martedì 31 gennaio 2017

Il culto liturgico di Carlomagno

Uno dei fatti poco conosciuti, ma con evidenti ripercussioni nell’identità cristiana occidentale, è il culto liturgico di Carlomagno nei territori dell’impero franco-germanico.
L’imperatore Carlomagno, riferimento storico-culturale anche per l’attuale contesto europeo, è stato, di fatto, uno dei principali responsabili della scissione delle Chiese, accelerando, a suo favore, quel processo di estraniamento che ha separato l’Occidente cattolico dall’Oriente ortodosso. Quest’accelerazione si è realizzata all’interno di un vasto movimento definito “riforma carolingia”.
Un tal operato, visto col senno di poi, non merita certo l’attribuzione di santità né, tantomeno, quel culto che verrà esaminato nelle seguenti righe. Le positive, straordinarie e iperboliche valutazioni nei riguardi dell’imperatore, celebrate liturgicamente, contrastano in modo drammatico con una certa coscienza e conoscenza storica attuale nei suoi riguardi.
Tuttavia, dal momento che si è stabilito questo culto, abbiamo il segnale che, lungo la storia, possono pure esserci attribuzioni di santità nei riguardi di personalità ordinarie o non degne di tale titolo. Tali attribuzioni nascono, evidentemente, per un fine politico e una convenienza pratica comprensibile in un determinato contesto.
(Testo tratto da: Robert Folz, Études sur le Culte liturgique de Charlemagne dans les église de l’Empire, Paris, pp. 112-115 ; 124-126).

Le preghiere della festaDalle fonti ci sono giunti una ventina di testi, di epoca e origine molto differenziate. Possono essere dive in due categorie: da una parte, le preghiere che risalgono all’epoca in cui fu composto il vero e proprio Ufficio liturgico di Carlomagno e che si espande ovunque il suo culto si modelli sulle disposizioni di Aix-la-Chapelle. Le altre preghiere, sono di tipo più comune, particolari a questa o quella chiesa. Nell’epoca moderna, viceversa, tende a prevalere una certa uniformità.

Testi originari di Aix-la-Chapelle
Fonte comune: ms 40 degli archivi capitolari (raccolta di collette del 1314 con ulteriori aggiunte, del XVII e XVIII secolo).

