analoghe, recentemente pubblicato negli Stati Uniti dalla Hamilton Press, Lei troverà un'appendice, densa di informazioni ed analisi, sulle élites tradizionali negli Stati Uniti. A proposito di quel paese, la cui importanza nel mondo contemporaneo è impossibile negare, ecco alcuni punti affrontati in quella appendice: - Gli Stati Uniti non sono guidati dalla massa ma dalle élite nuove e tradizionali; - Le élites tradizionali oggi: una realtà sana, viva e fiorente; - Il lignaggio: nessun altro criterio, neanche la fortuna, è così determinante per conferire uno status sociale; - L'eredità dello status sociale negli Stati Uniti; - Gli avvenimenti dell'alta società americana, il ballo delle debuttanti; - L'organizzazione delle élites tradizionali nei nostri giorni; - Le associazioni ereditarie negli Stati Uniti; - Le rigorose condizioni per l'ammissione di nuovi ricchi nell'alta società, e via di seguito.
Quali sono quelle élites nella Francia odierna? Come differenziarle fra loro? Anzitutto bisogna dire che certamente queste élitesesistono, ma che le leggi ed i costumi in vigore hanno potentemente contribuito ad impedire che balzassero agli occhi della nazione. Perciò è quasi impossibile presentare una lista delle famiglie costitutive della élite francese, cosa che del resto si può dire pressoché per tutti i popoli moderni.
Questa analisi sulle élites analoghe non vale invece per la nobiltà. Ecco quello che risponderei alla sua domanda.

Qui, come sicuramente Lei sa, va di moda far riferimento al populismo come  ancora di salvezza, cioè si ritiene che la crisi della società contemporanea dipenda da un'eccessiva importanza attribuita alle élites e che la soluzione stia nel rivalorizzare l'uomo della strada? Che ne pensa?
Certamente fa parte della missione dello Stato e della società l'attenzione dovuta ai diritti di quella massa umana che qualifichiamo come "uomini della strada". Si tratta di uno degli obblighi prioritari dell'uno e dell'altra.
Tuttavia la sua domanda riflette una posizione strettamente ugualitaria, che considera i diritti del popolo — chiamato nel linguaggio pittoresco del Medioevo "il Popolino di Dio", oggi trasformatosi in massa — a tal punto prevalenti da non lasciare posto a nessun'altra classe. Ora, la esistenza di élites costituisce un fattore che, per se stesso, risponde a diverse necessità legittime e fondamentali del popolo. Da notare però che dico "popolo" e non "massa". Tenendo presente i concetti di "popolo" e di "massa" così come furono luminosamente spiegati da Papa Pio XII, si comprende subito e senza sforzo il ruolo delle élites:
"Popolo o moltitudine amorfa o, come si usa dire, massa, sono due concetti diversi.
1. "Il popolo vive e si muove per vita propria; la massa è per sè inerte, e non può essere mossa che dal di fuori;
2. "Il popolo vive della pienezza di vita degli uomini che lo compongono, ciascuno dei quali — al proprio posto e nel proprio modo — è una persona consapevole delle sue responsabilità e delle sue convinzioni. La massa, invece, aspetta l'impulso dal di fuori, facile trastullo nelle mani di chiunque ne sfrutti gl'istinti o le impressioni, pronta a seguire, a volta a volta, oggi questa, domani quell'altra bandiera.
3. "Dalla esuberanza di vita di un vero popolo la vita si effonde, abbondante, ricca, nello Stato e in tutti suoi organi, infondendo in essi, con vigore incessantemente rinnovato, la consapevolezza della propria responsabilità, il vero senso del bene comune. Della forza elementare della massa, abilmente maneggiata ed usata, può pure servirsi lo Stato; nelle mani ambiziose d'una sola persona o più persone, che le tendenze egoistiche abbiano artificiosamente raggruppate, lo Stato stesso può, con l'appoggio della massa ridotta a non essere più che una semplice macchina, imporre il suo arbitrio alla parte migliore del vero popolo: l'interesse comune ne resta gravemente e per lungo tempo menomato e la ferita è ben spesso difficilmente rimarginabile".
La complementarietà e l'interdipendenza fra le élitese le altre classi sociali da una parte, e una concezione ricca e duttile del bene comune dall'altra, sono a smentire certi pressuposti della sua domanda e allo stesso tempo le forniscono una valida risposta.

