sabato 30 dicembre 2017

I contenuti del nuovo numero del Gazzettino Araldico


4° Convegno - Araldica: attualità e prospettive
L'araldica in università p.2
di Paolo Bizzozero
Quando il luogo fa la differenza p.2
a cura del Centro Studi Araldici

L'araldica dello Scudo d'Oro
La storia dei Koreywa p.3
di Raffaele Coppola
Novità libraria - Genealogia e storia del casato Koreywa p.4
a cura della Redazione del Gazzettino Araldico

7° Rapporto Nazionale sullo Stato dell'Araldica
7° Rapporto sull'Araldica p.5
di Giovanni Moneta
Indicazioni metodologiche p.5
a cura della Redazione
Offerta 7° Rapporto sull'Araldica cartaceo p.6
a cura delll'Ufficio Stampa

Incontro pubblico sull'araldica
Dall'archivio al libro p.7
di Carlo Preatoni

Notizie in breve
5x1000 al CESA p.8
Premio di laurea p.8
22 nuovi filmati per araldica TV p.9
AAA Cercasi collaboratori p.9
a cura delle nostre Redazioni

Selezione dalla cronaca del "Notiziario Araldico"
Leonardo Visconti di Modrone nuovo Governatore Generale dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro pp.10-12
Mostra degli Ordini equestri della Repubblica di San Marino pp.12-13
a cura della redazione del Notiziario Araldico

Le nuove registrazioni
Riproduzioni di tutti i nuovi stemmi familiari registrati su Stemmario Italiano® p.14-15
a cura della Cancelleria del Centro Studi Araldici

Libri in redazione
Collegio Cardinalizio per l'anno 2016 p.16
di Raffaele Coppola

Pubblicazioni Centro Studi Araldici
Collana L'araldica dello Scudo d'Oro pp.17-18
Rapporto Nazionale sullo stato dell'Araldica p.19-20
Attii dei convegni p.20
Gazzettino Araldico Raccolta p.21
Miscellanea p.22
a cura della Redazione

Notiziario Centro Studi Araldici

Tutte le news sulle attività del CESA pubblicate nel Notiziario Araldico durante l’ultimo semestre pp.23-26
a cura della Redazione

Ultima di copertina
La foto a soggetto araldico selezionata per questo numero p.27

E' possibile scaricare il Gazzettino in un file pdf al seguente indirizzo:


venerdì 22 dicembre 2017

Elena di Savoia. Riposa Nel Santuario Di Vicoforte

di Aldo A. Mola

Dalle 15 del 15 dicembre 2017 la Salma di Elena di Savoia, riposa nella Cappella di San Bernardo  del Santuario-Basilica di Vicoforte (Cuneo), accanto alle spoglie di Carlo Emanuele I di Savoia, il Duca che nel 1596 volle la costruzione del maestoso Mausoleo dei Savoia, capolavoro di Ascanio Vitozzi e di Francesco Gallo.
Elena fu la Regina più amata dagli italiani: maestosa e affabile, riservata e onnipresente, ispirò artisti, poeti e suscitò l'affetto dei cittadini che la sentirono vicina.
Insignita da papa Pio XI della “Rosa d'Oro della Cristanità” (1937), onorificenza suprema pontificia conferibile a donne, da Pio XII fu definita “Signora della carità benefica”.
Sempre accanto al Re, Vittorio Emanuele III, condivise il dramma del popolo italiano. La sua secondogenita, la Principessa Mafalda, consorte del principe Filippo d'Assia, gravemente ferita durante un bombardamento aereo americano sul campo di prigionia ove era stata deportata dai tedeschi (1944), morì dopo un vano intervento chirurgico. Ne scrisse con delicatezza Mariù Safier, biografa anche di Jolanda di Savoia (“La Principessa del silenzio”, ed. Teca), consorte del conte Carlo Calvi di Bergolo.

