sabato 30 dicembre 2017

I contenuti del nuovo numero del Gazzettino Araldico


4° Convegno - Araldica: attualità e prospettive
L'araldica in università p.2
di Paolo Bizzozero
Quando il luogo fa la differenza p.2
a cura del Centro Studi Araldici

L'araldica dello Scudo d'Oro
La storia dei Koreywa p.3
di Raffaele Coppola
Novità libraria - Genealogia e storia del casato Koreywa p.4
a cura della Redazione del Gazzettino Araldico

7° Rapporto Nazionale sullo Stato dell'Araldica
7° Rapporto sull'Araldica p.5
di Giovanni Moneta
Indicazioni metodologiche p.5
a cura della Redazione
Offerta 7° Rapporto sull'Araldica cartaceo p.6
a cura delll'Ufficio Stampa

Incontro pubblico sull'araldica
Dall'archivio al libro p.7
di Carlo Preatoni

Notizie in breve
5x1000 al CESA p.8
Premio di laurea p.8
22 nuovi filmati per araldica TV p.9
AAA Cercasi collaboratori p.9
a cura delle nostre Redazioni

Selezione dalla cronaca del "Notiziario Araldico"
Leonardo Visconti di Modrone nuovo Governatore Generale dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro pp.10-12
Mostra degli Ordini equestri della Repubblica di San Marino pp.12-13
a cura della redazione del Notiziario Araldico

Le nuove registrazioni
Riproduzioni di tutti i nuovi stemmi familiari registrati su Stemmario Italiano® p.14-15
a cura della Cancelleria del Centro Studi Araldici

Libri in redazione
Collegio Cardinalizio per l'anno 2016 p.16
di Raffaele Coppola

Pubblicazioni Centro Studi Araldici
Collana L'araldica dello Scudo d'Oro pp.17-18
Rapporto Nazionale sullo stato dell'Araldica p.19-20
Attii dei convegni p.20
Gazzettino Araldico Raccolta p.21
Miscellanea p.22
a cura della Redazione

Notiziario Centro Studi Araldici

Tutte le news sulle attività del CESA pubblicate nel Notiziario Araldico durante l’ultimo semestre pp.23-26
a cura della Redazione

Ultima di copertina
La foto a soggetto araldico selezionata per questo numero p.27

E' possibile scaricare il Gazzettino in un file pdf al seguente indirizzo:


venerdì 22 dicembre 2017

Elena di Savoia. Riposa Nel Santuario Di Vicoforte

di Aldo A. Mola

Dalle 15 del 15 dicembre 2017 la Salma di Elena di Savoia, riposa nella Cappella di San Bernardo  del Santuario-Basilica di Vicoforte (Cuneo), accanto alle spoglie di Carlo Emanuele I di Savoia, il Duca che nel 1596 volle la costruzione del maestoso Mausoleo dei Savoia, capolavoro di Ascanio Vitozzi e di Francesco Gallo.
Elena fu la Regina più amata dagli italiani: maestosa e affabile, riservata e onnipresente, ispirò artisti, poeti e suscitò l'affetto dei cittadini che la sentirono vicina.
Insignita da papa Pio XI della “Rosa d'Oro della Cristanità” (1937), onorificenza suprema pontificia conferibile a donne, da Pio XII fu definita “Signora della carità benefica”.
Sempre accanto al Re, Vittorio Emanuele III, condivise il dramma del popolo italiano. La sua secondogenita, la Principessa Mafalda, consorte del principe Filippo d'Assia, gravemente ferita durante un bombardamento aereo americano sul campo di prigionia ove era stata deportata dai tedeschi (1944), morì dopo un vano intervento chirurgico. Ne scrisse con delicatezza Mariù Safier, biografa anche di Jolanda di Savoia (“La Principessa del silenzio”, ed. Teca), consorte del conte Carlo Calvi di Bergolo.

Elena nacque a Cettigne l'8 gennaio 1873, sestogenita degli undici figli di Nicola I Petrovic Njegos, principe del Montenegro, e di Milena Vukotic. Suo padrino fu lo zar di Russia Alessandro II. Allieva dell'Istituto Smonly a San Pietroburgo, coltivò lettere, disegno, pittura e musica.
Nel 1895, all'Esposizione di Belle Arti di Venezia, conobbe Vittorio Emanuele di Savoia, principe di Napoli, già allievo del Collegio Militare della Nunziatella. Lo rivide quando il principe ereditario della corona d'Italia nel 1896 andò in visita a Mosca per l'incoronazione dello zar Nicola II. Recatosi a Cettigne, capitale del Montenegro, il 16 agosto il principe la chiese in sposa. Il 21 ottobre la principessa Elena, già di confessione ortodossa, professò la fede cattolica nella Cattedrale di San Nicola a Bari. Il 24 seguente venne celebrato il loro matrimonio civile nel Palazzo del Quirinale e quello religioso in Santa Maria degli Angeli. Seguirono anni di viaggi, sinteticamente documentati dall'“Itinerario generale dopo il 1896” scritto da Vittorio Emanuele III.
Dopo l'assassinio di Umberto I a Monza (29 luglio 1900) Elena ascese a Regina d'Italia accanto a Vittorio Emanuele III, salito al trono trentunenne. Gli dette Jolanda (1901), Mafalda (1902) e Umberto, principe ereditario, nato a Racconigi il 15 settembre 1904, seguiti da Giovanna, poi consorte di Boris III zar dei Bulgari e madre di Simeone II, la cui autobiografia (“Un destino singolare, ed Gangemi) è da pochi giorni comparsa in Italia, e infine Maria.
Nel 1908 accorse in aiuto delle vittime del catastrofico terremoto di Messina e Reggio. Fece adattare a ospedale la corazzata “Regina Elena”. Il 16 luglio 1915, dopo l'intervento dell'Italia nella Grande Guerra, allestì al Quirinale l'Ospedale Territoriale n. 1, capace di 250 letti per feriti gravi, con speciale attenzione per i mutilati e i grandi invalidi, alle cui cure sovrintese e concorse di persona. Istituì la Fondazione Elena di Savoia a sostegno dei figli di ferrovieri mutilati morti o mutilati in servizio o in guerra. Dette forte impulso alla Croce Rossa Italiana e promosse ricerche scientifiche e istituzioni filantropiche con partecipe sollecitudine.
Nel 1939 indirizzò una lettera alle sovrane di Danimarca, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Bulgaria e Jugoslavia sollecitando una iniziativa congiunta per fermare la guerra, cominciata da tre mesi. Il 9-12 settembre 1943 si trasferì da Roma a Brindisi con il Re e il figlio, Umberto, principe di Piemonte.
All'abdicazione di Vittorio Emanuele III (9 maggio 1946) Elena di Savoia lasciò l'Italia per Alessandria d'Egitto, ove visse a Villa Jela. Vi festeggiò cinquant'anni di matrimonio.
Dopo la morte del sovrano (che si spense ad Alessandria d'Egitto il 28 dicembre 1947, da cittadino italiano all'estero, tre giorni prima che la Costituzione potesse comminargli l'esilio) Elena di Savoia si trasferì per cure a Montpellier. Vi morì il 28 novembre 1952. Fu sepolta nel cimitero cittadino di Saint-Lazare, a lungo meta di italiani non immemori. Nel 1960 a Messina le venne dedicato un monumento in marmo bianco di Carrara. Nel 2002, cinquantesimo della sua morte, fu emesso un francobollo a ricordo della sua figura. Altrettanto fece nel 2013 il Montenegro, ove le spoglie dei suoi genitori vennero traslate dalla chiesa ortodossa di San Remo ove erano tumulate.
Nella memoria Elena di Savoia fu e rimane “La Regina Elena”. Per rallegrarsi del suo ritorno non è necessario essere monarchici. Basta essere italiani. È ormai lontano il “tempo del furore”. È tempo di pietas, di ricomposizione della memoria nazionale. Come ha dichiarato Luca Fucini, membro della Consulta dei senatori del regno, delegato a rappresentare la Casa alla estumulazione della salma a Montpellier, Vittorio Emanuele III avrebbe certo desiderato riposare accanto alla Regina, alla quale fu unito nella buona e nella cattiva sorte in cinquantun anni di matrimonio: un capitolo della travagliata storia d'Europa.
Alla ritumulazione, benedetta dal Rettore del Santuario-Basilica, mons. Meo Bessone, hanno assistito il delegato della Casa, Federico Radicati di Primeglio, e il presidente della Consulta dei Senatori del Regno.