Dopo il crollo del muro di Berlino si assiste prima alla scomparsa dell'ancien régime comunista e dopo al ritorno dei comunisti con le elezioni in diversi paesi. C'è una situazione generalizzata di caos. Lei pensa che gli antichi "apparatchik" formano oggi una élite in questi paesi? Nella prospettiva del vostro libro, c'è una soluzione al caos? Oppure non resta che fare affidamento su una massa e una nomenklatura modellate da oltre 70 anni di comunismo?
In questa prospettiva non c'è soluzione. Il caos è realmente il triste epilogo delle diverse evoluzioni subite dal mondo comunista.
Dove andrà a finire tutto questo caos?
Ecco un problema molto diverso. La storia ci presenta parecchi casi di situazioni caotiche che finiscono con la liquidazione delle stesse componenti del caos e, a partire da ciò, con la formazione di nuove situazioni, alcune delle quali straordinariamente positive. Tuttavia, è più frequente andare incontro a destini miserevoli, tristi e infelici. Si tratta di popoli "seduti sull'orlo della morte", metaforicamente parlando.
Ciò è accaduto all'antico Egitto, alla Grecia dominata da Roma, all'India prima delle grandi navigazioni occidentali. Ed anche a quasi tutti i popoli dell'Oriente e dell'Asia.
Un probante esempio in senso inverso fu l'uscita dal caos in cui era piombato il territorio di quello che una volta fu l'Impero romano d'occidente, con l'invasione dei barbari. Era un vero e proprio caos, che tuttavia non si generalizzò a tutti i livelli. Mentre le autorità romane abbandonavano le loro funzioni e si davano a vergognosa fuga davanti all'avanzata dei barbari, le autorità ecclesiastiche, al contrario, rimanevano sul posto.
Frequentemente a rischio della vita, cominciarono ad impartire una formazione morale a questi popoli barbari che, più di una volta, mostravano notevoli tratti di innocenza e di rettitudine morale.
La Chiesa mantenne e promosse tutto quanto trovò di positivo nella moralità primitiva dei barbari, combattendo ciò che era censurabile e che costituiva un ulteriore fattore di caos; da questo amalgama, vivificato dalla forza generatrice del Vangelo, nacque il Medioevo, da cui a sua volta germinò la civiltà cristiana occidentale.
Naturalmente, sarebbe errato supporre che il caos generò da solo tutto quanto ci fu di positivo nei secoli successivi al Medioevo. Infatti, le masse barbare trovarono nell'antico territorio romano fattori incomparabili di organizzazione, di ordine, di strutturazione culturale e sociale, cioè il fermento del Vangelo capace di generare a nuova vita qualsiasi popolo. Fu il valore morale del clero che produsse il Medioevo.
Per quanto se ne sa, in tutto il mondo ex-sovietico non si notano questi fattori. La chiesa greco-scismatica, chiamata anche"ortodossa", non può essere considerata puramente e semplicemente come una valida erede della Chiesa cattolica, di cui anzi è, sotto vari punti di vista, sua oppositrice.
È noto che durante il periodo della dominazione comunista il clero di questa Chiesa, dominato dalle dottrine "ortodosse" cesaropapiste che mettevano l'organizzazione ecclesiastica sotto la direzione dello zar, si è ritenuto obbligato a prestare ubbidienza a Lenin e ai suoi successori, così come prima ubbidiva agli imperatori.
Invece di diventare un fattore di rigenerazione e di lotta contro il comunismo, questo clero si associò al regime allo scopo di sopravvivere. Quel che fece nascere il Medioevo fu esattamente la disposizione dei sacerdoti a morire anziché cedere terreno di fronte alla barbarie.
Come sia, la Chiesa greco-scismatica non può essere ritenuta un fattore sufficiente alla rigenerazione dei popoli ex-sovietici. D'altra parte, la penetrazione della Chiesa cattolica in quei territori è molto limitata per una serie di circostanze delle quali l'Occidente non ha che un'idea imprecisa.
Infine, un numero ragguardevole di cattolici che si avventurano nel mondo ex-sovietico sono quasi sempre influenzati da correnti moderniste, provenienti da un Occidente in cui la crisi della Chiesa cattolica, dovuta proprio a certo clero di matrice progressista, causa sbandamenti che conosciamo bene e che tutti deploriamo.
Sembra che gli esponenti di queste correnti non siano in alcun modo capaci di un'azione rigeneratrice. Da dove allora attenderci una soluzione? Da qualche individuo ben intenzionato e specialmente benedetto da Dio? Loro, e solo loro potranno, con l'appoggio di Roma, risollevare le sorti dell'ex-mondo comunista, "colosso" ormai in disfacimento.
Ma esistono questi individui nel mondo ex-sovietico? Credo di sì; ma in numero talmente esiguo da doverli cercare col lanternino e pregare per loro aiutandoli in tutta la misura del possibile.


giovedì 9 luglio 2015

Sul concetto di nobiltà, dall'Araldo. Almanacco nobiliare del napoletano 1878


Riproduciamo un bel documento, scritto e pubblicato a Napoli nel 1878, tratto dalla premessa al prezioso "Araldo Almanacco Nobiliare del Napoletano". vi si possono rintracciare alcune linee ideologiche di perdurante attualità, certamente utili per molti studiosi e cultori della vera essenza e legittimità dell'aristocrazia e delle elitès tradizionali analoghe e, di come va considerato l'uso consolidato di titoli e onori nel tempo.