Elena nacque a Cettigne l'8 gennaio 1873, sestogenita degli undici figli di Nicola I Petrovic Njegos, principe del Montenegro, e di Milena Vukotic. Suo padrino fu lo zar di Russia Alessandro II. Allieva dell'Istituto Smonly a San Pietroburgo, coltivò lettere, disegno, pittura e musica.
Nel 1895, all'Esposizione di Belle Arti di Venezia, conobbe Vittorio Emanuele di Savoia, principe di Napoli, già allievo del Collegio Militare della Nunziatella. Lo rivide quando il principe ereditario della corona d'Italia nel 1896 andò in visita a Mosca per l'incoronazione dello zar Nicola II. Recatosi a Cettigne, capitale del Montenegro, il 16 agosto il principe la chiese in sposa. Il 21 ottobre la principessa Elena, già di confessione ortodossa, professò la fede cattolica nella Cattedrale di San Nicola a Bari. Il 24 seguente venne celebrato il loro matrimonio civile nel Palazzo del Quirinale e quello religioso in Santa Maria degli Angeli. Seguirono anni di viaggi, sinteticamente documentati dall'“Itinerario generale dopo il 1896” scritto da Vittorio Emanuele III.
Dopo l'assassinio di Umberto I a Monza (29 luglio 1900) Elena ascese a Regina d'Italia accanto a Vittorio Emanuele III, salito al trono trentunenne. Gli dette Jolanda (1901), Mafalda (1902) e Umberto, principe ereditario, nato a Racconigi il 15 settembre 1904, seguiti da Giovanna, poi consorte di Boris III zar dei Bulgari e madre di Simeone II, la cui autobiografia (“Un destino singolare, ed Gangemi) è da pochi giorni comparsa in Italia, e infine Maria.
Nel 1908 accorse in aiuto delle vittime del catastrofico terremoto di Messina e Reggio. Fece adattare a ospedale la corazzata “Regina Elena”. Il 16 luglio 1915, dopo l'intervento dell'Italia nella Grande Guerra, allestì al Quirinale l'Ospedale Territoriale n. 1, capace di 250 letti per feriti gravi, con speciale attenzione per i mutilati e i grandi invalidi, alle cui cure sovrintese e concorse di persona. Istituì la Fondazione Elena di Savoia a sostegno dei figli di ferrovieri mutilati morti o mutilati in servizio o in guerra. Dette forte impulso alla Croce Rossa Italiana e promosse ricerche scientifiche e istituzioni filantropiche con partecipe sollecitudine.
Nel 1939 indirizzò una lettera alle sovrane di Danimarca, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Bulgaria e Jugoslavia sollecitando una iniziativa congiunta per fermare la guerra, cominciata da tre mesi. Il 9-12 settembre 1943 si trasferì da Roma a Brindisi con il Re e il figlio, Umberto, principe di Piemonte.
All'abdicazione di Vittorio Emanuele III (9 maggio 1946) Elena di Savoia lasciò l'Italia per Alessandria d'Egitto, ove visse a Villa Jela. Vi festeggiò cinquant'anni di matrimonio.
Dopo la morte del sovrano (che si spense ad Alessandria d'Egitto il 28 dicembre 1947, da cittadino italiano all'estero, tre giorni prima che la Costituzione potesse comminargli l'esilio) Elena di Savoia si trasferì per cure a Montpellier. Vi morì il 28 novembre 1952. Fu sepolta nel cimitero cittadino di Saint-Lazare, a lungo meta di italiani non immemori. Nel 1960 a Messina le venne dedicato un monumento in marmo bianco di Carrara. Nel 2002, cinquantesimo della sua morte, fu emesso un francobollo a ricordo della sua figura. Altrettanto fece nel 2013 il Montenegro, ove le spoglie dei suoi genitori vennero traslate dalla chiesa ortodossa di San Remo ove erano tumulate.
Nella memoria Elena di Savoia fu e rimane “La Regina Elena”. Per rallegrarsi del suo ritorno non è necessario essere monarchici. Basta essere italiani. È ormai lontano il “tempo del furore”. È tempo di pietas, di ricomposizione della memoria nazionale. Come ha dichiarato Luca Fucini, membro della Consulta dei senatori del regno, delegato a rappresentare la Casa alla estumulazione della salma a Montpellier, Vittorio Emanuele III avrebbe certo desiderato riposare accanto alla Regina, alla quale fu unito nella buona e nella cattiva sorte in cinquantun anni di matrimonio: un capitolo della travagliata storia d'Europa.
Alla ritumulazione, benedetta dal Rettore del Santuario-Basilica, mons. Meo Bessone, hanno assistito il delegato della Casa, Federico Radicati di Primeglio, e il presidente della Consulta dei Senatori del Regno.