martedì 19 dicembre 2017

Rex Mundi: Federico II, custode dell’Impero

di Carlomanno Adinolfi

In molti conoscono la Kyffhäuser Saga, la leggenda che vuole il Barbarossa dormiente nel monte della Turingia in attesa del momento propizio per la rinascita, quando i corvi voleranno intorno alla vetta annunciando il ritorno del Re, pronto per la battaglia finale per riportare la Germania al suo antico splendore. Ma non tutti sanno che, in realtà, questa leggenda dai contorni insieme odinici e arturiani nacque non intorno alla figura del Barbarossa bensì a quella di suo nipote, lo Stupor Mundi Federico II. La leggenda fu adattata in pieno romanticismo e risorgimento tedesco nel XIX secolo: il Barbarossa era infatti più adatto al sentimento nazionale e alla rinascita della Germania rispetto al nipote, la cui vita lontana dalla nazione tedesca lo rendeva meno digeribile ai combattenti per l’identità e unità nazionale germanica. La leggenda originale infatti non aveva a che fare con il risorgere della grandezza di una singola nazione, ma aveva un respiro molto più ampio annunciando la Renovatio di un principio universale: quello dell’Impero, Sacro e Romano e dunque sovranazionale.
Federico II Hohenstaufen è stato indubbiamente il sovrano che più di tutti ha incarnato, dopo Augusto, la figura del Sovrano Universale. Lo stesso termine “ghibellino” usato come seguace dell’Imperatore e dell’Impero Universale in contrasto con le pretese di sovranità temporale da parte dei papi, nasce proprio con lo Stupor Mundi, dato che prima di lui il termine veniva usato solo in ambito di disputa dinastica, indicando i sostenitori della casa degli Hohenstaufen, originari del castello di Weiblingen, contro i sostenitori della casata sassone degli Welfen, da cui in origine il termine “guelfo”, il cui ultimo discendente Ottone IV fu il principale avversario di Federico II per l’ascesa al trono imperiale.
La figura dell’ultimo grande sovrano degli Hohenstaufen fu ammantata di miti e leggende. Nato il giorno di Santo Stefano e quindi a ridosso del giorno di Natale, nella città di Jesi il cui nome ricorda quello di Cristo e partorito da una donna quarantenne, evento quasi miracoloso in epoca medievale, fu ben presto associato tanto a Cristo stesso quanto all’Anticrtisto. Eppure Federico fu il primo grande sovrano medievale a spogliarsi di tutta la simbologia cristica e messianica in voga nei re e negli imperatori di quei secoli. A differenza dei suoi predecessori che provavano tramite iconografia biblica e apocalittica a sottrarre al pontefice il ruolo di rappresentante di Dio sulla terra, facendosi raffigurare troneggianti e circondati da angeli e santi, Federico II fece emergere una nuova iconografia nascente dagli echi delle grandi tradizioni di Roma, degli antichi e mitici re germanici e dei grandi condottieri celtici che avrebbero ispirato il ciclo arturiano. Federico fu il primo dei grandi imperatori germanici, se escludiamo in parte la breve ma splendente parabola di Ottone III, a dare maggior peso al titolo di “Imperatore dei Romani” piuttosto che a quello di sovrano del regno germanico. E per Romani Federico faceva intendere ovviamente l’intero Orbe occidentale e cristiano. Anziché un Imperatore novello Cristo sulla Terra, Federico iniziò a farsi rappresentare sempre più frequentemente come Augusto redivivo. Questo risulta palese in una delle iconografie più importanti e diffuse dell’epoca medievale, quella numismatica. Federico fece coniare una nuova moneta aurea chiamata appunto Augustale che in uno dei due versi aveva il busto dell’Imperatore con il capo laureato, con chiaro riferimento ai Cesari di Roma. Anche l’Aquila Imperiale simbolo del Sacro Romano Impero fu trasformata da Federico che la modificò con l’aquila ad ali spiegate classica dell’iconografia imperiale romana. Sull’altro lato dell’Augustale campeggiava proprio un’aquila simile, così come nel mezzo denario della zecca brindisina e messinese. Anche nel far costruire il proprio monumento sepolcrale Federico fece una scelta chiara e consapevole, scegliendo una tomba di porfido rosso, quel Lapis Porphyrites di color porpora associato alla dignità imperiale dei Cesari. La figura dell’Imperatore come erede dei Cesari fu enfatizzata anche da un’opera storico-cronologica compilata a Firenze in cui venivano riportate le vite dei grandi imperatori partendo da Cesare fino ad arrivare proprio a Federico II. Gli fu anche associata una profezia della Sibilla che lo voleva come restauratore della Roma dei Cesari, ponendolo come ultimo nella linea di successione degli eroi della storia di Roma partendo da Enea.
Ma il grande Hohenstaufen andò anche oltre l’iconografia cesariana e augustea. In numerose occasioni i figli Corrado e Manfredi si riferirono a lui come manifestazione del Sole, riprendendo la tradizione pre-cristiana dei grandi Re che identificandosi con l’astro diurno affermavano il loro ruolo di sovrani universali, a partire dai faraoni egizi, tutti figli di Ra e incarnanti Horus, passando per i Re persiani e arrivando fino ai Cesari che da Augusto restauratore del Regno di Apollo presero poi a partire da Aureliano a identificarsi con il Sol Invictus. Il ruolo del sovrano-sole come luce e polo – come Apollo – dell’intero cosmo si ritrova anche nella stessa leggenda del re che, al giungere della notte del mondo, dorme in attesa di ridestarsi in un monte che svetta al di là del regno materiale. Chiaro il riferimento alla leggenda arturiana in cui il leggendario possessore di Excalibur non è morto ma si è “ritirato” dormiente ad Avalon in attesa della sua prossima venuta. Al di là dell’immagine messianica della seconda venuta di Cristo, quello del Re dormiente in attesa di essere svegliato, del Re ferito in attesa di essere guarito, questo è un tema che affonda le sue origini in un passato indoario molto antico che potrebbe trovare riscontri anche nel rito del Rex Nemorensis. Il riferimento è proprio quello di un principio immortale – il re non è mai morto, dorme – che deve essere restaurato, rinnovato – il re che va ringiovanito, o guarito o la sua spada spezzata che va riunita o il suo albero sacro, secco, che va fatto rifiorire – e che proprio in quanto principio immortale ha sede al Centro di tutto, nell’Asse cosmico, nella terra polare: per questo l’isola al centro del lago o del mare o la stessa Montagna Sacra, come nei casi di Artù e Federico. Lo stesso nome di Artù, da Arktos che vuol dire orso, rimanda alla simbologia polare dell’Orsa, l’astro attorno a cui ruota il mondo intero. E tutta la saga arturiana, nata proprio durante il regno degli Hohenstaufen, quando il Barbarossa da Magonza fece partire un nuovo mecenatismo sotto il vessillo imperiale che avrebbe fatto rifiorire la letteratura cavalleresca, è imperniata tutta sulla figura di un Re polare e sovrano universale.
Pur se nato nel contesto celtico-britanno della Cornovaglia, forse ispirato a un condottiero realmente vissuto nel VI secolo dopo Cristo, il mito arturiano per come fu codificato a partire dal XII secolo abbatte i limiti nazionali per divenire la saga di un Rex signore dell’intero Orbe e intorno a cui si siedono i cavalieri provenienti da tutto il mondo – la Tavola Rotonda chiaro emblema dell’intera volta cosmica, i dodici cavalieri come ipostasi microcosmiche dello Zodiaco – e a cui spetta di diritto, il calice del Sacro Graal contenente il Sangue Reale. Il mito di Artù, anche se cristianizzato con la leggenda del Graal come calice dell’Ultima Cena contenente il sangue di Cristo, segna in realtà il re-irrompere della tradizione pagana e pre-cristiana nell’immaginario medievale e fu non a caso utilizzato come “contro-mito” da parte imperiale contro le pretese dei papi che infatti cercarono sempre, da allora, di depotenziare il mito arturiano e del Graal facendo aleggiare intorno ad esso un sospetto alone di eresia. Federico II attinse a piene mani al mito arturiano tanto che sotto il suo imperio circolarono i Verba Merlini, profezie attribuite al celebre mago mentore di Artù che profetizzavano lo scontro tra la Roma imperiale e quella dei Papi con chiaro riferimento allo scontro tra Federico e Gregorio IX prima e Innocenzio IV poi. Impossibile poi non ricordare, oltre al mito postumo del suo sonno nel monte Kyffhäuser, la leggenda secondo cui in delegazione a omaggiare Federico venne lo stesso Re Pescatore, mitico custode del Graal, proprio a testimoniare il riconoscimento di Federico come Rex Mundi da parte del Principio regale-cosmico stesso. Sempre secondo la leggenda, il Re donò a Federico un anello capace di renderlo invisibile e quindi di portarlo al di là del mondo materiale trasportandolo in quello spirituale, da cui deriva la stessa Auctoritas imperiale. Anche il mito del Sangue Reale fu spesso utilizzato da Federico: gli Hohenstaufen vennero definiti stirpe divina il cui sangue imperiale era esso stesso divino, e in questo la diretta discendenza degli imperatori svevi da Enea, Cesare e dalla gens Iulia enunciata dalla profezia sibillina che circolava in quegli anni ebbe un ruolo non di poco conto. Il fatto stesso che poi Federico facesse raffigurare sui braccioli del suo trono non le solite figure apostoliche o angeliche bensì tutti i suoi predecessori, dimostra come egli volesse manifestare una trasmissione dinastica e “di sangue” tra i sovrani che sono tali non tramite intercessione papale ma che fanno derivare la loro Dignitas dall’autorità imperiale medesima che discende essa stessa dal Divino, senza intermediari.
Catalizzando tutto questo simbolismo su di sé Federico II ovviamente si spogliava della figura dell’Imperatore come protettore della Chiesa, come vicario di Cristo o come controparte del papa per diventare qualcosa di assolutamente nuovo e, simbolicamente, più alto. L’Imperatore diventa egli stesso una figura divina, al pari dei divi Cesare, Augusto e dei loro successori, Pontifex lui medesimo in quanto punta della piramide gerarchica sulla terra e quindi punto di incontro con il Cielo. Il Sovrano assoluto diventa il fulcro attorno a cui ruota l’Impero senza confini che abbraccia tutto il mondo, il perno intorno a cui gira la civiltà stessa e le vite degli uomini. Anche le famosissime costituzioni di Melfi del 1231, il cui codice fu chiamato Liber Augustalis con ovvio e rinnovato riferimento al divo Augusto, vanno lette in quest’ottica. In esse Federico riconosce nella Pace e nella Giustizia il “fondamento di tutti i regni” riprendendo tanto il concetto di Pax Augusta quanto il ruolo della figura indoaria del Cakravartî, il “signore di Pace e Giustizia” che garantisce la Legge come Ordine Cosmico (Rta), nonché quella della misteriosa figura biblica di Melchisedek, re del mitico regno di Salem e primo re universale della mitologia ebraica pre-mosaica nonché capostipite di una tradizione regale superiore e in qualche modo contrapposta a quella abramitica – che ne sarebbe una derivazione o una deviazione – e il cui nome vuol dire proprio “Re di Giustizia” mentre il nome del suo regno, Salem, secondo alcune tradizioni vuol dire proprio “Pace”. È interessante poi notare che proprio il nome Federico derivi dall’antico germanico Frithu-Rik che vuol dire appunto “Sovrano di Pace”. Le costituzioni di Melfi poi segnano un momento cardinale per la storia del diritto poiché pongono fine al dualismo post-ambrosiano e medievale tra il diritto divino che si evince dalle Scritture e il diritto umano, tramandato, mutevole, scaturito da abitudini claniche e tribali e comunque poco codificato ma pur sempre sottoposto al primo. Con il Liber Augustalis l’Imperatore sale sul vertice del mondo e diventa garante della “giustizia che emana direttamente dal Cielo”. Tramite la formula sempre presente nel codice Deus et Iustitia Federico annuncia al mondo un nuovo diritto, seppur mutuato dall’antico mondo pagano e soprattutto romano, per cui chi serve la Giustizia serve anche Dio e soprattutto radicando il principio per cui chi serve lo Stato in tutte le sue forme e nelle singole mansioni particolari non serve soltanto un regno terrestre ma compie la volontà divina, arrivando quindi nuovamente a identificare la Lex con il Rta e l’Impero con il Cosmo.
L’identificazione dell’Imperatore con il centro del mondo che garantisce un Ordine divino sulla terra ebbe una portata politica e spirituale senza precedenti. L’Impero di Federico II davvero non ebbe confini. Oltre ai regni cristiani vennero a rendergli omaggio anche delegazioni dal mondo orientale – forse la leggenda della visita del Re Pescatore nacque grazie a tali ambascerie – e noti sono i contatti con il mondo arabo, con la sesta crociata, unica nella storia, ad essere risolta senza che fosse versata una sola goccia di sangue grazie al patto d’amicizia sancito con il sultano ayyubideMalik al-Kamil, nipote del Saladino, che garantì a Federico, oltre alla celebre armata di mercenari saraceni più volte decisiva nelle sue guerre, anche la corona di Re di Gerusalemme, considerata allora il centro del mondo al pari di Roma e che contribuì ancor più a dare all’Hohenstaufen l’aura di sovrano cosmico.
La sovranità universale di Federico si riversò anche sull’aspetto religioso. Il superamento della forma cristiana non si attuò solamente sull’iconografia e sulla politica: sono documentati i rapporti e i dialoghi filosofico- religiosi di Federico tanto con Michele Scoto, filosofo scolastico e dunque cristiano ma che fu anche astrologo e alchimista con fama di “mago”, quanto con il filosofo arabo IbnSab’in. Le sue domande sulla sopravvivenza dell’anima e il suo continuo ribattere polemico e spesso irriverente alle risposte dogmatiche dei sacerdoti cristiani e islamici furono usati come pretesto per dimostrare l’eresia o perfino l’ateismo dell’Imperatore che invece fu tutt’altro che “materialista” come volle la vulgata guelfa e filo-papale, ma che fu piuttosto un cercatore di una Unità trascendente e divina al di là delle singole forme particolarie dei dogmi, che per Federico erano mere superstizioni che ostacolavano la vera Scienza divina.
Questo fece nascere ulteriori dicerie e leggende che si intrecciarono con quelle sui Templari. In molti vollero Federico in rapporti segreti esoterici con l’Ordine del Tempio – ch invece ebbe rapporti travagliati con il sovrano che gli preferì sempre l’Ordine Teutonico – che si espressero soprattutto nell’architettura magico-simbolica di alcuni edifici tra cui il celebre Castel del Monte, sotto al quale si diceva che Federico intrattenesse, in una stanza segreta all’interno del monte il cui tetto era dipinto a imitazione della volta celeste, discorsi sapienziali con i più alti rappresentanti delle tre grandi religioni monoteistiche. Ovviamente l’intreccio di leggende templari e arturiane fece nascere anche la leggenda secondo la quale il sovrano custodisse egli stesso il Sacro Graal. Fu sempre Castel del Monte al centro di queste leggende. Il castello fu e resta un unicum nell’architettura medievale: tanto il luogo lontano dalle frontiere quanto l’assenza di soluzioni e meccanismi difensivi e soprattutto le scale che salgono in senso antiorario favorendo l’assalitore invece del difensore rendono palese che l’iconico castello ottagonale non avesse scopo militare. La complessa architettura basata su rapporti geometrici e matematici e direzionata scientemente secondo direttive astronomiche rendono il castello più simile ai templi pagani e agli antichi cerchi megalitici o alle cattedrali gotiche. Un edificio così particolare e dalla geografia sacra così palese non poteva che essere costruito per un motivo molto importante e fu ovviamente indicato come uno dei tanti luoghi in cui il Graal era custodito.
Leggende, ovviamente, che possono far sorridere chi sia convinto che il Graal non sia tanto un calice fisico quanto ciò che contiene: il Sangue Reale che riconnette al Principio e che pertanto non può essere qualcosa di materiale. Sangue Reale e Principio che sicuramente furono incarnati dal grande Federico, Rex Mundi, Imperatore a cui si possono tranquillamente applicare le parole dell’Artù del film Excalibur di John Boorman: “non ero destinato ad una vita umana ma ad essere l’essenza di memorie future”.
da: www.ereticamente.net

mercoledì 6 dicembre 2017

Simeone di Bulgaria. Un destino singolare

di Cristina Siccardi 

«Ho voluto questa autobiografia perché fosse un documento di prima mano per evitare che un giorno ci siano gli interpreti a dire “pare che abbia detto”, “pare che abbia fatto”, così che la realtà rimanga indietro», è ciò che ha dichiarato Re Simeone II durante la presentazione dell’autobiografia Simeone II di Bulgaria. Un destino singolare. Dopo 50 anni di esilio l’unico Re divenuto Primo Ministro (Gangemi Editore, pp. 320, € 24,00), che si è tenuta a Roma nella Sala mostre e convegni Gangemi l’11 novembre scorso.