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Sul concetto di nobiltà, dall'Araldo. Almanacco nobiliare del napoletano 1878

La scomparsa del marchese Luigi Coda Nunziante

La sera di martedì 7 luglio nella sua villa di Colognole, presso Firenze è venuto a mancare il marchese Luigi Coda Nunziante di San Ferdinando, presidente dell’Associazione Famiglia Domani e protagonista instancabile di tante battaglie in difesa della famiglia e dei valori tradizionali. 
Il marchese Luigi Coda Nunziante era nato a Napoli il 20 settembre 1930 da un’illustre famiglia che contava, tra i suoi antenati, quel Vito Nunziante, che, con il cardinal Ruffo, aveva capeggiato l’insorgenza antigiacobina del 1799. Un’altra figura preminente era stato il marchese Ferdinando Nunziante, deputato per quattro legislature e poi senatore del Regno, distintosi per le sue opere benefiche nel Mezzogiorno, e soprattutto per il suo aiuto prestato agli orfani del Terremoto di Messina.Dopo aver frequentato l’Accademia di Livorno, Luigi Coda Nunziante era entrato come ufficiale nella Marina militare italiana, raggiungendo il grado di capitano di fregata e svolgendo importanti missioni come pilota militare sulle portaerei. Dimessosi dal servizio permanente effettivo, si era dedicato con slancio a servire il Paese nella vita pubblica. Dopo una breve esperienza politica nelle fila del Movimento Sociale italiano, aveva compreso la necessità di una ricostruzione culturale e morale della società al di fuori dei partiti politici.
Aveva partecipato attivamente a tutte le iniziative del Centro Culturale e poi della Fondazione Lepanto e nel 1987 aveva fondato e diretto l’Associazione Famiglia Domani, distintasi per le sue campagne pubbliche in difesa dei valori familiari. Insieme alla principessa Elvina Pallavicini costituì nel 1997 la associazione Noblesse et Tradition, che raccoglieva qualificati esponenti dell’aristocrazia internazionale. Il suo ultimo intervento pubblico avvenne il 9 marzo di quest’anno a Palazzo Pallavicini per ricordare i dieci anni di scomparsa della principessa romana. In quest’occasione rievocò l’immagine, utilizzata dal cardinale Stickler, dei “Triari”, i soldati più esperti, più agguerriti, più coraggiosi che l’esercito romano schierava nell’ultima fila di battaglia. Quando erano sconvolte la prima, la seconda fila, la terza, risuonava il grido «res ad triarios venit».
Era l’ultima possibilità. E più di una volta, anzi si può dire quasi sempre, i Triari riuscivano a travolgere gli attaccanti e a rivoluzionare completamente le sorti della battaglia. I Triari moderni oggi sono le élites tradizionali e le élites spirituali analoghe moderne. E il marchese Coda Nunziante faceva sua la preghiera all’Onnipotente del cardinale Stickler affinché «attraverso e con l’intercessione della Madonna di Lepanto e di Vienna, questi triarii nuovi, rinnovati, accresciuti attraverso le nobiltà spirituali moderne, possano veramente rovesciare le sorti di questa lotta, di questa sconfitta che ci minaccia tutti e che possano veramente portare a nuove conquiste, a nuovi trionfi dei nuovi e antichi valori umani e cristiani».
Luigi Coda Nunziante apparteneva a questa élite. Fu un cattolico esemplare e un perfetto gentiluomo formato ai sentimenti dell’onore e all’attaccamento ai valori patriottici e religiosi che seppe trasmettere ai suoi familiari. Era sposato con la contessa Gabriella Spalletti Trivelli da cui ha avuto cinque figli e quindici nipoti.

da: www.corrispondenzaromana.it

Convegno "Introduzione alla genealogia e all'Araldica"


Scudi e stemmi di Famiglie e di Enti attribuiti dalla Commissione di Studi Araldici e Genealogici dell'ASCU

 Stemma di Maria Patrizia Allotta
 Stemma di Antonella Bacino

 Stemma di Antonino Arrigo

 Stemma di Antonino Sala

 Stemma di Paolo Grimoldi

Stemma di Ignazio Simonetta


Stemmi di Enti

lunedì 6 luglio 2015

"La Famiglia Romano di Napoli", del Prof. Roberto Romano

E' Stato pubblicato in apposito Quaderno lo studio-storico-araldico-genealogico ad opera del Ch.mo Prof. Roberto Romano dell'Università di Napoli sulla storia della Sua illustre Famiglia, ramo residente in Campania. Il Prof. Robero Romano Il prof. Roberto Romano, docente di Filologia Bizantina al Dipartimento di Filologia Classica “Francesco Arnaldi”, Università degli Studi di Napoli Federico II  e autore di numerosi, importanti studi storici e di diritto nobiliare a cavalleresco.  