  1. Deus qui animae famuli tui Karoli aeternae beatitudinis praemia contulisti, concede propitius, ut qui peccato rum nostro rum pondere premitura aius apud te precibus sublevemur. Una delle più antiche orazioni della festa giuntaci dal messale di Aix-la-Chapelle del XIII secolo e ripresa dal diurnale di Verden (XIV-XV secolo) e il breviario d’Osnabrück del 1489. Il contrasto “pondus – levari” rivela che si tratta probabilmente di un adattamento della preghiera dal comune dei martiri “quia pondus propriae actioni gravat… intercessio gloriosa nos protegat”. Essa trova pure il suo normale posto nelle chiese in cui Carlomagno era venerato come martire. Nella stessa Aix, fu sostituita da tutta una serie di preghiere molto vicine alla Vita S. Karoli e contemporanee alla composizione dell’ufficio.
  2. Deus qui superhabundanti foecunditate bonitatis tuae, beatum Karolum Magnum imperatore et confessorem tuum, deposito carnis velamine, beatae immortalitatis trabea sublimasti, concede propitius, ut qui ad laudem et gloriam nominis tui honore imperii exaltasti in terris, pium ac propicium intercessorem habere mereamur in coelis.· Orazione a Aix-la-Chapelle, per tutte le feste di Carlomagno, primi vesperi e messa: Zurigo (XIII-XV secolo), Francoforte, Karlshof, clm 14279 (XV secolo), primi vesperi e messa; Mayence, messali del 1493, 1513, 1601; Münster, breviario del XV secolo; Brema, messale del 1509; Minden, messale del 1513; Praga, messale del 1522; Trèves messale del 1608; Paderborn, messale del 1668; Neustadt, messale del 1742. L’orazione è molto vicina alla Vita S. Karoli.
Superhabundanti foecunditate: I, 9; cf. III, 12 “fecunda bonitate divinae clementiae”.
Beatae immortalitatis trabea: III, 16, “veste beatae immortalitatis indutus”; la preghiera rafforza l’immagine sostituendo “vestis” con “trabea” il candido indumento ornato di porpora, insegna del console, per suggerire indubbiamente il legame tra i due imperi di cui Carlomagno è beneficiario.
Sublimasti – exaltasti: termini provenienti da I, 3 “factum est, ut perfectius sublimaretur et apice maiestatis imperatoriae exalteretur”; cf. I, 9 “in terra mirifice sublimatus”.
Ad laudem et gloriam: la formula si trova in I, 7 e in III, 18 verso la fine dei due capitoli.
Il legame terris-caelis può essere stato ispirato da I, 9 “ut cum gloria suscipi ab eo… in coelis qui cum ipso… gradiebatur in terris”.
La fine della preghiera (pium… in caelis) riproduce quasi testualmente quella dell’orazione dal comune dei dottori.
Immensae maiestatis Deus et bonitatis infinitae, qui fidelem atleta tuum Karolum Magnum imperatorem et confessorem tuum in terris gloria Imperii exaltasti, et dono gratiae tuae in coelis corona beatitudinis triumphare concedis, praesta quaesumus, ut sicut fidei christianae fidelissimus extitit propagator, ita pro nobis apud te pius existat intercessor.
· Presente a Aix-la-Chapelle, Zurigo, Sion, clm 14279, Karlshof: orazione delle Lodi.
Testo vicino al precedente e, come quello, pieno di gloria dell’Impero. Le fonti sono:
a) La Vita S. Karoli di cui le formule sono state sia testualmente riprese, sia adattate; cf. “divina bonitas” (I, 4), fidelissimus atleta (I, 4), in splendore imperialis dignitatis (I, 4), coronatum in coelis(DF), laurea aeternae felicitatis coronatus (III, 12), orthodoxae fidei verus cultor (I, 11), pacis propagator” (II, 6).
b) La preghiera di sant’Enrico, che ha dato l’idea generale “qui beatum Henricum e terreni culmine Imperii ad regnum aeternum transtulisti”.
Deus qui beatum Karolum Magnum imperatorem tuum et confessorem patronum iustitiae in terris esse voluisti, et consortio tuorum fidelium cum angelis et sanctis misericorditer associare dignatus es, praesta supplicibus tuis sic de eius veneratione laetari, ut pia eius intercessione, consortes aeternae beatitudinis fieri mereamur.