Il libro è stato redatto dallo storico francese Sébastien de Courtois sotto dettatura del Re dei Bulgari. Inizialmente è stato pubblicato in francese e poi, via via, nelle diverse lingue. Il 16 giugno scorso, il Re bambino divenuto decenni dopo Primo Ministro di Bulgaria (21 luglio 2001), ha compiuto 80 anni, ciò significa che è stato testimone delle tragiche vicende totalitariste che hanno attraversato l’Europa. Uomo ovunque stimato per le sue doti intellettuali, amministrative, organizzative, porta con orgoglio e onore il ricco retaggio spirituale sia del padre, Re Boris III (1894-1943) di Bulgaria, che della madre, Giovanna di Savoia (1907-2000).
I genitori si sposarono ad Assisi (per un voto promesso da Giovanna, la quale diverrà terziaria francescana e vorrà poi essere sepolta nella città di san Francesco, dove tuttora riposa) il 25 ottobre del 1930. Simeone è stato sovrano dal 1943 al 1946, dopo l’assassinio del padre. Vista la giovane età, 6 anni, fu nominato un Consiglio di reggenti, a capo del quale fu posto lo zio, il Principe Kyril.
Questa autobiografia, scritta con perizia e trasparenza, viene ad assumere un enorme valore storiografico, sia per i fatti che vengono rivelati, sia per l’autorevolezza di chi li espone: qui è presente tutta la Storia d’Europa del XX secolo fino ad arrivare agli incredibili accadimenti dell’inizio del XXI, quando, per la prima volta, un Sovrano è stato eletto Premier di una Repubblica da poco liberata dalla tirannia comunista.
Boris III della dinastia di Sassonia-Coburgo-Gotha riuscì a non far intervenire il proprio Paese nel secondo conflitto mondiale, risparmiando così moltissime vite umane, fra le quali quelle degli ebrei, in quanto non acconsentì mai alla loro deportazione.
Boris III venne avvelenato, molto probabilmente, come sosteneva Giovanna di Savoia, straordinaria sposa, madre e Regina, per mano dei sovietici. Lo zar dei Bulgari morì il 28 agosto 1943, alle ore 16,20, e Simeone gli succedette sul trono. Il 28 agosto di un anno dopo morirà, assassinata nel campo di concentramento di Buchenwald, Mafalda di Savoia, la quale, molto legata alla sorella Giovanna, si era recata un anno prima al funerale del cognato Boris, proprio nei tragici giorni in cui l’Italia firmava l’armistizio.
Nel gennaio del 1944 Sofia viene bombardata dagli alleati. Il 1° febbraio 1945 il Principe Reggente Kyril è fucilato a Sofia dopo il colpo di Stato comunista sostenuto dall’Unione Sovietica.
Nel 1946 la monarchia è abolita con un referendum nel quale il 90,72% dei votanti si era espresso a favore della Repubblica: un risultato chiaramente manipolato dal Governo di coalizione di Otečestven front, nel quale il partito comunista era la forza principale, senza contare la pesante influenza esercitata dalle stanziate truppe militari sovietiche. La Regina e i due figli, Simeone e Maria Luisa (nata il 13 gennaio 1933), sono costretti all’esilio, dapprima riparano in Egitto, poi, nel luglio del 1952, trovano ospitalità nella Spagna di Francisco Franco. La prepotenza che l’Unione Sovietica eserciterà sul popolo bulgaro sarà orribile, persecutoria e criminale, fino alla fine.
Il volume racchiude tutto il sapore del calore familiare, come è proprio di alcune case reali: non vengono fornite informazioni asettiche e ideologiche di carattere statalista, bensì emergono narrazioni di mera essenza storica e, allo stesso tempo, trapelano chiari sentimenti, sia nei confronti dei propri cari che del proprio popolo: è un tutt’uno.
Dalle pagine emerge il cuore di quella tradizione monarchica super partes, dove la casa regnante è una cosa sola con la propria nazione, in un’osmotica combinazione fra i sovrani e la propria gente, dove tutti si riconoscono nelle proprie radici.
A dimostrazione di tutto ciò questi ricordi sono dedicati ai cinque figli «e soprattutto ai miei nipoti affinché conoscano meglio le proprie origini e possano sempre crescere con loro». Nel prologo Simeone II scrive, a proposito del suo ritorno dal lungo esilio: «In quel giorno di maggio del 1996, le circostanze della vita mi offrivano la possibilità di tornare nei luoghi in cui ero stato felice, per questo sarò sempre riconoscente alle persone che me lo permisero […]. Penso soprattutto a mia madre, la Regina Giovanna, che non è più di questo mondo: aveva sempre rifiutato di abbandonare la speranza che potessi tornare in Patria, finché questo non avvenne. […] Seduta accanto a me, mia moglie [Margarita Gomez-Acebo y Cejuela,ndr] mi strinse d’istinto la mano, mentre mi avvolgeva con lo sguardo. Dal momento del nostro matrimonio, nel 1962, aveva condiviso e vissuto sulla pelle fino al più piccolo sussulto della mia vita politica; sapeva quanto avessi atteso quel ritorno in Bulgaria […]. Sebbene fosse nata in Italia, mia madre aveva obbligato me e mia sorella Maria Luisa a comunicare in bulgaro, soprattutto negli anni seguenti alla nostra partenza, al fine di non perderne l’uso. […] La Bulgaria è un Paese che mi abita profondamente, al quale sono talmente legato da essere più che deciso a restarvi ora, costi quel che costi, malgrado le meschinità malevoli di cui – soprattutto dopo gli anni neri del comunismo – sono stato vittima in ragione di una vendetta politica di bassa lega, che mi rattrista molto. […]”Per parte mia”, scrive il mio compatriota, il filosofo TzvetanTodorov, in Memoria del male, tentazione del bene, “preferirei che si ricordassero, di questo cupo secolo, le figure luminose di alcuni individui dal destino drammatico, dalla lucidità impietosa, che hanno continuato malgrado tutto a credere che l’uomo meriti di rimanere lo scopo dell’uomo”. Non posso fare altro che sottoscrivere a mia volta queste parole piene di saggezza e di ottimismo» (pp. 9-10).
È stata assai sofferta la decisione di Simeone II di scrivere su di sé e sulla propria famiglia, nonché di Storia. Il senso del rispetto e della carità nutrono i paragrafi: non ci sono giudizi, vengono esposti dei fatti, per tale ragione ci viene naturale riandare alla scrittura di Maria Teresa di Francia, duchessa d’Angoulême (figlia dei decapitati Luigi XVI e Maria Antonietta, e per alcuni minuti, nel 1830, Regina di Francia), del suo Racconto degli avvenimenti accaduti al Tempio (Casa Editrice Ceschina, Milano 1964), avvenimenti che vanno dal 13 agosto 1792 fino alla morte, causata dalla dura prigionia, del fratello Luigi XVII. Anche qui è presente il valore della famiglia, l’amore per la propria terra. Anche qui la tirannia, quella giacobina, scoppiata nel 1789.
Duecento anni dopo cade il Muro di Berlino, e per Simeone II, divenuto nel corso degli anni, grazie ai suoi studi e al suo impegno, un manager di prim’ordine a livello internazionale, si profila la possibilità di lavorare per i concittadini con maggior speranza rispetto a prima, intanto la Patria si fa più vicina: «La Bulgaria rappresentava per mia madre un mito divino, era una sorta di Terra promessa dove aveva esercitato i suoi talenti di Sovrana. Nessuno potrà mai contraddirmi rispetto all’importanza del ruolo da lei rivestito in quanto Sovrana. Mia madre si dimostrò infatti ampiamente all’altezza del suo compito, intenzionata a non emettere mai giudizi su nessuno. Ed è proprio questo che trasmise anche a noi. Ma stiamo parlando di un’altra epoca, soprattutto di un’altra educazione, che tanto contrasta con la tendenza voyeristica di oggi a cibarsi della sofferenza psicologica altrui, senza però muovere un dito per alleviarla» (pp. 10-11).
Simeone II non ha voluto lasciare la Storia ai soli vincitori e questa sua autobiografia ne è ampia e coraggiosa dimostrazione. Purtroppo non così fecero i sovrani d’Italia, dallo stesso Simeone ricordati, infatti egli pensa che la loro testimonianza avrebbe avuto un valore inestimabile «aiutandoci a comprendere meglio la Storia recente d’Italia. Le memorie servono infatti anche a far luce su un passato che si conosce male, che non viene quasi mai descritto da una prospettiva interna alla storia delle famiglie reali. […] Perché a passare alla Storia fu soltanto la visione dei loro oppositori […] ma penso che una volta ancora l’eccesso di pudore e la paura di compromettere persone ancora politicamente attive abbia impedito loro di tornare con lo sguardo sulle proprie azione passate» (p. 13).
Anche per non commettere più questo genere di omissione, fondata sulla discrezione e riservatezza – sulle quali hanno marciato beffardamente le bandiere e propagande rosse italiane – crediamo che Simeone abbia deciso di mettere nero su bianco la sua versione. Tuttavia, ricorda l’autore, non bisogna dimenticare che «la grande Storia si costruisce in fondo anche con le piccole storie individuali e che soltanto incrociando entrambi gli elementi è possibile pervenire a una conoscenza storica più approfondita, quando non alla verità. Sempre che si possa parlare di Verità nel contesto della Storia. […] Poiché sono cristiano, credo inoltre nell’amore per il mio prossimo e nell’esigenza di ricordarsi sempre di come i cammini che orientano l’esistenza restino un mistero insondabile» (pp. 14-15).
Queste memorie sono un atto di giustizia e tutte le persone, rimaste intellettualmente oneste, dovrebbero esserne vivamente grate oltre al fatto che la loro sete di verità non rimarrà delusa, qui troveranno invero molte risposte alle loro domande: la storia dei faziosi è senz’altro più sensazionalistica, ma «non basta lasciare la Storia ai soli vincitori. Nel corso della mia vita ho visto talmente tanta propaganda – nazista, sovietica e, ovviamente, anche occidentale – da trovarla ormai pietosa e da restarne disgustato».
Comunque, a dispetto di tutto e di tutti, compresa quella stampa illuministicamente egualitaria, Simeone II è tornato trionfante nell’amata Bulgaria, dove ha governato dal 2001 al 2005 e dove adesso continua a vivere senza rassegnarsi alle menzogne.
Quando nel 2003 mio marito ed io ci recammo a Sofia, tastammo con mano e con commozione il potente affetto che continuava a legare i Bulgari alla Casa reale, nonostante 50 anni di infangante e atroce propaganda comunista.

da: www.corrispondenzaromana.it

lunedì 27 novembre 2017

Il patriarca Kirill: i segni di cui parla Giovanni nell’apocalisse sono sotto gli occhi di tutti. Solo i ciechi non li vedono

di Marco Tosatti

Ne ho scritto questa mattina su “La Nuova Bussola Quotidiana”, ma vorrei rilanciare l’articolo anche su Stilum Curiae, perché mi sembra importante e singolare il fatto che Kirill, notoriamente una persona aliena da misticismi, ritenga opportuno lanciare un messaggio del genere.
Il patriarca Kirill ha detto nei giorni scorsi in un discorso pubblico che i segni del Libro dell’Apocalisse sono ormai evidenti. Ha anche chiesto ai politici, agli artisti, agli scienziati e ai comuni cittadini di unirsi, per fermare il movimento verso l’abisso: “Stiamo entrando in un periodo critico nello sviluppo della civiltà umana”.
Sono parole straordinariamente chiare e dure, certamente non usuali sulla bocca della più alta autorità della Chiesa Ortodossa russa. “Tutti coloro che amano la Patria devono essere insieme perché stiamo entrando in un periodo critico nella storia della civiltà umana. Questo può già essere visto a occhio nudo. Bisogna essere ciechi per non notare l’avvicinarsi di momenti che ispirano timore nella storia, ciò di cui l’apostolo ed evangelista Giovanni parlava nel Libro dell’Apocalisse”.
Il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie ha aggiunto che il momento preciso della fine dei tempi dipende dalle azioni di ciascuno. Ha chiesto al popolo di capire la responsabilità delle persone per ciò che riguarda la Russia e l’intera umanità, e di bloccare “il movimento verso l’abisso della fine della storia”.
Ha poi sottolineato che molti rappresentanti dell’intelligentsia della Russia moderna stanno ripetendo gli errori commessi dai loro predecessori, che portarono il Paese nei rovinosi eventi rivoluzionari del XX secolo. “Oggi è il momento sbagliato per far oscillare la barca delle passioni umane, perché ci sono già troppe influenze negative sulla vita spirituale delle persone”, ha detto Kirill. Il Patriarca ha celebrato una messa nella cattedrale di Mosca, la chiesa del San Salvatore. Subito dopo il Sinodo della Chiesa Ortodossa ha offerto al Patriarca una copia del copricapo cerimoniale indossato dal patriarca Tikhon, l’uomo che fu eletto a quella carica esattamente un secolo fa.

