mercoledì 4 maggio 2016

Scegliere la Nobiltà dello Spirito



di Tommaso Romano

Nel vetusto vocabolario araldico – genealogico – nobiliare vi è una definizione di qualità che possiamo prendere volentieri in prestito: lo stato more nobilium, lo stato in cui cioè si vive nobilmente.
Come ben disse Dante Alighieri: “La stirpe non fa le singolari persone nobili, ma le singolari persone fanno nobili la stirpe”. Vale a dire che anche l’inizio del nobile vivere e sentire, può creare una discendenza. C’è sempre, infatti, un inizio.
Sgombriamo subito il campo da rivendicazioni e attribuiti dovuti al tempo delle investiture e delle legittime nobilitazioni di sovrani e papi o di chi ne aveva titolo, non sono queste – in larga parte e con le dovute eccezioni – le élites ormai a cui riferirsi. Blasonati degni ve ne sono, ma la nobiltà oggi è in buona parte indegna – anche nell’alterigia e nella supponenza – del titolo che porta e spesso ostenta. Non parliamo – anche stavolta con eccezioni – dello stato comatoso di non pochi Ordini e Confraternite cavalleresche che si dilettano in esibizioni periodiche, senza vivere il carisma e le consegne, i doveri e il servizio che dovrebbero essere propri di un Ordine e la consegna del perfetto Cavaliere e non certo del coccardiero, collezionista di nastrini e medaglie, di croci e cordoni.
È questo il caso in cui la logica causa- effetto non funziona.
La nobiltà non può essere oggi che quella dello Spirito, non si declama, non si esibisce, ed è propria di chi in silenzio resiste, veramente nobilmente, alla dissoluzione in atto.
Essere e non apparire, ancora una volta.
Il motto dovrebbe incidersi, per ogni persona che vuole eseguire un perfezionamento possibile, in ciò che Dante ci ha insegnato: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza.
Chi procede intellettualmente e spiritualmente verso un risveglio, una rettificazione, troverà non pochi ostacoli in sé stesso e fuori di se. Districarsi nella selva oscura dell’odierna complessità, richiede intanto studio, sacrificio, un rigore e una determinazione tesi a raggiungere l’obbiettivo attraverso una sorta di missione. Chi siamo? Chiediamoci come dobbiamo diventare, per realizzare la nostra personale missione? Cosa può rendere meno accidentato, più semplice il percorso da compiere?
Venuti sempre meno i punti di riferimento esteriori, i formatori autorevoli, le morali autorità, con pochi autentici Maestri viventi, la bussola usabile non può che essere l’autoconoscenza, in rapporto costante con le fonti della saggezza espressa, che invece oggi appaiono un reperto archeologico, tanto sottovalutato è il tema dell’autoformazione integrale, che è ben altra cosa dal sincretismo fatto di superficiali notizie e parziali conoscenze blandamente acquisite.
Primo obbiettivo da raggiungere è il saperci depurare dalle troppe scorie, dagli eccessi che ci portiamo dietro, anche quando proclamiamo esteriormente una alterità, che spesso è più verbale che vissuta. Non pensare all’autoreferenzialità, all’egocentrismo come panacea di tutti i mali, ma sapersi mettere in ascolto, in sintonia con ciò che ci migliora costantemente, tenendo conto che il punto di arrivo è sempre avanti a noi e che il traguardo è duro a raggiungersi e non sempre si raggiungerà.
 Avere coscienza, intanto, di tutto questo e crescere in consapevolezza attraverso la libertà, intesa come condizione e metodo naturale e autentico, come confronto critico con saperi differenti, altri. Non fermarsi all’innamoramento verso un sapere che ci sembra congeniale e che è probabilmente vero, ma stimolarsi con un continuo confronto le idee, onde pervenire ad una sintesi alta oltre la presunzione di sapere e giudicare  tutto.
Trovare ordine dentro di noi è trovare il centro da cui s’irradia l’armonia che è il bene rispetto, agostinianamente, all’assenza del male, che pure esiste e si manifesta. Non nasciamo tutti buoni, insomma, come vorrebbe Rousseau, ma siamo figli di un peccato d’orgoglio vano di origine, di generazioni e di storie molto complesse.
L’aristocrazia è il connotato del meglio, rispetto all’usuale, al volgare, come ci ha insegnato Platone.
Abbandonare il contingente come fine ultimo è, quindi, migliorarsi e rendersi nobili.
È trasmutare il sangue comune – sangue come Spirito, ovviamente – in un autentico diritto di nobiltà del sangue – Jure Sanguinis – che è perciò l’obiettivo da conseguire. Non escludendo che un tale riconoscimento possa, anche oggi, avvenire da parte di chi ha fedeltà alla propria autorità intatta, non macchiata dalla resa al materiale, all’usuale, allo spirito servile del mondo.
Solo in questo senso l’ideale potrà tramutare e trasmutarsi, nel reale. Intanto, rettificando e depurando il linguaggio.
La sovranità non è solo appannaggio di chi vanta illustri e valorose origini o potestà e si misura oggi anche senza atti eroici, esteriori o emblematici, nella fedeltà e nel rigore, nell’esercizio delle virtù. Infatti l’inquinamento e il livellamento morale di chi dovrebbe essere Segno, Guida ed Esempio, portatore di codici morali, non consente di ritenere legittima neppure una croce concessa al presunto merito. Dato che la rappresentazione simbolica o è pregna di valori e di significati profondi o non è nulla.
Non sarà pertanto inutile a chi intenda professare fino in fondo la fede nella Tradizione, rispolverare stemmi, emblemi e motti della propria famiglia o “costruirseli” seguendo le regole araldiche rispondenti simbolicamente alla propria vocazione.
Ogni tradizione umana ha un inizio, infatti.
Il ri-formarsi di èlites di uomini e donne di nobili principi professati, che abbiano nel codice di un diritto iscritto nella natura lo statuto fondante, insieme alla conoscenza di sé, del mondo, del cosmo, di Dio, senza cadere nel moralismo, nei giudizi aprioristici e tenendo conto dei fattori che, nell’incubazione del perseguimento, contengono alti rischi.
Quindi, a chiunque è aperta la via regia dell’autentica nobiltà, ma per pochi, nella perseveranza del saper ben vivere nobilmente, si apre il conseguimento di una autentica integralità, onestà, cortesia, accompagnati da sobria eleganza dei modi e nel servizio verso i più deboli.
Una delle poche possibilità che ci rimane è il riconoscere un tale stato di nobiltà, e collegare le singolarità nelle affinità, in una comunità ideale che sappia ritrovare, o dare inizio, a quella che potranno essere le guide autorevoli, che si nutriranno di miti, simboli e Riti sacri, non transeunti, che sapranno trasmetterli come la Tradizione ci insegna, versa una Alleanza Trascendente, in grado di misurarsi con il tempo e con la storia, e con le sfide epocali che la salvezza dei Tempi Ultimi impongono a chi vuole salvarsi, rispondendo, attivamente, alla Legge Eterna di Dio e al Verbo, il Cristo, che si è fatto carne (di stirpe regale, non lo si dimentichi) nella storia, per noi e che l’umanità in gran parte oggi disconosce come fonte di Verità e di vita.