· Preghiera presente a Aix-la-Chapelle, Karlshof, clm 14279, Zurigo: orazione di Terza; Francoforte: orazione delle Lodi; Strasburgo, messale del XV secolo.
Tema principale dell’imperatore protettore del Diritto: Versus iustitiae patronus: I, 13; l’associazione di Carlomagno agli angeli proviene da III, 16 (angelici chori interesse consortio); l’idea di gioia è tratta nella conclusione del diploma di Federico proclamante la canonizzazione: Laetetur igitur et exultet…
Beati Karoli Magni imperatoris et confessoris tui quaesumus nos mundet et muniat oratio, quatenus illius patrocinio meritorum, veniam nostro rum consequamur delictorum.
· Presente a Aix-la-Chapelle, Karlshof, clm 14279: orazione di Sesta; Zurigo: orazione di Nona; Sion: orazione dei secondi Vesperi; Münster, breviario del XV secolo: alle Lodi; ms 940 di Damstadt; Münster, messale del 1633 e breviario del 1784.
La formula “mundet et muniat” ricorre sovente nell’ufficio divino ; cf. i suffragi dei santi nel Postcommunio; l’efficacia della protezione dell’imperatore è pienamente mostrata nella Vita III, 16 – in basilica ubi eius venerantur suffragia quicquid fideliter invenitur… effectu desiderabili praestatur; lo stesso Carlomagno ha ottenuto la remissione delle sue colpe: I, 13.
Adesto quaesumus nobis misericors Deus, ut qui fragilitatis nostrae illecebris incessanter obtundimur, meriti set precibus beatis imperatori set confessoris tui Karoli Magni, ad aeternae salutis gloriam misericorditer restauremur.
· Presente in Aix-la-Chapelle, Karlshof, clm 14279, Zurigo (1260): a Nona; Zurigo (1462): ai secondi Vesperi.
Contrasto tra i fedeli e lo stesso imperatore di cui la Vita I, 7 aveva scritto “ne vanis mundi illecebris operam daret”; cf. la preghiera di sant’Enrico “ut sicut illum… illecebras saeculi superare fecisti…”.
Maiestati tuae Domine Deus beati imperatoris et confessoris tui Karoli devota nos commendet oratio, ut sicut ipsius temporali venerazione laetamur, ita patrocinantibus eiusdem meritis aeterna beatitudine gaudeamus.
· Presente in Aix-la-Chapelle, clm 14279, Karlshof, Francoforte, Zurigo (1260): orazione ai secondi Vesperi; Zurigo (1462): orazione a Sesta.
Sono presenti due idee fondamentali: la gioia della festa su questa terra, condizione per quella dell’Al di là; la potenza dei meriti dell’imperatore espressa dal titolo stesso del trattato agiografico, De sanctitate meritorum.
Omnipotens et misericors rex gloriae, qui beatum Karolum imperatorem, defensorem Ecclesia tuae tribuisti et verae praedestinationis filium certis indiciis elegisti, da nobis indignis famulis tuis sic excellentiam venerari atque suffragiis promoveri, quatenus regnis cum eo sublimari mereamur sempiternis.
Libro di preghiera di Kampen, XV secolo.
Preghiera unica nel suo genere. A fianco del difensore della Chiesa (Vita, I, 2), l’autore del testo saluta in lui “verae filium praedestinationis… quem certissimis divina misericordia elegit indiciis” facendo qui allusione alla leggenda di sant’Egidio che la Vita S. Karoli racconta in questa serie (I, 13).
Deus qui beato Karolo Magno, Ecclesiae tuae sanctae propugnatori, hic sanctissimae Genitricis tuae templum erigendi, urbemque condendi spiritum infundisti, praesenti quaesumus infunde clero spiritum sapientiae et intellectus, rectoribus eius donum consilii et fortitudinis, civibus concordiae et pietatis, universoque populo mutuam, ut praecepisti, dilectionem.
· Presente a Aix-la-Chapelle, archivi capitolari, ms 62 (Pontificale, prima metà del XV secolo); f. 52 v. (aggiunta attorno al 1500), preghiera più recente rispetto alle altre, il cui tenore spiega che era limitata ad Aix-la-Chapelle; fu utilizzata nella celebrazione delle memorie dell’imperatore.
[…]