martedì 21 novembre 2017

Apologia della Regalità e Monarchia

a cura di Tommaso Romano

Carlo Delcroix
Siamo monarchici più per la preoccupazione dell’avvenire che per la nostalgia del passato
Nicolò Machiavelli
Vedasi (l’Italia) ancora tutta pronta e disposta a seguire una bandiera, pur che ci sia uno che le pigli. Dio non vuole fare ogni cosa per non ci torre il libero arbitrio e parte di quella gloria che tocca a noi.
San Tommaso d’Aquino
Utilius est regimen unius quam plurimum… omne naturale regimen ab uno est.
Piero Operti
Un presidente non possiede il potere unificatore e moderatore proprio di un re; la suprema autorità è una dimensione dello spirito che non può venire conferita da alcun atto elettorale, e al suo esercizio non esiste titolo più sicuro, più onesto, più convincente delle eredità.
Clemente Solaro della Margarita
Coloro che sostengono la sovranità del popolo cadono nell’assurdo; come può questa averla se nell’atto di esercitarla si dichiara suddito? Sudditi sovrani, sovrani senza sudditi; sono idee che ripugnano; il popolo non avrebbe impero che sopra se stesso e lo perderebbe sottomettendosi all’autorità. L’obbedienza a questa è legge di natura; né v’ha più falso principio di quello di Rousseau, quando dice che la sovranità è l’esercizio della volontà generale.
Gioacchino Volpe
Monarchia è anticlassismo, è popolo, nel significato integrale del termine. Essa, negli ultimi secoli, si è affermata affrancando ed elevando plebi, contenendo ed abbassando aristocrazie, eliminando particolari <<libertà>>, cioè privilegi di nobili, di chierici, di borghesi, rompendo circoli chiusi di oligarchie cittadine.
Clemente Solaro della Margarita
Chiunque non sia ingannato dalle idee di una falsa libertà, o mosso dall’amor di questa per servirsene di sgabello, a tutt’altro intento, darà sempre preferenza alla Monarchia.
Clemente Solaro della Margarita
L’incertezza dell’avvenire è ciò che vi è di più positivo nelle repubbliche. La quiete e la sicurezza di cui talvolta si gode possono scomparire all’istante, sol che vacilli la fermezza di chi regge, o cresca l’audacia di chi alla cosa pubblica è avverso. Tale incertezza è nelle monarchie minore, più facili i rimedi, più forza per adoperarli.
Giovannino Guareschi
Perché sono monarchico? Per ragioni storiche, per ragioni sentimentali, per ragioni pratiche. Per me un presidente di repubblica è sempre una persona espressa da un partito e non riuscirò mai a considerarlo al di sopra delle parti. Non potrò mai ascoltare la sua voce come quella della patria.
Dante
L’uomo necessitò di una duplice guida, con riguardo al suo duplice fine: da una parte il Sommo Pontefice che guidasse alla vita eterna il genere umano, conformemente alla Rivelazione; dall’altra, l’Imperatore che lo indirizzasse alla felicità temporale in linea con gli ammaestramenti filosofici. Ma, siccome nessuno o in pochi – e questi con soverchia difficoltà – possono pervenire a questo porto, a meno che siano sedati i flutti della carezzevole cupidigia e il genere umano viva affrancato nella serenità della pace, essa è la meta alla quale deve tendere con ogni mezzo colui che ha cura del mondo, cioè il Principe Romano. Solo così si potrà vivere liberamente e pacificamente in questa aiola dei mortali.
Nino Guglielmi
Il nuovo stato monarchico avrà per fondamento il lavoro e per ordinamento le più varie forme di autonomia. Volto a proteggere tutti i diritti popolari e tutte le libertà, esso reprimerà quelle che comunque attentino all’essenza stessa delle libertà. Teso ad attingere la grandezza e la potenza della nazione, esso mirerà ad elevare la dignità e ad accrescere la prosperità di tutti i cittadini, perché le Monarchie, fedeli al principio del Re che regna ma non governa, più non scontino come al presente colpo di governo e di governanti, s’impone che più diretti e immediati siano i rapporti tra Re e popolo e che al Sovrano, oltre a quella sanzionate dal vecchio Statuto, spettino prerogative nuove come: intervenire con maggiore frequenza nella proposizione delle leggi onde interpretare e rappresentare sempre più il popolo reale; indire un Referendum quando giudichi che il voto del Parlamento contrasti la volontà popolare, sia quando stimi che leggi e trattati, per il loro interesse nazionale, richiedano la diretta approvazione del popolo. (…). Noi ci battiamo per il ritorno della Monarchia non solo per ragioni che ad ogni popolo sono proprie, ma anche ed ancora perché italiani e cattolici. Come italiani perché la realtà politica dimostra che in Italia la repubblica o è sovietica o è neoguelfa, e nell’uno e nell’altro caso essa, dipendendo da forze straniere internazionali o universali, non poggia su basi e motivi nazionali e quindi non è indipendente. Come cattolici perché passato e presente dimostrano che in Italia, sede della Chiesa Cattolica Apostolica Romana, la repubblica o è atea, cioè sovietica, o è confessionale, cioè neoguelfa, e sia nell’uno e nell’altro caso necessariamente identifica e confonde i fattori politici con quelli religiosi, con grave pregiudizio per la coscienza politica e religiosa degli italiani e con sicuro danno sia per l’Italia, come potenza nazionale, sia per la Chiesa, come potenza universale. Queste ragioni storiche e politiche, prossime e remote, dimostrano che l’Italia non può essere veramente libera, unita e indipendente se non è monarchica e ghibellina. Questi motivi dimostrano che noi ci battiamo per la Monarchia proprio perché la rivolta spirituale, il rinnovamento civile e morale, le innovazioni economiche e politiche, la pace religiosa e la pace sociale, la stessa indipendenza e la stesa unità della Patria sono indissolubilmente legate al ritorno del Re, alla causa monarchica.
Giovannino Guareschi
Questa bazzecola mi accadde due anni fa, nel 1964. Era la mattina del 24 maggio e io, come sempre avevo fatto, inalberai il bandierone tricolore. Poi scesi in strada per controllare se i pioppi lo nascondessero, nel qual caso avrei tagliato qualche ramo. Ma non ce ne fu bisogno perché la bandiera si vedeva benissimo e lo stemmone sabaudo con la sua brava corona risaltava in modo stupendo. Un ometto magro e occhialuto che aveva fermato la macchina sulla riva del fosso, proprio davanti a casa mia, per cambiare una ruota, guardò anche lui in su, verso il balcone del mio studio, e mi domandò con molto susseguo: “Lei non lo sa ancora che in Italia c’è la repubblica?”. “Sì”, risposi, “lo so ma, per carità di Patria, fingo di non saperlo.
Giambattista Vico
Poiché nelle repubbliche libere tutti guardano a’ loro privati interessi a’ quali fanno servire le loro pubbliche armi in eccidio alle loro nazioni, perché si conservino i popoli vi surge uno solo, come tra romani un Augusto, che con la forza dell’armi richiami a sé tutte le cure pubbliche e lasci a’ soggetti curarsi le loro cose private… e così si salvino i popoli che andrebbero altrimenti a distruggersi (…). Perché nelle repubbliche libere per portarsi un potente alla monarchia vi deve parteggiare il popolo, perciò le monarchie per natura si governano popolarmente: prima con le leggi, con le quali i monarchi vogliono i soggetti tutti uguagliati; dipoi per quella proprietà monarchica ch’i sovrani, con umiliar i potenti, tengono libera e sicura la moltitudine… onde le monarchie sono le più conformi all’umana natura.
Piero Vassallo
Riconoscere la legittimità del potere e della pace monarchica, accettare la logica provvidenziale, che reprime i disordini causati dagli egoismi, scandalizza la mentalità dei moderni, che è corrotta dai sofismi liberali e democratisti. Ma il movimento moderno è senza pace e senza ordine. È la ripetizione della parabola di Lutero, il quale, avendo esaltato l’individualismo e screditato le virtù morali, ha prodotto le rivolte ferine, Munster e Karlstadt, e simultaneamente la potenza acefala che le spense nel sangue, da Lutero invocate con parole degne d’una leggenda nera. Il movimento moderno è il liberalismo libertino, che versò il sangue della nobiltà per esaltarsi nella sanguinosa <<felicità>> di un De Sade. È il comunismo, che all’istanza libertaria ha fatto discendere il filo spinato del discorso concentrazioni sta. È il nazionalsocialismo, che ha mistificato l’istanza d’ordine, per produrre la spirale di un razzismo contrario alla giustizia e contrario all’ordine. Ora non si superano queste angoscianti antinomie se non rifiutando, con Vico e con la tradizione cristiana, le <<malnate sottigliezze>> dei falsi filosofi e ponendo le ingiustizie al disopra delle illusioni, degli egoismi, delle opinioni e degli impulsi irragionevoli. L’ordine civile, infatti, non dipende dall’assenso ma s’impone naturalmente: sia quando gli uomini, lasciandosi guidare dai segni provvidenziali, vivono secondo la loro nobile natura, sia quando vivendo contro la natura e la legge indeclinabile, dissipano e scialano le loro esistenze, così testimoniando la verità e la bontà dell’ordine stoltamente negato.
Rinaldo Orengo
Espulse dai Cimiteri di Guerra delle nostre Province d’Oltremare, raccolte in mansueta umiltà dalla pazienza di questa Italia minore, deposte in un angolo della Penisola non ancora in procinto d’essere caduto a stranieri come – a quel che pare – la zona B dell’Istria, le salme dei combattenti che resero degna quell’altra Italia, quella del Risorgimento, non riposano ancora. Sventola sopra le loro tombe una bandiera che non conobbero, che non riconoscono. Essi morirono per un’altra; morirono per la bandiera d’Italia vera e giusta, quella del Regno: bella per il grande stemma sabaudo che le copriva dignità e forza d’antichissima tradizione, illustre per le imprese audaci, santa per le gesta eroiche che l’avevano avuta a simbolo; sacra per il tanto buon sangue che l’aveva segnata nel carisma incancellabile; indimenticabile per un popolo che non avesse vilmente rinnegato se stesso: poi che per lei avevano palpitato i più nobili cuori di questa terra, e nel suo nome quell’Italia che tutti vogliono ora sepolta senza lapide aveva ancora una volta dato alto segno di sé nel mondo.
Domenico Giuliotti
La rana non può stare senza la pozza, né la pozza senza la rana, né tutt’e due senza fango. Il libero cittadino odia il Papa e il Re, le guardie di pubblica sicurezza e i preti. Egli (la lince!) s’è accorto che dai primi derivano i secondi e che il Medio Evo c’è ancora. Dunque, Viva la Repubblica! Ma il re costituzionale (vale a dire il re sconsacrato, il re scoronato, il re castrato) il libero cittadino non l’odia, lo tollera; lo tollera come uno scaleo, da salir piano, senza allentarsi, fino alla repubblica del suo cuore. Ciò che il libero cittadino assolutamente non tollera è il Re per diritto divino, il Re senza aggettivi, l’apice della piramide con tanto spazio in cima da poterci mettere una seggiola per le natiche elettive d’uno spidocchiato cialtrone: Ecco l’ideale! Nel presidente della repubblica il cittadino vede se stesso ingrandito; vede un potere in suo potere, che muove da basso e s’accoccola in alto e, tuttavia, non tant’altro da non poterlo, con un fischio, a qualunq’ora, richiamar giù. Dunque Viva la Repubblica.
Alfredo Covelli
Noi vogliamo la pace e la sicurezza nell’ordine atlantico e la difesa intransigente dei valori e dei beni dell’Occidente. Noi vogliamo, per dirla con formula breve, ogni progresso, anche il più avanzato, anche il più ardito, ma nella libertà e per la libertà: vogliamo, cioè, tutto quello che è inscindibilmente connesso alla nostra fedeltà agli ideali monarchici. La Monarchia, la Monarchia costituzionale che noi invochiamo, è infatti garanzia di democrazia, di libertà, di progresso, di giustizia sociale, di costume, di rispetto dei valori nazionali, di autonomia, di sicura coscienza dello Stato: come del resto è nella tradizione.
Marco Tangheroni
I monarchici – fermo restando che, generalmente parlando, la monarchia è migliore della repubblica – devono guardarsi dalla rivendicazione di ogni monarchia esistente nel passato, evitare di difendere ogni politica purché portata avanti da un re o in nome di un re. Un simile atteggiamento non potrebbe andare separato (SUPERATO O SEPARATO?) da una mancanza di chiarezza dottrinale e programmatica (?). Alla serenità e alla profondità del ripensamento nostro, in senso tradizionale, del passato sono legate l’incisività e la compiutezza della dottrina politica: difesa delle libertà concrete, lotta per la famiglia, valorizzazione dei corpi intermedi, sana decentralizzazione, politica sociale basata sulla proprietà e la corporazione e, con tutto questo, anche la monarchia.