martedì 19 dicembre 2017

Rex Mundi: Federico II, custode dell’Impero

di Carlomanno Adinolfi

In molti conoscono la Kyffhäuser Saga, la leggenda che vuole il Barbarossa dormiente nel monte della Turingia in attesa del momento propizio per la rinascita, quando i corvi voleranno intorno alla vetta annunciando il ritorno del Re, pronto per la battaglia finale per riportare la Germania al suo antico splendore. Ma non tutti sanno che, in realtà, questa leggenda dai contorni insieme odinici e arturiani nacque non intorno alla figura del Barbarossa bensì a quella di suo nipote, lo Stupor Mundi Federico II. La leggenda fu adattata in pieno romanticismo e risorgimento tedesco nel XIX secolo: il Barbarossa era infatti più adatto al sentimento nazionale e alla rinascita della Germania rispetto al nipote, la cui vita lontana dalla nazione tedesca lo rendeva meno digeribile ai combattenti per l’identità e unità nazionale germanica. La leggenda originale infatti non aveva a che fare con il risorgere della grandezza di una singola nazione, ma aveva un respiro molto più ampio annunciando la Renovatio di un principio universale: quello dell’Impero, Sacro e Romano e dunque sovranazionale.
Federico II Hohenstaufen è stato indubbiamente il sovrano che più di tutti ha incarnato, dopo Augusto, la figura del Sovrano Universale. Lo stesso termine “ghibellino” usato come seguace dell’Imperatore e dell’Impero Universale in contrasto con le pretese di sovranità temporale da parte dei papi, nasce proprio con lo Stupor Mundi, dato che prima di lui il termine veniva usato solo in ambito di disputa dinastica, indicando i sostenitori della casa degli Hohenstaufen, originari del castello di Weiblingen, contro i sostenitori della casata sassone degli Welfen, da cui in origine il termine “guelfo”, il cui ultimo discendente Ottone IV fu il principale avversario di Federico II per l’ascesa al trono imperiale.
La figura dell’ultimo grande sovrano degli Hohenstaufen fu ammantata di miti e leggende. Nato il giorno di Santo Stefano e quindi a ridosso del giorno di Natale, nella città di Jesi il cui nome ricorda quello di Cristo e partorito da una donna quarantenne, evento quasi miracoloso in epoca medievale, fu ben presto associato tanto a Cristo stesso quanto all’Anticrtisto. Eppure Federico fu il primo grande sovrano medievale a spogliarsi di tutta la simbologia cristica e messianica in voga nei re e negli imperatori di quei secoli. A differenza dei suoi predecessori che provavano tramite iconografia biblica e apocalittica a sottrarre al pontefice il ruolo di rappresentante di Dio sulla terra, facendosi raffigurare troneggianti e circondati da angeli e santi, Federico II fece emergere una nuova iconografia nascente dagli echi delle grandi tradizioni di Roma, degli antichi e mitici re germanici e dei grandi condottieri celtici che avrebbero ispirato il ciclo arturiano. Federico fu il primo dei grandi imperatori germanici, se escludiamo in parte la breve ma splendente parabola di Ottone III, a dare maggior peso al titolo di “Imperatore dei Romani” piuttosto che a quello di sovrano del regno germanico. E per Romani Federico faceva intendere ovviamente l’intero Orbe occidentale e cristiano. Anziché un Imperatore novello Cristo sulla Terra, Federico iniziò a farsi rappresentare sempre più frequentemente come Augusto redivivo. Questo risulta palese in una delle iconografie più importanti e diffuse dell’epoca medievale, quella numismatica. Federico fece coniare una nuova moneta aurea chiamata appunto Augustale che in uno dei due versi aveva il busto dell’Imperatore con il capo laureato, con chiaro riferimento ai Cesari di Roma. Anche l’Aquila Imperiale simbolo del Sacro Romano Impero fu trasformata da Federico che la modificò con l’aquila ad ali spiegate classica dell’iconografia imperiale romana. Sull’altro lato dell’Augustale campeggiava proprio un’aquila simile, così come nel mezzo denario della zecca brindisina e messinese. Anche nel far costruire il proprio monumento sepolcrale Federico fece una scelta chiara e consapevole, scegliendo una tomba di porfido rosso, quel Lapis Porphyrites di color porpora associato alla dignità imperiale dei Cesari. La figura dell’Imperatore come erede dei Cesari fu enfatizzata anche da un’opera storico-cronologica compilata a Firenze in cui venivano riportate le vite dei grandi imperatori partendo da Cesare fino ad arrivare proprio a Federico II. Gli fu anche associata una profezia della Sibilla che lo voleva come restauratore della Roma dei Cesari, ponendolo come ultimo nella linea di successione degli eroi della storia di Roma partendo da Enea.