Conclusione
Dall’esame dei testi, sembra che si possano dedurre le seguenti osservazioni generali:
L’Ufficio e la Messa di Carlomagno sono evolute nel senso di una crescente concisione e semplificazione; dal Medioevo tutte le chiese non celebravano la liturgia dell’imperatore secondo l’ hystioria rythmica e questo finì, a partire dal XVI secolo, per non essere usato se non che a Aix-la-Chapelle; la messa di Carlomagno “imperatore e martire” ha, dalla sua parte, dovuto cedere il passo a schemi più sobri. Originalmente espressione dell’autonomia delle chiese, questi testi dell’ufficio e della messa, differendo dalla liturgia propria dell’imperatore, hanno dovuto senza dubbio contribuire al mantenimento del suo culto poiché esse collocavano Carlomagno, prima delle riforme del XVI secolo, in una precisa categoria di santi, quella dei confessori.
Per contro, le letture [dell’Ufficio] rimasero fino alla fine del XVIII secolo molto diversificate. Secondo l’uso, derivavano essenzialmente da due trattati agiografici. Uno, più diffuso, fu composto nel periodo seguente alla canonizzazione, l’altro, di diffusione più limitata, in seguito all’arrivo delle reliquie di san Carlomagno in una regione. A partire dal XVII secolo, l’elogio del Martirologio gallicano è il documento-base nella composizione delle letture. A tal proposito, è interessante notare come un testo composto inizialmente in Francia, contribuì a mantenere in Germania il culto di Carlomagno. Sono totalmente al di fuori di queste tre fonti, solamente le letture di sant’Emmeram-Metten (XV-XVI secolo), di Münster (XVIII secolo) e di Francoforte (XVII-XVIII secolo). Queste ultime sono molto vicine a quelle di Eginardo la cui biografia, che spunta dal XIII secolo nelle letture di certe chiese della parte meridionale dell’Impero, è utilizzata a partire dal XVII secolo nei testi liturgici sia sotto l’influenza del Martirologio gallicano, sia per la maggiore autenticità che sembravano dare al ritratto di Carlomagno.
Tra i temi che ispiravano i testi liturgici si noterà essenzialmente:
a. La personalità dell’imperatore come “fortissimo atleta di Cristo”, propagatore della fede, autore e mantenitore del Diritto, sovrano che ha saputo illustrare tutte le virtù cristiane; altrettante idee espresse con gradazioni d’espressioni proprie a ciascuna epoca, ma che proseguirono fino alla fine del culto. Non di può dimenticare, mescolata a questi titoli di santità, l’immagine del pescatore ravveduto, largamente riscontrabile nell’Ufficio proprio, incorporata nelle letture di Zurigo e di Sion e che, in epoca moderna, non sopravvisse se non nel confronto con David nelle letture di Münster. E’ incredibile constatare che questa sopravvivenza proseguì in una diocesi in cui l’ historia rythmica era rimasta in uso per lungo tempo.
b. La tradizione delle fondazioni di chiese da parte di Carlomagno, senza che, tuttavia, quest’idea – di cui si ricorda l’importanza che ebbe per legittimare il culto dell’imperatore – marchi fortemente il tenore dell’Ufficio. Essa si esprime con sottolineature che sorgono qua e là dai testi. Dal titolo iniziale “ecclesiae nostrae fondato et patronus” fino ad allusioni più precise a una fondazione reale o supposta da parte di Carlomagno. Le prime letture di Aix, quelle di Halberstadt, il falso diploma di Verden, le donazioni di Zurigo rappresentano un movimento d’idee che sopravvivrà fino al XVIII secolo nei breviari di Westfalia.
c. Per contro, tutte le chiese celebrano l’imperatore e l’Impero e attraverso ciò mantengono l’idea fondamentale che animò nel 1165 Federico I e Rinaldo di Dassel. Tale idea brilla nell’Ufficio proprio di Aix-la-Chapelle, si coglie nell’inno “O rex orbis” e nel secondo responsorio dei Mattutini “Tota pascente Francia”, un fondo di miracoli e fatti che si rapportano alla qualità del principe; essa anima molte orazioni e culmina nella sequenza “Urbs Aquensis”. Cosa vi è di più logico, dunque, che le letture dei Mattutini siano centrate sull’avvenimento dell’Impero per opera di Carlomagno o, come il caso di sant’Emmeram, riservino a questo momento un’importante parte del loro racconto? Pure dove l’incoronazione imperiale non fa parte di una narrazione propriamente detta, si ha visto in certi testi (Zurigo) glissare delle espressioni che fanno rivivere i temi dell’ideologia degli Staufen. Queste letture, testimonianze della mentalità e del periodo più brillante dell’Impero, contribuirono a conservare nello spirito clericale l’idea imperiale pure quando questa non corrispondeva più alla realtà dei fatti. Per la sua estensione e il suo contenuto questa nozione d’impero è quella che realmente prevalse nell’epoca di Carlomagno, il cui ricordo si era mantenuto fino agli Staufen e anche al di là di tali sovrani: l’Impero non faceva che una sola cosa con la Cristianità. Tutti i fondi antichi dei testi liturgici insegnano bene quest’assimilazione; sono i servizi resi dal re dei Franchi alla Cristianità che, in qualche sorta, costituiscono per lui il luogo per accedere al “culmen maiestatis imperatoriae”.
Sembra, quindi, che sia questo il punto sul quale è giunta, a partire dal XVI secolo, la trasformazione dello spirito del culto di Carlomagno. Ad eccezione di Aix-la-Chapelle, in cui l’antico Ufficio durò fino alla fine del XVIII secolo, i focolari del culto dell’imperatore adottarono testi in cui l’accento era spostato dall’Impero alla Chiesa: Carlomagno ne diviene il fedele ausiliare. Tuttavia l’idea d’Impero non sparisce da questi testi, poiché l’universalità dei servizi resi dall’imperatore alla Chiesa suppone un potere politico eccezionale. Molte volte quest’idea traspare attraverso i testi (vedi ad esempio Hildesheim o Trèves).
Tra le due concezioni, solo le letture di Francoforte cercano di ralizzare un certo equilibrio insistendo sul dualismo Respublica-Ecclesia. Ma questa Respublica, non ne dubitiamo, è ancora l’Impero, Impero spoglio d’aspirazioni universaliste, la monarchia che, dopo il XIV secolo, cerca di evolvere nel senso dei “regna”.
Attraverso i testi della liturgia dell’imperatore, si può pure seguire qualche vicissitudine dell’idea imperiale.
da: http://traditioliturgica.blogspot.it