Rafael Calvo Serer
Non bisogna confondere la Restaurazione con una considerazione pienamente formalistica della Monarchia. Una Monarchia liberale, ridotta alla misera funzione di spettatrice della decomposizione della Società, sarebbe certamente la stessa rivoluzione mascherata da Restaurazione. Ma non si tratta nemmeno di ritornare alla Monarchia assoluta, bensì di ricollegarci alla migliore tradizione della Monatchia cristiana nella quale – come diceva Donoso Cortés, il potere era uno, perpetuo e limitato, uno personificato nel Re, perpetuo nella continuità dinastica, e limitato dalla Società con i suoi organismi e diritti naturali.
Giovanni Cantoni
La Monarchia tradizionale vuole anzitutto le istituzioni che la sostanziano, non una esclusa. La regolarità, certo, ma anche la pacificazione del rapporto tra le classi attraverso la corporazione, ma anche l’esistenza ella proprietà privata, come espressione economica della libertà, ma anche, alla base, la famiglia, perché alla base della società tradizionale sta la famiglia e al vertice della società tradizionale perfetta sta la famiglia reale.
Roberto de Mattei
Dire Restaurazione della Monarchia non basta. Occorre chiarire che Monarchia si vuole. Viviamo in un mondo di vertiginosi cambiamenti e di trasformazioni in cui la parola crisi corre continua sulle nostre labbra per indicare uno stato di squilibrio, di incertezza, di ansia per il futuro. In questo orizzonte confuso abbiamo bisogno di indicazioni e di certezze a tutti i livelli. E ciascuno di noi, magari inconsapevolmente, è costretto ogni giorno a un’interpretazione della crisi del nostro tempo, ciascuno di noi compie ogni giorno scelte di ogni genere, di ordine culturale, morale religioso, politico, economico. Non si può isolare il problema politico; figuriamoci allora se s può isolare un problema come quello istituzionale, è una scelta di sostanza, di contenuto, è, in una parola, una scelta di civiltà. Quale monarchia dunque? C’è una prima risposta possibile: quella di chi dice che non si può sognare un irrecuperabile passato, che non si può intralciare il corso della Storia. La Monarchia, si dice, deve andare al passo con i tempi, e siccome oggi è tempo di democrazia e di progresso, la Monarchia deve essere democratica e progressista, sull’esempio, immancabile, delle Monarchie scandinave. Ma chi è che fa questo discorso? Generalmente due tipi di persone. Primi: quelli che realmente credono nella democrazia e nei suoi valori, quelli per cui il Re borghese e democratico incarna veramente le supreme aspirazioni. Ma per chi crede nella democrazia, e cioè nel regno del numero e della quantità, e quindi nel trionfo dell’egualitarismo, dell’uniformità, del livellamento, un Re, sia pure senza corona come quello costituzionale, non può non apparire una contraddizione in termini. Chi esalta i sacri principi dell’89 abbia il coraggio e la coerenza logica di accettare la loro conseguenza storica: la decapitazione del Re e il terrore rivoluzionario. Altrimenti è una soluzione di compromesso e come tale destinata ad essere sconfitta dai fatti. Proponiamo questo stesso discorso al secondo tipo di monarchici democratici, i democratici per forza, i democratici loro malgrado, quelli che, a differenza dei primi, non credono intimamente nella bontà della democrazia ma dicono di accettarla perché loro imposta dalla Storia. Le Monarchie, dicono, possono oggi sopravvivere solo a patto di adeguarsi ai tempi; è in nome della Monarchia che accettano dunque la democrazia. Ebbene questi signori dicono di richiamarsi alla storia, ma dalla storia non hanno appreso nessuna lezione. Perché è stata la storia a dimostrare la precarietà e la provvisorietà delle monarchie democratiche, veri e propri momenti di trapasso tra la Monarchia integrale e l’anarchia repubblicana. Le Repubbliche sono monarchie che si sono arrese, che hanno abdicato cioè alla loro autorità, e la prima tappa verso la resa, verso la sconfitta totale, è l’ammissione del principio del compromesso, di quel principio democratico che è opposto e autentico nella sua essenza a quello monarchico. Questa critica alle Monarchie democratiche non sottintende, tuttavia, come da alcuni, rozzamente, si vorrebbe far credere, un’adsione alle Monarchie assolute. Le Monarchie assolute, non possiamo dimenticarlo, hanno svigorito l’aristocrazia guerriera, hanno asservito il clero, hanno distrutto con l’industrializzazione e con l’artificiosa contrapposizione capitale-lavoro, i quadri corporativi. La nostra Monarchia non è la Monarchia assoluta né la Monarchia democratica, ma quella tradizionale, organica, rappresentativa.
Henry de la Roche Jacquelin
Pro Aris Rege et Focis
Roberto de Mattei
Pro Rege. Fedeltà a una corona e a una spada, simboli della forza e del potere temporale. Fedeltà non soltanto a una Monarchia, in tesi la miglior forma di governo civile, ma a un Rex, a un reggitore, a chi cioè in tempi di oscurità sappia sollevare una corona e uno scettro che giacciono nella polvere legittimando con l’esercizio ciò che il solo elemento dinastico non giunge a legittimare.
Carlo VII, Re Carlista di Spagna
Mantenete intatta la vostra fede e il culto delle nostre tradizioni e l’amore per la nostra bandiera. Mio figlio Jaime, o chi mi succeda di diritto sapendo che cosa questo diritto significa ed esige, continuerà la mia opera. Tuttavia se la dinastia legittima che ci ha servito da faro provvidenziale fosse destinata ad estinguersi, la dinastia dei miei amati Carlisti, gli Spagnoli per eccellenza, non si estinguerà mai. Voialtri potete salvare la Patria come la salvaste col Re alla testa, dalle orde maomettane e, orfani di monarca, dalle legioni napoleoniche.
Indro Montanelli
Auguro all’Europa di non pretendere che tutte le nazioni che ne fanno parte si adeguino a un unico modello istituzionale: quello repubblicano. Perché mai dovrebbero? È vero che le monarchie sono le depositarie e il simbolo delle varie identità nazionali.
Ma se l’Europa pretende di farsi contro queste identità, cercando d’integrarle in un minestrone senza odori né sapori, andrà incontro a un fallimento dalle cui ceneri potrebbero anche nascere, per reazione, quei forsennati nazionalismi che hanno provocato la catastrofe dell’Europa e la perdita del suo primato.
Convertito, non senza qualche sforzo, all’europeismo, mi auguro che le monarchie che ci sono continuino ad esserci; che, caso mai, a scomparire fossero le repubbliche.
Purtroppo, come diceva Mosca de’ Lamberti, cosa fatta capo ha, anche se non ha né capo né coda quella che si fece in Italia il 2 giugno 1946.
Falcone Lucifero
“La Monarchia”, ha scritto uno dei più insigni costituzionalisti, “è la tradizione dello Stato, è la sua unità e la sua storia impersonate dalla Dinastia, è l’istituto che rappresenta la nazione, la raffigura nel suo passato, la riassume nelle sue più profonde aspirazioni e necessità nazionali”. Come fu anche scritto, essa è il vivente simbolo che lega il passato, con la tradizione, con le sue sventure, le sue glorie, all’avvenire. In Italia rappresenta inoltre la dignità civile dello Stato di fronte alla grandezza spirituale della Santa Sede. Essa ha la funzione di porsi arbitra suprema e regolatrice, non mai parte, nelle lotte feconde delle idee e degli interessi che si agitano nel popolo, e di essere garante delle libertà delle minoranze e del loro diritto di diventare con mezzi legali maggioranza. Essa è come la bandiera che appartiene a tutti e a ciascuno, alla quale tutte le generazioni attraverso il tempo, al disopra delle divisioni, hanno guardato come al segno che le rende figlie d’una stessa patria. La nota caratteristica fondamentale della monarchia è, quindi, la CONTINUITÀ. In uno Stato moderno il pensiero, la parola, l’azione politica in genere del Sovrano, di rado si manifestano pubblicamente; quasi mai - se si eccettuano casi straordinari quali ad esempio il Proclama di Moncalieri di Vittorio Emanuele II e l’intervento provvidenziale di Vittorio Emanuele III al convegno di Peschiera – come atti personali: la struttura costituzionale dello Stato moderno comporta l’intervento e la collaborazione di altri organi collegiali con una concatenazione di responsabilità che lascia fuori il vertice supremo dell’ordinamento. La Dinastia Sabauda, le cui radici in Piemonte affondano in un passato dieci volte secolare, intessuto di dedizione allo Stato, amore del popolo, coraggio ed onore, ha, cento anno or sono, dato agli Italiani l’unità, la libertà politica e l’indipendenza dallo straniero; ha condotto il paese sulla via delle riforme sociali e del suffragio universale; ha completato l’unificazione nazionale riunendo alla patria Trento e Trieste; ha abbattuto la dittatura che, attraverso una progressiva usurpazione dei poteri della Corona e del parlamento, aveva finito con imporre un’alleanza ed una guerra rovinosa.
Walfimaro Fiorentino
La globalizzazione è più facile quando esiste una volontà egemone ed una disponibilità a lasciarsi colonizzare; quando esistono società non interessate alla propria storia, ai propri caratteri, alla propria indipendenza; in queste società l’orgoglio nazionale è spento; al massimo si manifesta il fastidio per il forestiero che viene a toglierci qualcosa; e poco importa se sia extracomunitario o meridionale.
Ecco l’importanza della Monarchia. Restituire al Paese non soltanto la dignità, l’efficienza, ma soprattutto l’identità, che ci consenta di difendere i caratteri della nostra cultura e della nostra storia, senza farci scadere in atteggiamenti di razzismo e intolleranza.
Ed è la Monarchia la risposta ai rischi della globalizzazione, che ci sono e sono gravi ed incombenti; non l’integrazione europea, che, se non filtrata attraverso la tutela della storia dei diversi popoli e dell’autonomia degli Stati, può rappresentare un pericolo ancora maggiore, in quanto fase intermedia ed accattivante della stessa globalizzazione.
Pietrangelo Buttafuoco
L’anima di Umberto si aggira elegante e caritatevole dentro al Pantheon. In piedi certamente, dietro a tutta quella bella gente che segue la celebrazione della pietà cristiana. In verità l’ho visto. Proprio dietro a tutta quella gente venuta per pregare. Re solitario e malinconico, come un sovrano di poeti, un capo dei ragazzini, lui che è solo un figlio devoto di una terra massacrata. Era come assorto nella meditazione di un futuro ancora cieco. In verità lo vedo, dentro l’agorà del Pantheon. Richiamo me stesso all’ordine di fronte allo sguardo di sua maestà. Avete letto il libro “Cuore”? Come doveva essere quella guancia toccata dalla mano stretta fra la stretta dei re? Una benedizione, un occhio di pace. Come accade nella mia terra rotolata nel grano e nel sole, sulle nuvole dei soffitti barocchi, dove dall’alto tutti i re e le regine guardano la devozione dei picciotti. Come una benedizione, come un occhio di pace. Eppure che schifo fuori, dove c’è l’Italia di ogni giorno, dove arriva la digestione di mezzo secolo repubblicano. Uno schifo senza appello. Come tutto ciò che galleggia fuori dal tempio, lontano dalle colonne. Vossiabenedica, maestà.
Giuseppe de Rita
(…) Due sole istituzioni (Monarchia inglese e Chiesa Universale) hanno attraversato i secoli.
Eppure, a ben vedere, sono proprio quelle due istituzioni che mostrano oggi una insospettata capacità dinamica. Esse, che nel passato ci hanno insegnato, che solo il riassorbimento degli eventi, la continuità, la tradizione fanno storia, sono oggi proprio loro che sembrano propense a ragionare in termini di discontinuità, giocandosi il futuro sulla gestione delle emozioni collettive più che sul consolidato rispetto dell’arcano imperio dell’istituzione.
Non so se l’istituzione Chiesa sfrutterà questa congiuntura storica per rafforzare la propria presenza, il proprio ruolo, i proprio potere. Così come non so se l’istituzione Monarchia inglese riuscirà ad adattare i suoi sentimenti al variare del sentire collettivo. Quel che è certo è che, malgrado le apparenze, i processi di cambiamento strutturale sono oggi affidati non alle emozioni e agli eventi, ma alla intelligenza delle istituzioni di far fronte agli eventi e alle emozioni, anche se di enorme impressività. La continuità finisce per essere più innovativa delle istanze nuoviste, specialmente se le istituzioni sanno equilibrare il coraggio di avere al centro orgogliosa continuità (non ci saranno, per fare un esempio, elezioni di piazza o mediatiche per i successori di Papa Woityla e di Elisabetta Seconda).
Verrebbe voglia di mettere in relazione questa riflessione con la realtà istituzionale italiana (…). Credo che le valutazioni che si potrebbero trarre sarebbero non del tutto gioiose: non tanto pensando al nuovismo in cui si è espressa la nostra “società del sentire”, ma pensando alla pratica inesistenza attuale di una cultura politica capace di creare, per dirla con Bobbio, quel 2campo retorico” che solo permette di fare impasto fra emozioni collettive ed istituzioni di governo.         
Juan Carlos I, Re di Spagna
Oggi, l’istituzione monarchica può essere utile alla società solo nella misura in cui è accettata da tutti o dalla schiacciante maggioranza dei cittadini. Per questo, oggi, la monarchia può essere unicamente democratica e parlamentare. È un’istituzione molto antica, storica, che si nutre dell’eredità del passato per migliorarlo (…). Il senso di questa istituzione consiste nell’agire con quel senso dell’onore e del dovere che sono il presupposto del saper servire tutti gli spagnoli, dell’essere utile a tutti. La monarchia non possiede certo bacchette magiche per risolvere i problemi. La soluzione consiste semmai nell’applicare, all’interno della carta costituzionale, criteri di tolleranza e di concordia. Ma sempre nell’ambito delle accettazioni delle istituzioni. La monarchia non può essere utile alla società se non a queste condizioni (…). Rappresenta valori permanenti. Questa è una delle caratteristiche dell’istituzione monarchica: delineare una visione differente delle cose, a più largo raggio. Il dovere della corona è, prima di tutto, morale, dev’essee attenta a non danneggiare nessuno, nessun gruppo o nessun componente della società spagnola. Questa “apertura” del re a tutti gli spagnoli è la condizione essenziale dell’esercizio della funzione reale: mantenere la coesione e l’integrità della società.
Aldo A. Mola
(…) Fu già Montesquieu a individuare nell’onore il caposaldo della monarchia. Il Re, infatti, è fons honorum. Per esserlo deve però egli stesso porsi – ed essere riconosciuto – quale sintesi ed espressione perpetua di regalità, inscindibile dalla sacralità che è fondamento del carisma. Dal sovrano, in altre parole, non ci si attende che sia buono, democratico, simpatico,… o addirittura alla mano. Dal re ci si attende che sia regale. Tanto più da quando l’istituto monarchico da assoluto (cioè sciolto da ogni vincolo esterno alla volontà intima del sovrano) si volle statuario, ovvero fondato su un patto stabile e quindi immodificabile nei suoi principi fondamentali. Proprio per garantire l’ordinario adeguamento del patto originario con l’evoluzione dei tempi – come appunto accade nel corso della storia d’Italia, incardinata sulla flessibilità dello Statuto di enunciati statuari non essenziali per la monarchia: valga il caso, ben noto, della sostituzione della bandiera sabauda con il tricolore nazionale – divenne d’importanza vitale la saldezza della regalità, quale termine di confronto e riferimento della classe dirigente della società.