Ma il grande Hohenstaufen andò anche oltre l’iconografia cesariana e augustea. In numerose occasioni i figli Corrado e Manfredi si riferirono a lui come manifestazione del Sole, riprendendo la tradizione pre-cristiana dei grandi Re che identificandosi con l’astro diurno affermavano il loro ruolo di sovrani universali, a partire dai faraoni egizi, tutti figli di Ra e incarnanti Horus, passando per i Re persiani e arrivando fino ai Cesari che da Augusto restauratore del Regno di Apollo presero poi a partire da Aureliano a identificarsi con il Sol Invictus. Il ruolo del sovrano-sole come luce e polo – come Apollo – dell’intero cosmo si ritrova anche nella stessa leggenda del re che, al giungere della notte del mondo, dorme in attesa di ridestarsi in un monte che svetta al di là del regno materiale. Chiaro il riferimento alla leggenda arturiana in cui il leggendario possessore di Excalibur non è morto ma si è “ritirato” dormiente ad Avalon in attesa della sua prossima venuta. Al di là dell’immagine messianica della seconda venuta di Cristo, quello del Re dormiente in attesa di essere svegliato, del Re ferito in attesa di essere guarito, questo è un tema che affonda le sue origini in un passato indoario molto antico che potrebbe trovare riscontri anche nel rito del Rex Nemorensis. Il riferimento è proprio quello di un principio immortale – il re non è mai morto, dorme – che deve essere restaurato, rinnovato – il re che va ringiovanito, o guarito o la sua spada spezzata che va riunita o il suo albero sacro, secco, che va fatto rifiorire – e che proprio in quanto principio immortale ha sede al Centro di tutto, nell’Asse cosmico, nella terra polare: per questo l’isola al centro del lago o del mare o la stessa Montagna Sacra, come nei casi di Artù e Federico. Lo stesso nome di Artù, da Arktos che vuol dire orso, rimanda alla simbologia polare dell’Orsa, l’astro attorno a cui ruota il mondo intero. E tutta la saga arturiana, nata proprio durante il regno degli Hohenstaufen, quando il Barbarossa da Magonza fece partire un nuovo mecenatismo sotto il vessillo imperiale che avrebbe fatto rifiorire la letteratura cavalleresca, è imperniata tutta sulla figura di un Re polare e sovrano universale.
Pur se nato nel contesto celtico-britanno della Cornovaglia, forse ispirato a un condottiero realmente vissuto nel VI secolo dopo Cristo, il mito arturiano per come fu codificato a partire dal XII secolo abbatte i limiti nazionali per divenire la saga di un Rex signore dell’intero Orbe e intorno a cui si siedono i cavalieri provenienti da tutto il mondo – la Tavola Rotonda chiaro emblema dell’intera volta cosmica, i dodici cavalieri come ipostasi microcosmiche dello Zodiaco – e a cui spetta di diritto, il calice del Sacro Graal contenente il Sangue Reale. Il mito di Artù, anche se cristianizzato con la leggenda del Graal come calice dell’Ultima Cena contenente il sangue di Cristo, segna in realtà il re-irrompere della tradizione pagana e pre-cristiana nell’immaginario medievale e fu non a caso utilizzato come “contro-mito” da parte imperiale contro le pretese dei papi che infatti cercarono sempre, da allora, di depotenziare il mito arturiano e del Graal facendo aleggiare intorno ad esso un sospetto alone di eresia. Federico II attinse a piene mani al mito arturiano tanto che sotto il suo imperio circolarono i Verba Merlini, profezie attribuite al celebre mago mentore di Artù che profetizzavano lo scontro tra la Roma imperiale e quella dei Papi