venerdì 13 gennaio 2017

Noi fummo i Gattopardi, i Leoni… Chi sarà in grado di governarci ora che il popolo è diventato borghesia?

di Pierfranco Bruni 

Il tempo passa. Ci sono storie. Radicamenti. Viaggi. La storia delle famiglie è intreccio di destini. “La vita, sapete, spezza qualcosa in noi... smentisce tante volte la nostra fede... Rivedersi... Se fosse vero... “ (Antonie Buddenbrook). “La facoltà di ingannare se stesso, questo è il requisito essenziale per chi voglia guidare gli altri” (da “Il Gattopardo”).  
Perché scavare nella storia delle famiglie? Perché scavare in un vissuto di tradizioni che tracciano destini? Ogni epoca ha un vissuto di civiltà nelle quali si sono sempre intrecciate le diverse articolazioni delle classi emergenti e delle famiglie che hanno una tradizione. La Tradizione diventa l’asse intorno al quale si muovono i modelli antropologici dei territori ma anche delle stesse famiglie e delle dinastie. 
La borghesia del Novecento ha scavato un solco che ha separato la nobiltà e le aristocrazie dalla società. I romanzi che maggiormente hanno tracciato un forte inciso nel mio percorso sono “I Buddenbrook” di Thomas Mann, il viaggio di Leonida Repaci nel quale si racconta la famiglia dei Rupe, il romanzo di Cesare Giulio Viola “Pater”, “Caterina Marasca” di Giovanna Gullì e magnificamente “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
“Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra”, così Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Ma oggi siamo in una variante nel tempo della notte. Ci sono storie che rimandano ad una intelaiatura sia sociologica che antropologica. 
Siamo in una variante della decadenza che ha caratterizzato tutto il Novecento in una dimensione sia spirituale(ovvero ontologica e metafisica) sia esistenziale che ha riguardato i popoli e le civiltà in termini anche antropologici. Ai romanzi citati volontariamente aggiungo il mio e di Micol Bruni “Cinque fratelli. I Bruni Gaudinieri nel vissuto di una nobiltà” (Pellegrini), con Video realizzato da Anna Montella, visibile su: https://www.youtube.com/watch?v=IiGEJhkTxHI.
 La variante, dunque, è distante dalla concezione di una crisi valoriale intorno alla quale si è costruito in questi anni un pensiero debole. Troppo semplicistico affermare che siamo stati attraversati e tuttora ci attraversa una caduta di valori. Cosa sono i valori in termini di identitari è difficile poterlo sottolineare. Thomas Mann: “Abituarsi all'ambiente? No, fra gente senza dignità, senza morale, senza ambizione, senza signorilità e senza rigore, fra gente sciatta, scortese e trasandata, fra gente che è allo stesso tempo pigra e leggera, pesante e superficiale... fra gente così non mi posso ambientare...” (Antonie Buddenbrook). 
I valori di generazioni distanti fa sono gli stessi di quelli di oggi? A cominciare dai concetti di famiglia e di tradizione. Non ci si può basare sui valori nel momento in cui si ha la consapevolezza che viviamo di transizioni e dentro questo modello sociologico di transizione entrano anche i concetti citati.
Credo, invece, che bisogna ritrovare l’orizzonte di una idea forte di eredità, di identità e di appartenenza. In un tempo di valori cangianti, come sono le temperie, bisogna proporre una fedeltà. La fedeltà delle origini. In queste fedeltà o in questa ramificazione di culture si sviluppano i segni di una antropologia che diventa necessità di conoscenza.
È qui che la “geografia” della nobiltà è uno scavo nella coscienza, come quella della aristocrazia e della cavalleria che è dentro il destino delle individualità delle famiglie. La individualità delle famiglie è nel capire la struttura antropologia della società.
 Nel romanzo di Cesare Giulio Viola si legge uno spaccato importante di una famiglia borghese che sapeva guardare con attenzione al modello aristocratico: “Nasceva il podere, mentre nella città era nata la casa. Mio padre non aveva badato a spese: il mobilio era giunto da Napoli, ordinato a quel Soley hebert che allora andava per la maggiore, e forniva le province meridionali, propagando quel gusto di marca umbertina, che tra l’850 e il ‘900 tappezzò di broccati e popolò di mobili a stucco i salotti della ricca borghesia. C’erano i poufs nel salotto, i bei divani, le poltrone, le poltroncine capitonnées, e negli sportelli del bahut, incastrati, due piatti di ceramica a rilievo che rappresentavano romantici paesaggi. I mobili erano ben costruiti e ad aprirli odoravano di legno buono. A montarli gli operai avevano lavorato giorni e giorni: e Monsupié, l’ebanista del Museo, aveva protratto la sua fatica, a lume di petrolio, per molte sere fino a tarda sera”.
Una ulteriore variante della sociologia dei valori che si vogliono condivisi, ma che antropologicamente non è possibile. Non esistono valori condivisi perché non può esistere una “collettività” partecipante e omologante tranne se non si ritorna ad insistere su un termine antiestetico che è quello della società di massa. Credo che è nel proporre la visione della propria identità che il viaggio degli uomini può avere un senso.