Aspetto centrale di tale processo fu l’evoluzione degli Ordini propri della tradizione dinastica, arricchiti, nel tempo, dal loro conferimento oltre i vincoli originari: e quindi a prescindere da requisiti confessionali o di natali. Non ne derivò affatto un imborghesimento della regalità ove per tale s’intendesse un suo appiattimento su principi estranei alla tradizione. Al contrario: la Corona accentuò il suo ruolo carismatico e pedagogico nei confronti della società, il suo vero e proprio Magistero etico e storico. Il conferimento di onori ai cittadini, quali ne fossero le condizioni originarie e le credenze, non comportò affatto una diminutio di regalità. Questa divenne anzi principio di riferimento per una cerchia sempre più ampia di cittadini pleno jure e si risolse in rafforzamento della monarchia 2per volontà della nazione”, come appunto enunciato dallo statuto. Una nazione bisognosa di un Re, non certo di un “travicello” ostaggio di “cortigiani” privi di carismaticità.
Roberto Pazzi
(…) Sono fedele a una poetica dell’assoluto e quindi non mi riconosco nella realtà di oggi il cui simbolo è la “repubblica”, ma nella monarchia come mito. La mia monarchia è una visione mitica, simbolica che contrappongo alla realtà. Facendo l’equivalenza, monarchia-simbolo e archetipo, repubblica-realismo, io sono monarchico. (…). In un mondo come il nostro i simboli ancorati al passato sono positivi, perché invitano ad una visione scandalosa della realtà. Sono convinto che la genialità, la bellezza, a volte anche la ricchezza eccezionale, siano sì doni necessari per la felicità di ognuno di noi, ma anche altamente ingiusti. Sono dei privilegi: non possono essere di tutti. Non si può diventare belli, non si può diventare geni o eccezionalmente intelligenti se non si nasce. Ci sono nella vita cose altamente ingiuste che io chiamo privilegi monarchici: la monarchia è il simbolo di una condizione della felicità. La condizione della felicità è monarchica, non repubblicana. È di natura, non di cultura: si nasce con le attitudini ai grandi doni della vita. Il Presidente della Repubblica, sotto questo punto di vista, è altamente impoetico, perché è l’uomo comune. (…). La regalità è sempre stata così: sempre il balcone di palazzo reale ha richiesto le folle. E che sia vero che questa esigenza si annidi nella psiche di uomini moderni e non sia solo una prerogativa dei sudditi inglesi lo dimostra il fatto che la regalità oggi è andata a cacciarsi in ben altri tristi emblemi della nostra società: il calciatore famoso, la cantante di grido, l’attrice che racconta gli amanti. Che cosa sono queste cose, se non pallide e miserevoli supplenze di un’esigenza archetipica di assoluto?
Giampaolo Pecori
Gli Stati monarchici costituzionali si rivelano i maggiori garanti dei principi liberali contro la nuova spinta al positivismo giuridico (intervento del legislatore indifferente alla norma naturale), di cui l’Italia ha vissute di recente le tristi conseguenze. La libertà del cittadino viene riconosciuta da queste Costituzioni in maniera pressoché assoluta, con la massima tutela del diritto di proprietà, come nell’autonomia normativa negoziale delle parti libere nella scelta dei loro fini. Ciò pone le monarchie europee in una posizione di perfetta centralità giuridica , e quindi politica, equidistante da ogni ideologia di partito costruita a priori e sovrapposta allo Stato per dominarlo, si tratti di indirizzo socialista come nazionale-corporativo, altrettanti valori contingenti e di comodo della vagheggiata <<funzione sociale>>.
Franco Mattavelli
Siamo accusati di essere dei romantici facenti parte dell’estrema destra. Sia chiaro che noi monarchici siamo la destra, il centro e la sinistra. Il Re è di tutti ed è al servizio della verità, della giustizia, dell’onestà per il solo interesse della Nazione e del suo popolo.
Entriamo nel gioco delle parti e potremo creare i presupposti per il ritorno.
Carlo Santacolomba
Voi nel Re riconoscete l’ombra di Dio; io riconosco in Dio l’istitutore dei Re (…). Il Sovrano sia l’Unto del Signore, e che sia un personaggio tutto sacro, niente profano, anzi del Santuario vero Sostenitore e Custode, e per la Monarchia Magistratura, e per protezione delle canoniche regole.
Nicola Spedalieri
La religione regola i diritti della sovranità.
Michele Federico Sciacca
La democrazia non può non culminare in un’istituzione che impersoni tutti i valori del cittadino nella loro continuità storica e questo istituto è la Monarchia e soltanto la Monarchia (…). [2° Istituto Monarchico è] contrario ai privilegi, alla reazione, antisovversivo e genuinamente conservatore dei lavori che meritano essere conservati attivi e vivi.
Pierre Boutang
Alle Monarchie erano succedute delle dittature o tendevano a sostituirvisi dove esse non potevano più esercitare le proprie naturali funzioni. Una Monarchia che cade non apre mai la strada ad una pacifica democrazia, ma alla dittatura. Nella realtà anche le dittature sono delle monarchie. Sono delle forme diverse e provvisorie di uno stesso principio. All’autorità si sostituisce la forza; all’ordine naturale, l’ordine coatto. Quando preminenti spinte centrifughe hanno distrutto gli elementi coesivi di un popolo, quando, caduta l’autorità dello Stato, vien meno il centro propulsore della vita associata, si autodetermina la necessità di sostituire ai vincoli spezzati altri nuovi e più efficaci. La differenza consiste nel fatto che mentre i primi agiscono dall’interno, si generano nell’istituto e nella coscienza di ciascun individuo, i secondi operano dall’esterno. Alla spontanea accettazione subentra la coercizione, al dovere liberale assunto succede l’imposizione violenta e arbitraria. Mai, più fragili legami hanno stretto gli individui di una stessa nazione: al senso del dovere e all’istintiva solidarietà delle monarchie. Quindi alla forza coattiva delle dittature si è sostituito il vincolo della somma meccanica dei voti, il senso dello Stato è andato completamente smarrito: tanto è vero che oggi si confonde lo Stato con l’amministrazione demaniale. Esso ha perduto ogni significato trascendente, ogni senso morale e spirituale. Non è quasi più possibile scindere due concetti di Stato e Governo, poiché le due entità si sono quasi confuse nella stretta soffocatrice della onnipotenza burocratica (…). È evidente che i principi basilari su cui poggia la vita associata sono venuti meno in modo pauroso nell’istinto e sulla (O NELLA?) coscienza degli uomini. Centocinquanta anni di preminenza del pensiero razionalista e democratico hanno portato a questo risultato: che si sono distrutti gli istituti fondamentali sui quali si reggono le società politiche, ma soprattutto si sono demoliti negli individui i principi dai quali questi Istituti ricevevano forza e autorità (…). La storia non è la storia delle grandi individualità politiche, come ha proclamato il Romanticismo, ma dei sistemi, degli istituti, del lavoro nascosto ma efficace di intere generazioni di medie personalità che hanno successivamente governato, elevato e ingrandito l’edificio entro cui ha vissuto e prosperato una società, un popolo, una Nazione. Mai vi è stato smarrimento come ora, ora che dopo una così lunga esperienza si rivelano sempre più dannose e letali le dottrine politiche che avevano garantito la felicità terrena, il progresso sociale perpetuo, la giustizia e la libertà, per tutti i secoli (…). Si è perduto il senso della continuità della vita attraverso le generazioni, si è smarrito il senso del generale per considerare solo il particolare. Non basta ricostruire lo Stato come forza coercitiva, per sfuggire alla dissoluzione e degenerazione politica. Occorre ristabilire la stabilità, la continuità e l’autorevolezza dello Stato affinché serva i cittadini invece di servirsene, affinché l’ordine coincida con la giustizia. Quando ciò sarà entrato nella convinzione di tutti, le Monarchie ritorneranno con le loro vere funzioni. L’antitesi non è fra dittatura e democrazia, tra forza e disordine, ma tra autorità e arbitrio, tra l’ordine naturale e coazione artificiosa, che è poi l’antitesi alla Monarchia, la quale si regge sul naturale consenso popolare, e la repubblica, la quale il più delle volte nasce dall’equivoco e si perpetua nel pregiudizio.
Leka I, Re di Albania
Se il popolo deciderà di sostituire la Costituzione del 1928 con una nuova e ancora da scrivere, io tornerò nel mio paese da privato cittadino e contribuirò agli sforzi del mio popolo di costruire una società libera e stabile. Se esso deciderà di ristabilire la Costituzione del 1928 e di ridare vita alla continuità e alla legittimità, io accetterò la pesante responsabilità che essa metterà sulle mie spalle. Come Re degli Albanesi io non posso ridarvi i vostri soldi, ma posso ridarvi il vostro Paese.
Amedeo di Savoia, Duca d’Aosta, viceré d’Etiopia
La forza è un mezzo, non un fine. Ciò che occorre è ottenere il consenso, altrimenti non si mantengono gli Imperi.
Michele Federico Sciacca
La Monarchia non è la volontà di tutti, ma la volontà di ciascuno nell’unità di tutti.
Silvio Spaventa
Non democratizzate la Monarchia e le istituzioni se non volete distruggere quella e corrompere questi.
Mohammad Reza Pahalavi, Scià di Persia
Nessun popolo può vivere nel passato, ma non può nemmeno vivere senza il suo passato. Se nulla lo collega più alla propria storia è destinato a sparire.
Antonio Capece Minutolo di Canosa
Il chiamare privatamente a sé il Sovrano snerva l’energia dei sudditi, togliendo quella politica reazione in cui consiste la vita degli Stati: il mutare similmente l’ordine antico delle cose per un principio di novità e dare agli uni le incombenze degli altri produce lo stesso infausto effetto: il chiamare tutto alla Capitale, indi alla Corte, ed in seguito nella propria Persona divora la Monarchia, non altrimenti che viene l’uomo distrutto dall’idrocefalo, segue lo stesso quando non conosce il Sovrano la propria autorità, situazione, amore dei popoli, sicurezza e non sicurezza: che però quando i Grandi non sono nella massima venerazione presso il Popolo, quando gli onori sono prodigati ai vili ed alla canaglia, quando è nell’animo dei sudditi estinto ogni amore nazionale, onde le generose azioni per secondari fini si eseguiscono, tutto accresce il Potere del Principe, ma ne sfianca il fondamento.
Renè Guénon
[Il Re Sacerdote] designa, in realtà, un principio, l’Intelligenza cosmica che designa la Luce spirituale pura e formula la Legge (Dharma) propria della condizione del nostro mondo e del nostro ciclo di esistenza; ed è, al tempo stesso, l’archetipo dell’uomo considerato specialmente in quanto essere pensante.
Pedro de Ribadeneira
Affinché nessuno pensi che io respingo ogni ragione di Stato (come se non ce ne fosse alcuna) e le regole della prudenza con le quali, oltre all’aiuto divino, si fondano, si migliorano, si governano e si conservano gli Stati, dico subito che esiste la ragione di Stato e che tutti i Principi debbono sempre averla davanti agli occhi se vogliono sapere governare e conservare i propri Stati. Ma occorre ricordare che non esiste una sola ragione di stato ma due: una falsa ed apparente, l’altra certa e divina, una che dello Stato fa religione, l’altra che della religione fa Stato, una insegnata dai politici e fondata sulla vana prudenza e su mezzi umani e vili,l’altra insegnata da Dio, che si basa sullo stesso Dio e sui mezzi che Lui con paterna Provvidenza dà ai Principi insieme alla forza di ben usarli, come Signore di tutti gli Stati.
Sergio Boschiero
L’Italia ha bisogno di un Re liberatore e pacificatore, presidio delle libertà, simbolo dell’unità e delle autonomie, garante delle nostre identità e difensore della Nazione dai pericoli delle vecchie e nuove oligarchie. La luce della Corona illumina il cammino del nostro popolo nell’oscurità della presente decadenza morale e civile e alla fine di qwuesto percorso incontrerà il Re necessario.
Aimone di Savoia
Le Monarchie tutelano le identità nazionali minacciate da una globalizzazione XXXX e dai poteri oligarchici.
Alessandro Manzoni
Quando sarò molto forte voi quello che facevo io ogni giorno, pregate Dio per l’Italia e per il Re.
Aimone di Savoia
I valori tramandati di generazione in generazione, le esperienze, le attitudini acquisite e quelle genetiche di una stirpe, possono oggi avere una valenza vera ed essere riconosciuta dai popoli.
Tolkien
Questo è il tuo Regno cuore del più grande Regno avvenire. La terza era del mondo è finita e una nuova era è cominciata, ed è tuo compito ordinare il principio e conservare ciò che va conservato […]. Le mani del Re sono mani di guaritore?
Giorgio Cuceretrentoli di Monteloro
Monarchici intransigenti eravamo, e monarchici nel senso più assolutpo della parola siamo restati davanti agli insegnamenti della Storia e davanti all’evidenza dei fatti che sconvolgono le società, l’Italia e il mondo. Ma il nostro credo monarchico si è irrobustito con le linfe della Tradizione. Abbiamo smesso di lacrimare davanti ai ritratti degli illustri personaggi, che rimangono pur tuttavia dei simboli e dei ricordi indimenticabili, per meditare con una maggiore profondità sulle cause, o meglio sulle origini dei mali che affliggono l’epoca nostra. È questa una cosa che dovrebbero fare tutti i monarchici, ma specialmente i giovani, se intendono battersi ancora con l’arma della persuasione e del raffronto per qualche cosa di valido; temperando però quest’arma con lo studio e la ricerca della verità alla fiamma di quei valori eterni della Fede cattolica e della Tradizione senza i quali non è che vano errore. Senza i quali non può esistere una vera civiltà, sia pure rinnovantesi in un auspicabile progresso – morale e materiale – ordinato e costante.                        
Juan Donoso Cortes
La base di tutti i nostri errori, o signori, sta nel fatto che voi non sapete in che direzione sta andando il mondo. Voi credete che la civiltà e il mondo progrediscano, mentre l’una e l’altra stanno semplicemente trasformandosi. Il mondo, o signori, procede a grandi passi verso l’istituzione del degotismo??? più grande e più oscuro che sia mai esistito a memoria d’uomo. Questa è la meta della civilizzazione, questa è la meta del mondo. Per potere predire tutto ciò non occorre essre profeti.
Guglielmo Ferrero
Lo Stato moderno è troppo forte: ha troppo denaro, troppi soldati, troppi giudici, troppe leggi, troppi scribi, troppi servi di alta e bassa livrea. Gli manca invece l’autorità: ossia il prestigio e il rispetto, perché gli mancano la saggezza, la dignità, la rettitudine, l’intelligenza, la giustizia.
Salvador Dalì
Sono sempre stato monarchico e nello stesso tempo anarchico. Monarchico affinché la nostra anarchia, quella in basso, sia proiettata dall’ordine dell’alto.
Giovanni D’Espinosa
In una prospettiva ideale, paradisiaca, c’è concordanza assoluta tra le volontà poiché tutte coincidenti con quella di chi persegue il bene assoluto. In tale dimensione – se ci è concessa la volgarizzazione del concetto – democrazia e monarchia assoluta coincidono senza residui. In una situazione reale, invece, tale traguardo è ben lontano dall’essere raggiunto. Occorre, pertanto, la mediazione di un’autorità – quella del Sovrano – la quale faccia da tramite tra volontà particolare e volontà assoluta al fine di adeguare sempre più la prima alla seconda.
Achille Lauro
Io sono monarchico per convinzione e per educazione, non solo perché S.M. Vittorio Emanuele, il Re soldato, mi aveva onorato della sua simpatia e della sua fiducia. Quando, in Italia, in seguito alla dolorosa disfatta, tutto sembrava crollare, io vedevo nella Monarchia la sola istituzione nazionale veramente legittima. La politica era guidata dai vincitori della guerra, le elezioni erano falsate dall’esclusione di milioni di voti (quelli dei prigionieri di guerra che non erano tornati, quelli di coloro che erano rinchiusi nei campi di concentramento, quelli di coloro che erano nascosti e braccati dalle innumerevoli polizie, quelli dei tristini e via dicendo) e inoltre vigeva nel paese un terrore antifascista che falsava le cose. Solo S.M. il Re sedeva legittimamente sul trono e proprio per questo le segreterie dei partiti volevano mandarlo via, specialmente le sinistre che pensavano fosse giunta l’occasione di fare dell’Italia una repubblica <<popolare>> agli ordini di Mosca.
Pucci Cipriani