Ultima Messa, prima della pausa estiva, in Santa Croce al Flaminio a Roma del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio

il Cav. Prof. Antonino Sala
Sabato 20 giugno presso la Basilica di Santa Croce al Flaminio a Roma è stata celebrata da don Carlo Dell’Osso l’ultima Santa Messa prima della pausa estiva del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio alla presenza di una nutrita compagine di cavalieri. Le attività riprenderanno a settembre nel giorno dell’esaltazione della Santa Croce. A tutti i cavalieri confratelli va il mio augurio di una serena e rinfrancante estate in vista degli appuntamenti importanti che aspettano l’Ordine.

l'Albero genealogico della Famiglia Romano di Tramonti - Positano - Sicilia

Pubblichiamo l'Albero genealogico della Famiglia Romano di Tramonti - Positano - Sicilia, e il relativo stemma di uso ultracentenario della stessa Famiglia, dal “Cuerpo de Cronistas Reyes de Armas “ di Spagna(1994) e pubblicato dalle edizioni Nobiltà  a cura di Pier Felice degli Uberti e Maria Loredana Pinotti " Libro degli Stemmi italiani certificati dai Re d'Armi di Spagna 1995-1996". La Famiglia Romano oggi è rappresentata in Palermo dal Prof. Comm. Tommaso e dal figlio Dott. Ignazio. L'albero è stato curato dalla "Commissione di Studi Storico - Araldico - Genealogici" dell'ASCU - Accademia  Siciliana di Cultura Umanistica, il cui rettore è oggi il Dott. giuseppe Bagnasco. La commissione fu presieduta dal principe Don Gaetano Hardouin Ventimiglia di Belmone (1924-1992) di venerata memoria. che fu il primo presidente dell'ASCU e di cui pubblichiamo inoltre un profilo tratto dal volume "Antimoderni e crittici della modernità"(ISSPE 2012)

Clicca qui per visionare l'albero genealogico
Cliccq qui per leggere la biografia del Principe Gaetano Hardouin di Belmonte

Elogi funebri palermitani nell' A.D. 1836 per Maria Cristina di Savoia Regina delle Due Sicilie



sabato 4 luglio 2015

Disciplina dell’araldica privata

Pubblichiamo il disegno di legge n° 2692 del deputato On. Paolo Grimoldi presentato il 30 ottobre 2014. Come si potrà evincere dal testo è stata in gran parte elaborata da Tommaso Romano e Antonino Sala

 

venerdì 3 luglio 2015

La tradizione delle famiglie come affermazione e difesa dell'identità storica e naturale

Tradizione di famiglie è un blog indipendente che intende valorizzare le famiglie e le loro storie, le biografie singole e di comunità, attraverso narrazioni, studi, genealogie, immagini, luoghi, monumenti, case-museo, toponomastica,  araldica, illustrando fatti e avvenimenti significativi anche di vita civica, aristocratica, notabilare  e cavalleresca, e comunque meritevoli di attenzione e divulgazione. Il presente blog è parte della BlogsferaThule, che comprende i seguenti altri blog:
Naturalmente sui dati personali e/o familiari comunicati, riguardo gli aspetti privati, quelli eventuali di discendenza, dichiarazioni di titolo, onorificenze, ecc… Ogni responsabilità -  a tutti i livelli – è e resterà quindi degli autori che firmano i testi. Ci riserviamo, ovviamente e comunque, di scegliere, non necessariamente dovendo giustificare le nostre scelte per le esclusioni di ciò che non andremo a pubblicare. Questo è, infatti, un blog libero senza periodicità fissa e senza finanziamenti palesi o occulti, che serve al solo fine di ridare slancio e rinnovata identità e autorevolezza  alla famiglia tradizionale primo ed essenziale  nucleo della vita della società, oggi così pesantemente attaccata dalle ideologie della modernità, che tendono a modificare il concetto originario stesso di famiglia. Un blog della memoria che non vuole vivere di memorie passate piuttosto onorarle e attualizzarle come patrimonio morale, spirituale e religioso delle famiglie e spronando alla conquista di sempre notevoli, significativi traguardi. Per ogni corrispondenza fondazionethulecultura@gmail.com