con chiaro riferimento allo scontro tra Federico e Gregorio IX prima e Innocenzio IV poi. Impossibile poi non ricordare, oltre al mito postumo del suo sonno nel monte Kyffhäuser, la leggenda secondo cui in delegazione a omaggiare Federico venne lo stesso Re Pescatore, mitico custode del Graal, proprio a testimoniare il riconoscimento di Federico come Rex Mundi da parte del Principio regale-cosmico stesso. Sempre secondo la leggenda, il Re donò a Federico un anello capace di renderlo invisibile e quindi di portarlo al di là del mondo materiale trasportandolo in quello spirituale, da cui deriva la stessa Auctoritas imperiale. Anche il mito del Sangue Reale fu spesso utilizzato da Federico: gli Hohenstaufen vennero definiti stirpe divina il cui sangue imperiale era esso stesso divino, e in questo la diretta discendenza degli imperatori svevi da Enea, Cesare e dalla gens Iulia enunciata dalla profezia sibillina che circolava in quegli anni ebbe un ruolo non di poco conto. Il fatto stesso che poi Federico facesse raffigurare sui braccioli del suo trono non le solite figure apostoliche o angeliche bensì tutti i suoi predecessori, dimostra come egli volesse manifestare una trasmissione dinastica e “di sangue” tra i sovrani che sono tali non tramite intercessione papale ma che fanno derivare la loro Dignitas dall’autorità imperiale medesima che discende essa stessa dal Divino, senza intermediari.
Catalizzando tutto questo simbolismo su di sé Federico II ovviamente si spogliava della figura dell’Imperatore come protettore della Chiesa, come vicario di Cristo o come controparte del papa per diventare qualcosa di assolutamente nuovo e, simbolicamente, più alto. L’Imperatore diventa egli stesso una figura divina, al pari dei divi Cesare, Augusto e dei loro successori, Pontifex lui medesimo in quanto punta della piramide gerarchica sulla terra e quindi punto di incontro con il Cielo. Il Sovrano assoluto diventa il fulcro attorno a cui ruota l’Impero senza confini che abbraccia tutto il mondo, il perno intorno a cui gira la civiltà stessa e le vite degli uomini. Anche le famosissime costituzioni di Melfi del 1231, il cui codice fu chiamato Liber Augustalis con ovvio e rinnovato riferimento al divo Augusto, vanno lette in quest’ottica. In esse Federico riconosce nella Pace e nella Giustizia il “fondamento di tutti i regni” riprendendo tanto il concetto di Pax Augusta quanto il ruolo della figura indoaria del Cakravartî, il “signore di Pace e Giustizia” che garantisce la Legge come Ordine Cosmico (Rta), nonché quella della misteriosa figura biblica di Melchisedek, re del mitico regno di Salem e primo re universale della mitologia ebraica pre-mosaica nonché capostipite di una tradizione regale superiore e in qualche modo contrapposta a quella abramitica – che ne sarebbe una derivazione o una deviazione – e il cui nome vuol dire proprio “Re di Giustizia” mentre il nome del suo regno, Salem, secondo alcune tradizioni vuol dire proprio “Pace”. È interessante poi notare che proprio il nome Federico derivi dall’antico germanico Frithu-Rik che vuol dire appunto “Sovrano di Pace”. Le costituzioni di Melfi poi segnano un momento cardinale per la storia del diritto poiché pongono fine al dualismo post-ambrosiano e medievale tra il diritto divino che si evince dalle Scritture e il diritto umano, tramandato, mutevole, scaturito da abitudini claniche e tribali e comunque poco codificato ma pur sempre sottoposto al primo. Con il Liber Augustalis l’Imperatore sale sul vertice del mondo e diventa garante della “giustizia che emana direttamente dal Cielo”. Tramite la formula sempre presente nel codice Deus et Iustitia Federico annuncia al mondo un nuovo diritto, seppur mutuato dall’antico mondo pagano e soprattutto romano, per cui chi serve la Giustizia serve anche Dio e soprattutto radicando il principio per cui chi serve lo Stato in tutte le sue forme e nelle singole mansioni particolari non serve soltanto un regno terrestre ma compie la volontà divina, arrivando quindi nuovamente a identificare la Lex con il Rta e l’Impero con il Cosmo.