Il ripudio della Monarchia tradizionale e dello Stato organico e cristiano, che essa presuppone, porta inevitabilmente all’accettazione o dello Stato etico o dello stato agnostico. Lo Stato etico, divinizzato e panteista, è propriamente il moderno Stato totalitario, onnipotente e onnicomprensivo, concepito come fine e non come mezzo per la realizzazione del vivere civile. (…). Quanto al modello di stato propugnato dal liberalismo della scuola di Munchester, esso si riduce ad una pura finzione giuridica e ad una funzione amministrativa. (…). Riproporre la Monarchia cattolica quale forma attuabile di governo, sia pure con i dovuti aggiornamenti, richiesti dalle mutate condizioni storiche, non significa affatto volere la costituzione di uno stato “clericale” o di una organizzazione tirannica e arbitraria della “società”, come spesso essa si rivela invece non soltanto nelle dittature comuniste, ma anche nelle democrazie occidentali, anticristiana e fondamentalmente totalitaria (cfr. Gianfranco Morra). Sottoporre l’attività legislativa di uno Stato al rispetto dei principi cristiani, desiderare una società gerarchica basata sull’ordinamento naturale, rifiutare la soppressione di ogni superiore vincolo etico nell’attività politica e l’artificiale ed impossibile separazione della religione dalla società civile, nella consapevolezza che il cristiano non ha soltanto una dimensione personale, ma ne possiede una anche sociale, non vuole dire affatto auspicare un’influenza diretta delle gerarchie ecclesiastiche negli affari interni di uno Stato. Troppo spesso si fa confusione tra separazione” e distinzione” delle funzioni dello Stato e di quelle della Chiesa. Quanto all’organizzazione sociale, Monarchia cattolica sottintende principalmente l’idea organica dello Stato. In contrapposizione alla democrazia livellatrice ed egualitaria, e perciò, nella sua essenza, totalitaria ed inconciliabile con il libero ed armonico sviluppo della personalità, lo Stato organico si fonda sulla ferma validità dei ceti e dei corpi intermedi, sul decentramento amministrativo e sul rispetto delle tradizioni locali, unica ed autentica garanzia contro le degenerazioni dell’autorità e l’isolamento reciproco dell’individuo e del potere. La Monarchia tradizionale non rifiuta neppure il suffragio universale, ma piuttosto lo riporta alla sua naturale funzione di rappresentanza.
Hans Sedlmayr
La nostra società vive in sostanza solamente dei pochi che hanno il coraggio di guardare la realtà e di proclamare la verità, anche se entrambe sono contro l’illusione e contro la menzogna del tempo.
Giuseppe Baraldi
Uno spirito di falsa filosofia sin dalla metà del secolo XVIII aveva cominciato a penetrare anche in Italia e la Religione ebbe a provarne i più luttuosi effetti, che ricaddero poi sugli Stati tutti all’epoca della Rivoluzione francese. Molte novità religiose e fatali agl’interessi stessi de’ Principi e de’ Popoli cominciarono ad aver voga anche in Italia, e fu tale l’arte e l’intrigo degli empi che anche i Principi buoni e ben intenzionati vi prestarono incautamente il loro braccio e potentemente cooperarono alla ruina universale.
Francesco IV Asburgo d’Este, Re di Modena
Raccomandiamo in primo luogo all’Altissimo Noi stessi riuniti ai nostri cari sudditi, acciò si degni accordarci la grazia di conservare un inviolabile attaccamento ai principi della nostra santa Religione Cattolica e osservare fedelmente i suoi precetti, come le basi sulle quali crediamo che debba essere stabilita ogni umana società.
Francesco II di Borbone, Re delle Due Sicilie
Se l’autorità ritorna nelle mie mani, sarà per tutelare tutti i diritti, rispettare tutte le proprietà, garantire tutte le persone e le sostanze dei miei sudditi contro ogni sorta di oppressione e di saccheggio. E se la Provvidenza nei suoi alti disegni permette che cada, sotto i colpi del nemico straniero, l’ultimo baluardo della monarchia, mi ritirerò con la coscienza sana, con incrollabile fede, con immutabile risoluzione; ed aspettando l’ora inevitabile della giustizia, farò i più fervidi voti per la prosperità della mia patria, per la felicità di questi Popoli, che formano la più grande e più diletta parte della mia famiglia.
Guido De Giorgio
Non proponiamo una nuova filosofia, una nuova arte, una nuova vita, ciò che avrebbe un ben scarso interesse in questa fucina di novità clamorosamente vuota e artificiale che è l’Europa moderna, anzi rifuggiamo assolutamente da ciò che dicesi comunemente “originale”, “personale” (…). Noi proponiamo ciò che è più vecchio del mondo, il ritorno allo spirito tradizionale (…). Questo ritorno significa per noi coscienza dell’ordine divino, riassetto di una società tradizionale secondo il Regnum e l’Imperium, l’autorità spirituale e il potere temporale armonicamente sviluppatisi nello stesso ambito tradizionale.
Santa Maria Cristina di Savoia, Regione delle Due Sicilie
Se cercherai il vantaggio del popolo, sarai un buon re da tutti amato.
Carlo Alianello
Altri combattono e muoiono per una conquista, una terra, un’idea di gloria, per un convincimento magari o un ideale, ma noi moriamo per una cosa di cuore: la bellezza. Qui non c’è vanità, non c’è successo, non c’è ambizione. Noi moriamo per essere uomini ancora. Uomini che la violenza o l’illusione non li piega e che servono la fedeltà, l’onore, la bandiera e la Monarchia, perché son padroni di sé e servitori di Dio.
Calonne
Rispettate innanzitutto il trono, non avete sufficiente carattere per essere repubblicani e il primo passo che farete verso la libertà originaria vi farà piombare nella schiavitù.
Augustin Barruel
Questa Rivoluzione fu meditata da molto tempo in Francia da uomini i quali, sotto il nome di filosofi, sembrano aver avuto la missione di rovesciare da una parte il trono e dall’altra l’altare.
Francesco II di Borbone, Re delle Due Sicilie
Che non s’illudano i Governi: la Religione è elemento di ordine e di forza; senza religione non v’ha progresso civile. I più vasti Imperi caddero allorché persero ogni credenza! L’impero dei Santi sopravvenne e la mollezza e la depravazione si diffusero. Corrompete i costumi e imperate, pure fosse la filosofia del nostro progresso: le conseguenze potrebbero essere le stesse.
Francesco II di Borbone, Re delle Due Sicilie
Sono un Principe vostro, che ha sacrificato tutto al suo desiderio di conservare la pace, la concordia, la prosperità tra ’ suoi sudditi. Il mondo intero l’ha veduto: per non versare il sangue ho preferito rischiare la mia corona.
Piero Operti
Quella virtù che era stata creata dalla Monarchia, la quale nel corso di lunghi secoli aveva educato le generazioni al sentimento dell’onore, alla disciplina civile, all’equilibrio fra diritti e doveri. Con la sua sola presenza il Re attestava l’esistenza di una gerarchia funzionale e di un ordine etico. La Monarchia era una sorgente assidua di energia spirituale, una sorta di disinfettante atto a neutralizzare la corruttibilità della natura umana.
Ernest Rénan
La Monarchia, legando gli interessi di una nazione a quelli di una grande famiglia, costituisce il sistema di maggior vigore per una nazione. La mediocrità possibile, per quanto non probabile del Sovrano, non ha in tale sistema che deboli inconvenienti.
Robert Senelle
L’importanza del ruolo di un Sovrano costituzionale non risiede affatto, in effetti, nell’azione diretta sul piano politico. Arbitro imparziale e guardiano delle legalità, la sua importanza risiede soprattutto nell’influenza moderatrice che Egli può esercitare in seno all’Esecutivo.
Renè de Chateaubriand
Bisognerà conservare l’opera politica che è risultata dalla rivoluzione ed è consacrata dalla carta, ma estirpare la rivoluzione dalla sua opera in luogo di rinchiudervela. Bisogna, per quanto è possibile, mescolare gli interessi ed i ricordi dell’antica Francia con la nuova, invece di separarli o incarnarli negli interessi rivoluzionari… così, io voglio tuta la Carta, tutta la libertà, tutte le istituzioni portate dal tempo, dal mutamento dei costumi e dal progresso dei lumi, ma con tutto ciò che non è perito dell’antica monarchia, con la religione, coi principi eterni della giustizia e della morale.
Lamartine
Questo secolo segnerà la data della nostra duplice restaurazione: restaurazione della libertà per il trono e del trono per la libertà.
Lord Acton
Dove la società è costituita senza eguaglianza di condizioni o unità di razza, dove vi sono classi diverse e varietà nazionali, si rende necessario un protettore, nella forma di un governo che deve essere distinto e superiore ad ogni classe, e non lo strumento di una di esse, in un’autorità rappresentante lo Stato, e non qualche porzione della società. Ciò può essere fornito solo dalla Monarchia; e in questo senso è giusto dire che il governo costituzionale, cioè l’autorità della legge in quanto distinta dall’interesse, può esistere solo sotto un re. Questa è la ragione per la quale perfino le monarchie assolute hanno governato le loro colonie meglio dei governi popolari.
Georges Bernanos
Nessun uomo del Medioevo dubitò mai che un Re giusto fosse superiore a un Re prudente… un Re è per me il primo servitore dello stato, il protettore del Popolo contro le potenti oligarchie: ieri feudali, oggi dei trust.
Walter Bagehot
La monarchia è una forma di governo, nella quale l’attenzione della nazione si dirige verso una singola persona, che fa cose interessanti. La repubblica è una forma di governo, nella quale l’attenzione si divide tra una serie di persone, le quali fanno tutte cose non interessanti.
Herbert Eisenreich
[La Monarchia è] il mezzo di salute omeopatico o almeno la profilassi contro il pericolo della dittatura.
Lord Attle
La monarchia attira verso di sé il senso del lealismo e sotto una monarchia costituzionale vi è assai meno pericolo che un popolo possa essere trascinato nel suo entusiasmo da un Hitler. Il governo della Regina è un governo stabile e un cambiamento di un leader non diviene causa di turbamenti, poiché il governo della Regina continua. Rappresenta un serio inconveniente il riunire in una sola persona e il simbolo della nazione e il capo di un partito; è impensabile che un Sovrano inglese possa farsi dittatore, mentre ad esempio ciò è possibile per il Presidente degli Stati Uniti d’America.
George Friedrich Hegel
La sovranità, da prima soltanto concetto universale di questa identità, esiste soltanto come soggettività certa di se stessa e come autodeterminazione astratta – e, pertanto, priva di fondamento – della volontà, nella quale si trova l’estremo della rivoluzione. È questa l’individualità dello Stato in quanto tale; il quale esso stesso, soltanto in ciò è uno. Però, la soggettività è nella sua verità in quanto soltanto soggetto; la personalità è soltanto in quanto persona e ciascuno dei tre momenti del concetto ha il suo aspetto separato per sé, reale, nella costituzione sviluppata a razionalità reale. Questo momento assolutamente decisivo della totalità non è, quindi, l’individualità in generale, ma un individuo, il monarca.
Umbero II di Savoia, Re d’Italia
La Monarchia fa del Capo dello Stato un potere autonomo, che nulla deve ai partiti per l’origine della propria autorità e che appunto per questo rimane equidistante da tutti. Poi la Monarchia suscita legami affettivi familiari, che rendono il senso dello Stato più intimo, più facile a stabilirsi nelle coscienze.
Giacomo Leopardi
La ragione e l’essenza della monarchia consiste in questo, che alla società è necessaria l’unità. L’unità non è vera se il capo o principe non è propriamente o interamente uno. Questo non vuol dir altro se non che essere assoluto, cioè padrone egli solo di tutto quello che concerne il suo fine, cioè il bene comune. Quanto più si divide il potere, tanto più si pregiudica all’unità, dunque tanto più si viola, si allontana e si esclude la ragione e la perfezione e della monarchia e della società. Così che lo Stato costituzionale non corrisponde alla natura e ragione né della società in genere né della monarchia, in ispecie. Ed è manifesto che la costituzione non è altro che una medicina ad un corpo malato.
Giacomo Leopardi
La monarchia assoluta s’è congiata in molti paesi (ora mentre io scrivo s’aspetta che lo stesso accada in tutta Europa) in costitutiva. Non nego che nello Stato presente nel mondo civile, questo non sia forse il miglior partito. Ma insomma questa non è un’istituzione che abbia il suo fondamento e la sua ragione nell’idea e nell’essenza o della società in generale e assolutamente, o del governo monarchico in particolare. È un’istituzione arbitraria, ascitizia, derivante dagli uomini e non dalle cose: e quindi necessariamente dev’essere instabile, mutabile, incerta, e nella sua forma e nella sua durata e negli effetti che ne dovrebbero emergere perch’ella corrispondesse al suo scopo, cioè alla felicità della nazione.
Fernando Pessoa o Penoa
L’Impero supremo è quello dell’imperatore che abdica a tutta la vita normale, quella degli altri uomini, sui quali la responsabilità della supremazia non pesa come un carico di gioielli.
Luigi XIV di Borbone, Re di Francia
Io, Luigi XIV, sono informato di ogni cosa; pronto ad ascoltare fino all’ultimo dei miei sudditi; consapevole in ogni momento della quantità e qualità delle mie truppe; incessantemente occupato a dare ordini per tutti i loro bisogni; a fissare il livello delle entrate e delle spese del mio Stato.
Umberto I, Re d’Italia
Per un re costituzionale, la fiducia nei ministri è un obbligo, non un sentimento.
Eugene Jonesco
Il comunismo è finito, non tiene più, si è annichilito. Qui si compie con un ultimo sussulto un processo storico iniziato nel 1789. Due secoli fa il terrore che dalla negazione del Cristianesimo soffocò la rivolta della Vandea, un genocidio che tutti dimenticano. In questo ’89 rumeno c’è la rivincita di quel popolo che mostra come la storia può tornare su più giusti binari… ed ora infatti il sistema cambierà. Mi si chiede: andrà verso una democrazia tipo occidentale? Non sono un profeta; ma in ogni caso andrà verso una democrazia. Vorrei dire: una democrazia rumena. Da noi si è sempre stati monarchici e sempre abbiamo avuto un Re. Forse l’ipotesi più ragionevole è la monarchia costituzionale.
Montesqueu
Il governo monarchico presuppone delle preminenze, dei ranghi e persino una nobiltà originaria. La natura dell’onore è di richiedere preferenze e distinzioni; dunque, per la cosa stessa, è al suo posto in questo governo. L’ambizione è perniciosa in una repubblica. Produce buoni effetti nella monarchia; dà la vita a questo governo e offre questo vantaggio, che in esso non è pericolosa perché può esservi continuamente repressa. Si direbbe che avvenga come nel sistema dell’universo, dove una forza allontana senza posa dal centro tutti i corpi e una forza di gravità ve li riporta. L’onore fa muovere tutte le parti del corpo politico, le lega con la sua azione stessa e accade che ognuno va verso il bene comune, credendo di andare verso i propri interessi particolari. È vero che, da un punto di vista filosofico, è un falso onore quello che guida tutte le parti dello Stato; ma questo falso onore è altrettanto utile al pubblico di quanto lo sarebbe quello vero ai privati che potessero averlo. E non è già molto obbligare gli uomini a compiere le azioni difficili, che richiedono forza, senza altra ricompensa che la risonanza di quelle azioni?
Thomas Carlyle
L’Eroe può essere Poeta, Profeta, Re, Sacerdote e ciò che volete, a seconda del tipo di mondo in cui si trova a nascere.
Dante
… infin che ’l veltro
verrà, …
Di quell’umile Italia fia salute
per cui morì la vergine Camilla,
Eurialo e Turno e Niso di Furete.
Dante
Convenne rege aver che discernesse
della vera cittade almen la torre.
Rinaldo Orengo
Ormai questo <<paese>>, questo rottame che pur fu un grande Regno, è un’Italia che in se stessa non crede e di se stessa non cura. Ed è un tal rottame senz’anima che vorremo offrire al Savoja? Non è soltanto un peccato che l’Italia non abbia più una Monarchia: il guaio è che l’Italia non è più degna di avere al suo vertice una monarchia; non è più capace d’obbedire a un Re. Così com’è ridotta dalla repubblica, dalla democrazia e dalle multinazionali, quest’Italiastra è degna soltanto della piccola congrega di nani che ha scelto a padroni. 