La nobiltà non si inventa come non si inventa l’aristocrazia. La borghesia si costruisce e parla, appunto, di valori da enucleare nel dire della condivisione e della inclusività.  Proprio nei “I Buddenbrook” si legge:  “Ma vede, lei è giovane e considera tutto da un punto di vista personale. Lei conosce un nobile, e dice: ma quello è un brav'uomo! Certo... ma occorre non conoscerne alcuno per condannarli tutti! Perché si tratta del principio, capisce, dell'istituzione! Ecco che non sa più cosa ribattere...Ma come? Basta che uno sia venuto al mondo, per essere un patrizio, un eletto... uno che guarda noi altri dall'alto in basso... noi che con tutti i nostri meriti non possiamo elevarci fino a lui?...
Io non mi sento partecipe delle condivisioni in questa leggerezza di tempo e tanto meno sostengo che bisogna essere inclusivi. Le “classi” esistono. Nessuna rivoluzione potrà mai abolirle. L’individualità è una nuova energia che diventa la vera resistenza contro il brutto, l’irato, il massificato. La bellezza non è nell’insieme che non significa nulla, ovvero massa, ma è nel custodire quell’amore verso l’essere che è individuo, uomo, persona con una sua antropologia di ereditarismi di significati e significanti.
Bisognerebbe riscoprire i titoli nobiliari in una società, appunto, della consumazione della transizione. Questo significherebbe dare senso al rispetto della storia e alla cifra che la storia ha decodificato all’interno dei vissuti. Ma la nobiltà non è soltanto nelle azioni. Si è stati Gattopardi. Chi potrà sostituire una nobiltà che ora non c’è più? Chi potrà sostituire una aristocrazia? Si è tutti dentro la borghesia. Persino quello che una volta si chiamava proletariato è diventato borghesia. Bisogna avere il coraggio di distinguere. Ma èer fare delle distinzioni è necessario non confondersi.
Sosteneva Friedrich Nietzsche:
 “Che cos’è nobile? Che cosa significa ancora, per noi oggi, la parola «nobile»? In che cosa si rivela, da che cosa si riconosce, sotto questo cielo pesante e coperto dell’incipiente dominio della plebe, per il quale tutto diviene opaco e plumbeo, l’uomo nobile? Non sono le azioni a dimostrarlo – le azioni sono sempre ambigue, sempre insondabili – non sono neanche le «opere». Tra gli artisti e i dotti se ne trovano oggi non pochi che, attraverso le loro opere, rivelano di essere spinti da profondo desiderio verso ciò che è nobile; ma proprio questo bisogno di ciò che è nobile è radicalmente diverso dai bisogni dell’anima nobile stessa, è addirittura un segno eloquente e pericoloso della sua mancanza. Non sono le opere, è la fede che decide qui, che stabilisce qui la gerarchia, per riprendere un’antica formula religiosa in un senso nuovo e più profondo: una qualche certezza di fondo che un’anima nobile ha su se stessa, qualcosa che non si può cercare né trovare e forse nemmeno perdere. L’anima nobile ha un profondo rispetto di sé”.
Il rispetto di sé!. Mi pare proprio ciò che in questa agonia è venuto meno. Ma nelle epoche abusate dalle democrazie non si ha più Rispetto perché si ritiene di adagiarsi su un egualitarismo che non può esistere.
Diceva bene Gabriele D’Annunzio:
Sotto il grigio diluvio democratico odierno, che molte belle cose e rare sommerge miseramente, va anche a poco a poco scomparendo quella special classe di antica nobiltà italica, in cui era tenuta viva di generazione in generazione una certa tradizion familiare d’eletta cultura, d’eleganza e di arte”.
Il “diluvio democratico” moderno ha portato anche alla sconfitta dell’umanesimo della persona. È il rischio di un disfacimento e va oltre.  Quando il buio diventa diluvio occorre ritornare alle aristocrazie e alle nobiltà. Bisogna avere il coraggio di non smarrire il senso delle Tradizioni e della Tradizione.
Soltanto recuperando l’identità della tradizione è possibile capire i destini e la storia, come, appunto, nel racconto dei Gaudinieri imparentati con i Bruni nella geografia fisica e umana del Regno di Napoli.  È certo che da questa impalcatura, pur nella sua consistenza letteraria, il romano che meno può appartenere alla linea dei “Cinque fratelli” resta quello di Repaci. Mentre quelli maggiormente rappresentativi sono i romanzi di Tomasi di Lampedusa e di Mann.
Qui credo che si possa lasciare una strada aperta per un ulteriore capitolo che andrà successivamente a chiudere la saga di una famiglia nobile, aristocratica e borghese come, appunto, quella dei Bruni Gaudinieri. I tre percorsi ci sono tutti anche se domina il modello nobile – aristocratico. In fondo “È meglio un male sperimentato che un bene ignoto” (Tomasi di Lampedusa). Mi sembra molto suggestiva questa chiosa che separa, anche storicamente, comunque, due mondi: la nobiltà – aristocrazia e la borghesia.