L’identificazione dell’Imperatore con il centro del mondo che garantisce un Ordine divino sulla terra ebbe una portata politica e spirituale senza precedenti. L’Impero di Federico II davvero non ebbe confini. Oltre ai regni cristiani vennero a rendergli omaggio anche delegazioni dal mondo orientale – forse la leggenda della visita del Re Pescatore nacque grazie a tali ambascerie – e noti sono i contatti con il mondo arabo, con la sesta crociata, unica nella storia, ad essere risolta senza che fosse versata una sola goccia di sangue grazie al patto d’amicizia sancito con il sultano ayyubideMalik al-Kamil, nipote del Saladino, che garantì a Federico, oltre alla celebre armata di mercenari saraceni più volte decisiva nelle sue guerre, anche la corona di Re di Gerusalemme, considerata allora il centro del mondo al pari di Roma e che contribuì ancor più a dare all’Hohenstaufen l’aura di sovrano cosmico.
La sovranità universale di Federico si riversò anche sull’aspetto religioso. Il superamento della forma cristiana non si attuò solamente sull’iconografia e sulla politica: sono documentati i rapporti e i dialoghi filosofico- religiosi di Federico tanto con Michele Scoto, filosofo scolastico e dunque cristiano ma che fu anche astrologo e alchimista con fama di “mago”, quanto con il filosofo arabo IbnSab’in. Le sue domande sulla sopravvivenza dell’anima e il suo continuo ribattere polemico e spesso irriverente alle risposte dogmatiche dei sacerdoti cristiani e islamici furono usati come pretesto per dimostrare l’eresia o perfino l’ateismo dell’Imperatore che invece fu tutt’altro che “materialista” come volle la vulgata guelfa e filo-papale, ma che fu piuttosto un cercatore di una Unità trascendente e divina al di là delle singole forme particolarie dei dogmi, che per Federico erano mere superstizioni che ostacolavano la vera Scienza divina.
Questo fece nascere ulteriori dicerie e leggende che si intrecciarono con quelle sui Templari. In molti vollero Federico in rapporti segreti esoterici con l’Ordine del Tempio – ch invece ebbe rapporti travagliati con il sovrano che gli preferì sempre l’Ordine Teutonico – che si espressero soprattutto nell’architettura magico-simbolica di alcuni edifici tra cui il celebre Castel del Monte, sotto al quale si diceva che Federico intrattenesse, in una stanza segreta all’interno del monte il cui tetto era dipinto a imitazione della volta celeste, discorsi sapienziali con i più alti rappresentanti delle tre grandi religioni monoteistiche. Ovviamente l’intreccio di leggende templari e arturiane fece nascere anche la leggenda secondo la quale il sovrano custodisse egli stesso il Sacro Graal. Fu sempre Castel del Monte al centro di queste leggende. Il castello fu e resta un unicum nell’architettura medievale: tanto il luogo lontano dalle frontiere quanto l’assenza di soluzioni e meccanismi difensivi e soprattutto le scale che salgono in senso antiorario favorendo l’assalitore invece del difensore rendono palese che l’iconico castello ottagonale non avesse scopo militare. La complessa architettura basata su rapporti geometrici e matematici e direzionata scientemente secondo direttive astronomiche rendono il castello più simile ai templi pagani e agli antichi cerchi megalitici o alle cattedrali gotiche. Un edificio così particolare e dalla geografia sacra così palese non poteva che essere costruito per un motivo molto importante e fu ovviamente indicato come uno dei tanti luoghi in cui il Graal era custodito.
Leggende, ovviamente, che possono far sorridere chi sia convinto che il Graal non sia tanto un calice fisico quanto ciò che contiene: il Sangue Reale che riconnette al Principio e che pertanto non può essere qualcosa di materiale. Sangue Reale e Principio che sicuramente furono incarnati dal grande Federico, Rex Mundi, Imperatore a cui si possono tranquillamente applicare le parole dell’Artù del film Excalibur di John Boorman: “non ero destinato ad una vita umana ma ad essere l’essenza di memorie future”.
da: www.ereticamente.net