giovedì 12 gennaio 2017

Lettera di Amadeo-Martín Rey y Cabieses ai Confratelli della Real Compagnia della Beata Maria Cristina Regina delle Due Sicilie

Carissimi, 
Sono devotissimo della Beata Maria Cristina di Savoia, Regina delle Due Sicilie. Sono stato a Napoli con le LLAARR i Duchi di Noto -ormai Duchi di Calabria- il giorno della sua beatificazione nella Basilica di Santa Chiara, e mai dimenticherò quella bella giornata di fede e di preghiera, insieme a tanti amici e confratelli. Sarà quindi un vero onore appartenere alla vostra Real Compagnia di cui tu sei Governatore. 
Molto tempo fa ho particolare interesse nel mettere in luce il fatto della santità di tanti re e regine, principi e principesse della nostra amata Europa, che, dimenticando se stessi, hanno capito bene che il modo migliore per essere signori è servire gli altri. 
La posizione dei monarchi al vertice della società li rende particolarmente preziosi come un esempio di vita e di guida cristiana per coloro che siamo ancora in pellegrinaggio terreno. Per cioè, incoraggio tutti i miei fratelli in questa Real Compagnia a seguire l'esempio di bontà e di umiltà della Beata Reina Maria Cristina e a conoscere meglio la sua vita.



mercoledì 11 gennaio 2017

Tommaso Romano, "Elogio della Distinzione" (Ed. Thule)

di Lydia Gaziano

Come il naufrago Ulisse che, abbarbi­cato allo scoglio, ferito e pur vivo, resi­ste alle onde che su di lui si abbattono incessanti e rabbiose, sono i pochi che tuttora, all’avanzare del brutto e del vile, rialzano la testa per dire no, no e ancora no. Alziamo un argine al ba­ratro incalzante. Ma, per fortuna, avan­za piano, ma deciso, il drappello dei dissidenti, degli anticonformisti, di chi al facile plauso preferisce il consenso intelligente dei pochi e Tommaso Ro­mano ne raccoglie i pensieri, le cita­zioni, le massime. “Io son Cavaliere.
Tale io verrò e morrò, se a Dio piacerà. Io cammino nell’aspro sentiero della Cavalleria errante e disprezzo le ricchezze, ma tengo in gran con­to l’onore. Ho vendicato ingiurie, ho raddrizzato torti, ho castigato in­solenze. Non ho intenzione che non sia retta, e penso soltanto a fare a tutti del bene (Miguel de Cervantes)”. “La generosità non è altro che la pietà delle anime nobili (Nicolas de Chamfort). “Un gentiluomo è esi­gente con se stesso, un uomo volgare con gli altri (Confucio)”.
“I nostri avi, i Romani, avevano notoriamente un’autentica predilezio­ne per il concetto stesso dell’onore, che nasceva principalmente dal comportamento dell’individuo, evidentemente più degli altri rispettoso delle leggi e leale verso il prossimo, quandanche si trattasse del nemico in guerra (Guglielmo Bonanno di San Lorenzo)”. “Si è nobili solo quando si è esemplari nell’Applicazione della legge di Dio (J. Diego Ortega)”. “Unite le vostre forze perché siano destinate alla costruzione del futuro. Coltivate le vie della rettitudine e la nobiltà di spirito, pro­muovete e lavorate con risoluzione (Hirohito, imperatore del Giappo­ne)”. “Più gli uomini si sentono uguali, più facilmente tollerano di esse­re trattati come pezzi intercambiabili, sostituibili e superflui. L’ugua­glianza è la condizione psicologica preliminare delle carneficine fredde e scientifiche (Nicolas Gomez Davila)”.
“Le folle non hanno mai provato il desiderio della verità. Chiedono so­lo illusioni, delle quali non possono fare a meno. Da sempre la prefe­renza va al surreale rispetto al reale, l’irreale agisce su di esse con la stessa forza che il reale. Hanno un’evidente tendenza a non distinguere l’uno dall’altro (Sigmund Freud).”
E’ dei grandi della cultura mondiale l’inno alla nobiltà, alla bellezza, alla magnificenza: Platone, Seneca, Dante Alighieri, Ludovico Ariosto, Miguel de Cervantes, Stendhal. Un unico grido s’innalza da tante voci diverse: coraggio, coraggio e ancora coraggio, via dal baratro della vil­tà. Il “Professore” fa certamente sfoggio della diversificata cultura ac­quisita fra i tanti studi e letture compiute. Lancia, dunque, un appello a chi sa e può approdare ad una presa di coscienza in tempi in cui la cul­tura non è certo morta, ma rischia l’indeterminatezza e lo smarrimen­to fra tante voci discordanti e non sempre consone. E si riferisce alla cultura classicamente intesa, come a quella antropologica. (L.G.) Tommaso Romano, Elogio della Distinzione Aristocrazia, cavalleria, Nobiltà, Stile in tempo di barbarie. Florilegio di Autori con un Saggio di Amadeo- Martin Rey y Cabiese. 
da: "Palermo Parla", nà 102, Dicembre 2016