mercoledì 6 dicembre 2017

Simeone di Bulgaria. Un destino singolare

di Cristina Siccardi 

«Ho voluto questa autobiografia perché fosse un documento di prima mano per evitare che un giorno ci siano gli interpreti a dire “pare che abbia detto”, “pare che abbia fatto”, così che la realtà rimanga indietro», è ciò che ha dichiarato Re Simeone II durante la presentazione dell’autobiografia Simeone II di Bulgaria. Un destino singolare. Dopo 50 anni di esilio l’unico Re divenuto Primo Ministro (Gangemi Editore, pp. 320, € 24,00), che si è tenuta a Roma nella Sala mostre e convegni Gangemi l’11 novembre scorso.

Il libro è stato redatto dallo storico francese Sébastien de Courtois sotto dettatura del Re dei Bulgari. Inizialmente è stato pubblicato in francese e poi, via via, nelle diverse lingue. Il 16 giugno scorso, il Re bambino divenuto decenni dopo Primo Ministro di Bulgaria (21 luglio 2001), ha compiuto 80 anni, ciò significa che è stato testimone delle tragiche vicende totalitariste che hanno attraversato l’Europa. Uomo ovunque stimato per le sue doti intellettuali, amministrative, organizzative, porta con orgoglio e onore il ricco retaggio spirituale sia del padre, Re Boris III (1894-1943) di Bulgaria, che della madre, Giovanna di Savoia (1907-2000).
I genitori si sposarono ad Assisi (per un voto promesso da Giovanna, la quale diverrà terziaria francescana e vorrà poi essere sepolta nella città di san Francesco, dove tuttora riposa) il 25 ottobre del 1930. Simeone è stato sovrano dal 1943 al 1946, dopo l’assassinio del padre. Vista la giovane età, 6 anni, fu nominato un Consiglio di reggenti, a capo del quale fu posto lo zio, il Principe Kyril.
Questa autobiografia, scritta con perizia e trasparenza, viene ad assumere un enorme valore storiografico, sia per i fatti che vengono rivelati, sia per l’autorevolezza di chi li espone: qui è presente tutta la Storia d’Europa del XX secolo fino ad arrivare agli incredibili accadimenti dell’inizio del XXI, quando, per la prima volta, un Sovrano è stato eletto Premier di una Repubblica da poco liberata dalla tirannia comunista.
Boris III della dinastia di Sassonia-Coburgo-Gotha riuscì a non far intervenire il proprio Paese nel secondo conflitto mondiale, risparmiando così moltissime vite umane, fra le quali quelle degli ebrei, in quanto non acconsentì mai alla loro deportazione.
Boris III venne avvelenato, molto probabilmente, come sosteneva Giovanna di Savoia, straordinaria sposa, madre e Regina, per mano dei sovietici. Lo zar dei Bulgari morì il 28 agosto 1943, alle ore 16,20, e Simeone gli succedette sul trono. Il 28 agosto di un anno dopo morirà, assassinata nel campo di concentramento di Buchenwald, Mafalda di Savoia, la quale, molto legata alla sorella Giovanna, si era recata un anno prima al funerale del cognato Boris, proprio nei tragici giorni in cui l’Italia firmava l’armistizio.
Nel gennaio del 1944 Sofia viene bombardata dagli alleati. Il 1° febbraio 1945 il Principe Reggente Kyril è fucilato a Sofia dopo il colpo di Stato comunista sostenuto dall’Unione Sovietica.
Nel 1946 la monarchia è abolita con un referendum nel quale il 90,72% dei votanti si era espresso a favore della Repubblica: un risultato chiaramente manipolato dal Governo di coalizione di Otečestven front, nel quale il partito comunista era la forza principale, senza contare la pesante influenza esercitata dalle stanziate truppe militari sovietiche. La Regina e i due figli, Simeone e Maria Luisa (nata il 13 gennaio 1933), sono costretti all’esilio, dapprima riparano in Egitto, poi, nel luglio del 1952, trovano ospitalità nella Spagna di Francisco Franco. La prepotenza che l’Unione Sovietica eserciterà sul popolo bulgaro sarà orribile, persecutoria e criminale, fino alla fine.
Il volume racchiude tutto il sapore del calore familiare, come è proprio di alcune case reali: non vengono fornite informazioni asettiche e ideologiche di carattere statalista, bensì emergono narrazioni di mera essenza storica e, allo stesso tempo, trapelano chiari sentimenti, sia nei confronti dei propri cari che del proprio popolo: è un tutt’uno.
Dalle pagine emerge il cuore di quella tradizione monarchica super partes, dove la casa regnante è una cosa sola con la propria nazione, in un’osmotica combinazione fra i sovrani e la propria gente, dove tutti si riconoscono nelle proprie radici.
A dimostrazione di tutto ciò questi ricordi sono dedicati ai cinque figli «e soprattutto ai miei nipoti affinché conoscano meglio le proprie origini e possano sempre crescere con loro». Nel prologo Simeone II scrive, a proposito del suo ritorno dal lungo esilio: «In quel giorno di maggio del 1996, le circostanze della vita mi offrivano la possibilità di tornare nei luoghi in cui ero stato felice, per questo sarò sempre riconoscente alle persone che me lo permisero […]. Penso soprattutto a mia madre, la Regina Giovanna, che non è più di questo mondo: aveva sempre rifiutato di abbandonare la speranza che potessi tornare in Patria, finché questo non avvenne. […] Seduta accanto a me, mia moglie [Margarita Gomez-Acebo y Cejuela,ndr] mi strinse d’istinto la mano, mentre mi avvolgeva con lo sguardo. Dal momento del nostro matrimonio, nel 1962, aveva condiviso e vissuto sulla pelle fino al più piccolo sussulto della mia vita politica; sapeva quanto avessi atteso quel ritorno in Bulgaria […]. Sebbene fosse nata in Italia, mia madre aveva obbligato me e mia sorella Maria Luisa a comunicare in bulgaro, soprattutto negli anni seguenti alla nostra partenza, al fine di non perderne l’uso. […] La Bulgaria è un Paese che mi abita profondamente, al quale sono talmente legato da essere più che deciso a restarvi ora, costi quel che costi, malgrado le meschinità malevoli di cui – soprattutto dopo gli anni neri del comunismo – sono stato vittima in ragione di una vendetta politica di bassa lega, che mi rattrista molto. […]”Per parte mia”, scrive il mio compatriota, il filosofo TzvetanTodorov, in Memoria del male, tentazione del bene, “preferirei che si ricordassero, di questo cupo secolo, le figure luminose di alcuni individui dal destino drammatico, dalla lucidità impietosa, che hanno continuato malgrado tutto a credere che l’uomo meriti di rimanere lo scopo dell’uomo”. Non posso fare altro che sottoscrivere a mia volta queste parole piene di saggezza e di ottimismo» (pp. 9-10).
È stata assai sofferta la decisione di Simeone II di scrivere su di sé e sulla propria famiglia, nonché di Storia. Il senso del rispetto e della carità nutrono i paragrafi: non ci sono giudizi, vengono esposti dei fatti, per tale ragione ci viene naturale riandare alla scrittura di Maria Teresa di Francia, duchessa d’Angoulême (figlia dei decapitati Luigi XVI e Maria Antonietta, e per alcuni minuti, nel 1830, Regina di Francia), del suo Racconto degli avvenimenti accaduti al Tempio (Casa Editrice Ceschina, Milano 1964), avvenimenti che vanno dal 13 agosto 1792 fino alla morte, causata dalla dura prigionia, del fratello Luigi XVII. Anche qui è presente il valore della famiglia, l’amore per la propria terra. Anche qui la tirannia, quella giacobina, scoppiata nel 1789.
Duecento anni dopo cade il Muro di Berlino, e per Simeone II, divenuto nel corso degli anni, grazie ai suoi studi e al suo impegno, un manager di prim’ordine a livello internazionale, si profila la possibilità di lavorare per i concittadini con maggior speranza rispetto a prima, intanto la Patria si fa più vicina: «La Bulgaria rappresentava per mia madre un mito divino, era una sorta di Terra promessa dove aveva esercitato i suoi talenti di Sovrana. Nessuno potrà mai contraddirmi rispetto all’importanza del ruolo da lei rivestito in quanto Sovrana. Mia madre si dimostrò infatti ampiamente all’altezza del suo compito, intenzionata a non emettere mai giudizi su nessuno. Ed è proprio questo che trasmise anche a noi. Ma stiamo parlando di un’altra epoca, soprattutto di un’altra educazione, che tanto contrasta con la tendenza voyeristica di oggi a cibarsi della sofferenza psicologica altrui, senza però muovere un dito per alleviarla» (pp. 10-11).
Simeone II non ha voluto lasciare la Storia ai soli vincitori e questa sua autobiografia ne è ampia e coraggiosa dimostrazione. Purtroppo non così fecero i sovrani d’Italia, dallo stesso Simeone ricordati, infatti egli pensa che la loro testimonianza avrebbe avuto un valore inestimabile «aiutandoci a comprendere meglio la Storia recente d’Italia. Le memorie servono infatti anche a far luce su un passato che si conosce male, che non viene quasi mai descritto da una prospettiva interna alla storia delle famiglie reali. […] Perché a passare alla Storia fu soltanto la visione dei loro oppositori […] ma penso che una volta ancora l’eccesso di pudore e la paura di compromettere persone ancora politicamente attive abbia impedito loro di tornare con lo sguardo sulle proprie azione passate» (p. 13).
Anche per non commettere più questo genere di omissione, fondata sulla discrezione e riservatezza – sulle quali hanno marciato beffardamente le bandiere e propagande rosse italiane – crediamo che Simeone abbia deciso di mettere nero su bianco la sua versione. Tuttavia, ricorda l’autore, non bisogna dimenticare che «la grande Storia si costruisce in fondo anche con le piccole storie individuali e che soltanto incrociando entrambi gli elementi è possibile pervenire a una conoscenza storica più approfondita, quando non alla verità. Sempre che si possa parlare di Verità nel contesto della Storia. […] Poiché sono cristiano, credo inoltre nell’amore per il mio prossimo e nell’esigenza di ricordarsi sempre di come i cammini che orientano l’esistenza restino un mistero insondabile» (pp. 14-15).
Queste memorie sono un atto di giustizia e tutte le persone, rimaste intellettualmente oneste, dovrebbero esserne vivamente grate oltre al fatto che la loro sete di verità non rimarrà delusa, qui troveranno invero molte risposte alle loro domande: la storia dei faziosi è senz’altro più sensazionalistica, ma «non basta lasciare la Storia ai soli vincitori. Nel corso della mia vita ho visto talmente tanta propaganda – nazista, sovietica e, ovviamente, anche occidentale – da trovarla ormai pietosa e da restarne disgustato».
Comunque, a dispetto di tutto e di tutti, compresa quella stampa illuministicamente egualitaria, Simeone II è tornato trionfante nell’amata Bulgaria, dove ha governato dal 2001 al 2005 e dove adesso continua a vivere senza rassegnarsi alle menzogne.
Quando nel 2003 mio marito ed io ci recammo a Sofia, tastammo con mano e con commozione il potente affetto che continuava a legare i Bulgari alla Casa reale, nonostante 50 anni di infangante e atroce propaganda comunista.

da: www.corrispondenzaromana.it