martedì 10 gennaio 2017

Tommaso Romano, "Elogio della Distinzione" (Ed. Thule)

di Antonino Sala

Non è impresa semplice ripen­sare la storia, i suoi Istituti, le sue pe­renni Tradizioni, nel divenire caotico e sovvertitore che viviamo. Tommaso Romano, studioso e autore noto, da molti decenni impegnato nel fronte tradizionale, consegna una sorta di Stimma essenziale dell'ideologia della distinzione, che si apre con un saggio dell’Autore, ampio e artico­lato, tutto teso a rivendicare lo Spirito e l’attualità del messaggio cavallere­sco e aristocratico per chi, esistenzial­mente, resiste come un cavaliere er­rante nel caos dissolutivo. Egli traccia così una mappatura storica, senza perdere il riferimento pedagogico teso ai valori costitutivi delle diffe­renze che distinguono il soggetto dal­l’uomo standardizzato e massificato. Romano ritiene possibile il rinvigori­mento di ordini e associazioni nobi­liari, di Compagnie e Confraternite che si possano - anche in numero quantitativamente non ampio - ri­formare spiritualmente e gerarchica­mente, ritrovando o riproponendo le virtù peculiari e rivendicando altresì un aiolo, una regola e una prospet­tiva per l’uomo che ricerca oltre lo smarrimento. Segue nel bel volume un ampio Florilegio di frasi, aforismi, pensieri, brevi saggi scelti dall’Autore di pensatori e scrittori di tutti i tempi (è ricordato anche Gaspare Cannizzo e J. Evola) che, pur nelle rispettive posizioni e nella contestualizzazione necessaria, ci danno una visione or­ganica, seppur diversificata, sul tema e quindi sugli aspetti specifici, che vengono ora proposti, senza il setta­rismo delle posizioni pregiudiziali, ma lasciando aperta la meditazione.
Chiude l’Opera, una vasta bibliografia (anche sull’Araldica e la Genealo­gia), che è forse una delle più com­plete fra quelle ad oggi edite in Italia. Una selezione di disegni, incisioni, stampe correda il libro prezioso, con Autori anche contemporanei che hanno interpretato con acribia il tema, oltre che con le classiche vi­sioni della cavalleria medievale. Pur vivendo in tempi realmente apocalit­tici - dice Romano - è ancora più ur­gente e radicale l’impegno alla for­mazione e all’autoformazione, necessari fondamenti per una auto­nomia attiva della soggettività che sia fedele alle consegne tradizionali e in grado di ristabilire - almeno in sé - gli equilibri perduti e le idealità fondanti.
da: "Via della Tradizione", Rassegna semestrale di orientamenti tradizionali, n° 107, Palermo