Servio
Majorum haec consuetudo ut rex esset etiam sacerdos et pontifex.
Nîtisâra, testo Indù
Splendida è la dignità di un dio in terra, ma ardua da ottenere per gli insufficienti: degno di divenire re è solo colui che ha l’animo elevato a tanto.
Aristotele
I re hanno questa loro dignità per via del loro essere sacerdoti del culto comune.
Charles Petrie
All’apice della piramide stava il monarca quale simbolo della nazione come tutto e, dopo l’incoronazione, quale unto dal Signore in tale qualità di rappresentante di essa. Non era il despota, soggetto a nessun’altra legge fuori da quella da lui stesso fatta, bensì una parte integrale del sistema di cui era capo. La sua corona era un emblema di fedeltà verso il suo popolo e i suoi diritti e doveri erano definiti così esattamente, quanto quelli dei suoi sudditi. Tale era invero il carattere distintivo del regime feudale: ognuno aveva il suo posto definito nel tutto sociale, posto che gli corrispondeva e di fronte al quale egli era responsabile.
D’Albon
Ciò che ha fatto dei re degli oggetti di tanta venerazione sono state principalmente le virtù e le potenze divine scese solo su di essi e non sugli altri uomini.
Plilip Wolf-Windegg
Un popolo non può scegliere il vero re, ma solo confermarlo: e non si è mai trattato di confermare una persona qualunque, ma solamente, come avveniva fra i Germani, un essere di stirpe regale.
Adamo Degli Occhi
Sono monarchico perché la monarchia cioè la “guida di uno solo” è la naturale forma che si riscontra in tutta la natura: dall’unico sole all’unico cervello o cuore che è dell’uomo fin giù giù al “capo branco” fra gli animali. O, al Sommo, all’unica anima. All’unico Iddio. Tutto ciò che è assemblea è paralisi e lite: inefficienza come attesta il fallimento della Repubblica d’ogni tempo. Occorre un forte polso, l’indipendenza e il potere di un Capo, la sua assunzione per il diritto di successione, fuori dalla gara, dal bisogno, dal compromesso democratico.
Matteo Sullivan
I monarchici vedono nella Monarchia non solo la restaurazione dello Stato di Diritto, della serenità e della giustizia sociale, ma, principalmente, il progresso sociale che in Italia si può ottenere unicamente con un cambiamento alla radice dell’istituzione e non con modifiche vane. Per esempio, un’eventuale “Repubblica Presidenziale” estremizzerebbe le lacune dell’istituto repubblicano (presidenti dei partiti, oligarchie partitocratiche che lottizzano lo Stato, egemonie economiche) e poi restringerebbe di fatto le libertà e le opposizioni.
Sidney Sonnino
La Camera elettiva sarà tanto più indipendente e riprenderà tanto più seriamente ed efficacemente la sua funzione legislativa e l’esercizio del controllo finanziario quanti più presto rinuncerà al pretendere che i Ministri siano un’emanazione sua e da essa effettivamente designati, ma li considererà Ministri del Principe, cioè quali organi scelti responsabili della volontà e dell’azione del Sovrano, da lui solo scelti e nominati… così l’opinione pubblica vedrà realmente divisi i poteri, sminuito l’andazzo dei governi prefabbricati da pochi (uomini di partito) e si troverà ad avere una maggiore libertà di movimento e d’azione nel delineare l’indirizzo della legislazione e nel sindacare atti di governo. (…). Il Re, insomma, secondo lo Statuto, impersona lo Stato in tutti gli elementi suoi più necessari e normali e nella tutela di questi elementi ha una funzione attiva e non passiva. È lui che rappresenta la tradiuzione di governo, la continuità nell’azione dello Stato, la stabilità dei suoi ordinamenti; in una parola, egli sintetizza l’interesse generale della Patria tanto nel presente che nel futuro. Ed è l’unico istituto a cui queste funzioni siano, nei nostri ordinamenti, affidate (…). Il principato nostro, che s’immedesima con il concetto della patria nazionale ed impersona insieme il principio della libertà individuale, garantita  invece che soffocata dall’azione dello Stato, ci porge un’identità atta a servire  di punto di raccolta, di nucleo attorno a cui stringerci, in mezzo al rapido avvicendarsi degli uomini e dei gruppi al potere, e al turbinio delle loro momentanee passioni e rancori.
Giovanni Spadolini
La Monarchia non può sperare niente dai ceti dirigenti del paese, dai nuclei monopolistici della finanza e dell’economia, che tendono ad asservire il potere politico purchessia e temono ogni mutamento, sia esso restaurazione o rivoluzione. In tutt’altra direzione è il suo destino: in tutti quegli strati grigi, umiliati, sacrificati, impoveriti, dispersi ma sempre vivi, presenti ed operanti, di borghesia del buon senso, che teme il pericolo comunista ma non vuole il governo dei ???? VEDI 77
Giovanni Spadolini
Se un giorno vasti strati di popolo si volgessero verso una restaurazione della Corona, ciò avverrebbe solo per trovare istintivamente una protezione, una tutela, uno schermo contro le insidie del privilegio, che in una repubblica incontra sempre meno resistenza che in una Monarchia.
Carlo Delcroix
Siamo monarchici più per la preoccupazione dell’avvenire che per le nostalgie del passato.
Enzo Selvaggi
Le forze del lavoro e della produzione avanzano e finiranno con il travolgere il mondo capitalistico egoista. Noi dobbiamo essere i primi, in nome di una Monarchia popolare, essere i primi a difendere gli interessi del popolo lavoratore.
Guglielmo Giannini
Non è tutta questione di cuore il nostro atteggiamento favorevole a una generale intesa fra i monarchici, ma una Questione d’Intelligenza, basata sul valore della formula “il Re”: valore politico, musicale (VEDI 81), sentimentale, che può determinare uno schieramento di valori insperati.
Umberto II
Tutti coloro che mantengono una fede monarchica in Italia sognano un re diverso, che va dal re magnanimo, generoso, misericordioso della tradizione, al re autoritario e militare, e al re socialista… Non (VEDI 82) posso essere soltanto uno di questi re, perché non posso essere il capo di una fazione. O le circostanze mi permettono di essere il re degli italiani o preferisco essere un signore privato, un italiano in esilio.
Orazio Condorelli
 Le Monarchie non sono formule giuridiche che possono essere inventate in una notte di malumore in un Parlamento. Le Monarchie esistono nell’anima dei popoli; (VEDI 83) nella tradizione, atto di coscienza che bisogna tenere sveglia. Noi dobbiamo tenere sveglio questo atto di coscienza, perché l’Italia se lo trovi nel momento in cui, per la sua salvezza, dovrà restaurare la Monarchia.
Antonio Labriola
La Monarchia è simbolo di unità, resa quasi indispensabile dalla presenza del Papa in Roma.
Leone XIII
Moltissimi dicono che ogni potere viene dal popolo: per cui coloro che esercitano questo potere, non lo esercitano come proprio, ma come dato loro dal popolo, e altresì che dalla condizione che dalla volontà dello stesso popolo, da cui il potere fu dato, possa venir revocato. Da costoro però dissentono i cattolici, i quali il diritto di comandare derivano da Dio, come dal suo naturale e necessario principio.
Leone XIII
Il potere pubblico in sé stesso (VEDI 87) non può che derivare da Dio. Iddio solo è il vero e supremo Signore del mondo e a Lui devono sottostare tutte quante le creature e servirLo, in guisa che chiunque è investito di sovranità non d'altronde la tiene che da Dio massimo Signore di tutti.
Marco Tangheroni
La monarchia è forma di governo legata ad un tipo ben preciso di civiltà, destinata a scomparire con essa e ad essere con essa (Dio lo volesse!) restaurata. Questo significa che solo dopo la restaurazione completa di quella civiltà si potrà pensare ad una restaurazione monarchica? No davvero; se la Contro-Rivoluzione è, come la Rivoluzione, un processo, è pur possibile, e in certi casi necessario, alterare l’ordine logico delle fasi, non foss’altro per dare una prova di buona volontà, sfuggendo alla tentazione della pura gestione, mostrando chiarezza di prospettive e di fini.
S. Ignazio di Loyola
Fai come se tutto dipendesse da te e poi abbi fiducia nella Provvidenza come se tutto dipendesse dalla Provvidenza.
Hans Blüher
Un re che rimette ad un’elezione popolare la conferma del suo potere tanto da farsi responsabile per il popolo dinanzi a Dio, nel far ciò ha già negato la sua regalità. Non vi è infamia commessa da un re, e Dio sa se i re non ne hanno commesse, che possa distruggere la sanzione mitica oggettiva dello stesso re: ma un’elezione democratica la distrugge di colpo.
Juan Donoso Cortes
Oggi non vi è un re che ardisca dirsi tale se non per volontà della nazione; e se ardisse nessuno gli obbedirebbe.
Bismarck
La sola rivoluzione che conosciamo è la rivoluzione dall’alto.
Tacito
Ut imperium evertant, libertatem praeferunt; si perverterint, libertatem ipsam adgredientur
Domenico Fisichella
È necessario, perché sia assicurato un equilibrio tra interesse generale e interessi speciali, che alcune strutture portanti dello Stato (inteso quest’ultimo come luogo istituzionale dell’interesse comune, come istanza generalistica, come rappresentante del <<tutto>> rispetto alle <<parti>>) sfuggano il più possibile alle suggestioni dei particolarismi, alle contese tra le parti, alle loro relazioni <<negoziali>>, alle loro sempre possibili prevaricazioni e invadenze e colonizzazioni, agli accomodamenti e ai conflitti dettati comunque da motivazioni e interessi partigiani. Nei limiti compatibili con i caratteri della natura umana, la monarchia ereditaria è, comparativamente, la forma politica in grado di assicurare al meglio (per qualità e quantità) l’autonomia dello Stato e delle sue strutture essenziali (forze armate, diplomazia, magistratura, alta amministrazione) rispetto alle ingerenze, pressioni, interferenze particolaristiche. Ciò avviene non soltanto per motivi istituzionali, pure di grande rilievo, connessi al ruolo del sovrano nell’assetto statuale, ma anche ampiamente per motivi di costume civile: come simbolo dell’unità nazionale, come autorità che nasce con una legittimità non <<partigiana>>, il sovrano lega a sé in un vincolo di onore le grandi strutture dello Stato, le organizzazioni che fanno di un insieme di uffici uno Stato, non per subordinare i magistrati (che evidentemente giudicano applicando la legge in autonomia anche rispetto alla Corona), non per coartare militari e diplomatici e alti burocrati pubblici, ma per sottrarli alle suggestioni ricorrenti delle parti in nome di una superiore legittimità. Come simbolo e come referenza istituzionale, la monarchia è perciò l’espressione suprema e più stabile, duratura nel tempo e sottratta agli scossoni della successione, del principio generalistico nell’esperienza collettiva. Ecco perché la monarchia è il regime dove le cattive inclinazioni del singolo uomo pubblico (nella specie, del singolo principe) possono fare, comparativamente, meno danni perché, mentre in una monarchia la cattiveria del singolo – cioè il suo seguire, piegarsi alle inclinazioni <<particolaristiche>> – è una faccenda che inizia e finisce con la persona stessa, negli altri regimi politici, ove è assente o carente una referenza generalistica con certe caratteristiche, le inclinazioni <<particolaristiche>> non riguardano una persona, ma riguardano il sistema (…). I caratteri della persona, specie negativi, contano più in repubblica che nella monarchia, perché quest’ultima è soprattutto un’istituzione.
Renato Del Ponte
È <<legittimo>> solo ciò che è <<conforme alla legge>>, vale a dire la legge divina di quello ius sacrum donde promana ogni diritto puramente umano, parziale, individuale o sociale che sia.
Renato Del Ponte
Il ristabilimento di una monarchia tradizionale è proprio l’ultimo anello, quello più importante, per l’edificazione di una Grande Piramide, presupponente tutta una serie di precedenti raddrizzamenti e restaurazioni, da operare nel campo dello spirito e poi in quello della società, tra cui, notevolissimo problema e in primo piano, (…) della ri-fondazione di un’aristocrazia degna di tale nome. Anche qui ci pare che il riferimento potrebbe andare, prima ancora che alla tradizione medievale, a quella romana. Ivi gli optimates erano i rappresentanti più degni di quel Senato che è alla base stessa della prima monarchia romana: i custodi e i garanti della successione da Romolo al primo monarca greco-etrusco, e quindi in grado di fornire legittimi interreges (VEDI 95) nel corso di vacan(???) a dei sovrani e, poi, dei consoli. Com’è noto, il primo re <<etrusco>> di Roma, Tarquinio Prisco, era in realtà, per parte paterna, di origine greca, da Corinto. La monarchia <<etrusca>> a Roma fu affossata proprio perché aveva tentato di incrinare il fondamentale equilibrio tra le tre forze fondamentali dello Stato: Rex – Senatus – Populus. Ottaviano Augusto, che era, non lo si dimentichi, primus inter pares nel consenso senatoriale, non fece altro che ristabilire quell’equilibrio: e da lui in seguito è derivata, per l’area occidentale del mondo, ogni legittimità futura, imperiale (l’Impero di Bisanzio oil Sacro Romano Impero) o semplicemente regale che fosse.
Antonio Aparisi Y Guijarro
Vengo da molto lontano, ma vado molto avanti. Voglio conservare i principi immortali dei nostri padri, il fuoco sacro della società. Ricevo l’eredità dei nostri padri con beneficio d’inventario; il buono è mio, il male lo scarto; ma anche quando hanno sbagliato, voglio imitare i figli buoni di Noè che coprirono pietosamente le nudità del loro padre, senza dimenticare gli errori per non cadere in essi.
Marcel de Corte
Le qualità morali della maggior parte degli uomini dipendono strettamente dai costumi dell’ambiente in cui vivono.
Silvano Panunzio
La sconsacrazione progressiva dell’istituto monarchico si è rivelata di esito fatale. Le dinastie europee, volenti o nolenti, hanno sposato i falsi principi della rivoluzione democratica e quindi si sono spiritualmente, e anche fisicamente, scoronate.
Joseph de Maistre
Sappi come si è monarchici: prima era un istituto, ora è una scienza.
Silvano Panunzio
La regalità è insita indistruttibilmente nelle cose, è iscritta nello stesso uomo e nel nostro stesso corpo in modo persino anatomico, addirittura osseo.
Conte di Parigi
La monarchia non può essere ideologizzata, perché ciò significa comprimerla in un sistema dogmatico che non comprende l’essenza stessa di quest’istituzione che rimane un’idea-forza al di sopra della storia, ma che presiede una società in continua evoluzione.
Cicerone
Apprezzo nello Stato un potere supremo e reale; in secondo luogo una porzione di autorità conferita ai cittadini più eminenti, ed infine qualche concessione al giudizio e alla volontà del popolo.
Dante
L’ordine delle parti sta nell’ordine del tutto come la parte sta al tutto: il tutto è, rispetto alla parte, fine e perfezione; quindi l’ordine delle parti è, rispetto all’ordine del tutto, fine e perfezione.
Dante
Tutto l’universo non è altro che l’orma della bontà divina. Dunque il genere umano raggiunge la perfezione quando attua tutta la rassomiglianza con Dio, secondo la possibilità della propria natura. Ma il genere umano perviene al grado massimo di somiglianza con Dio quando raggiunge il suo più alto grado di unità; infatti, solo in Dio è la sola vera unità; per questo fu scritto: “Ascolta Israele, il Signore Dio tuo è uno”. Ma il genere umano è pienamente uno quando è totalmente raccolto in unità, e questo non può avvenire se non quando è sottoposto nella sua totalità ad un solo Principe, come è di per sé chiaro. Dunque, quando il genere umsano ubbidisce ad un sol Pricipe, perviene al grado più alto di rassomiglianza con Dio, e quindi è più conforme all’intenzione divina, che rappresenta la sua massima perfezione.
San Pio X
I veri amici del popolo non sono né rivoluzionari né innovatori, ma tradizionalisti.
Francisco Elias de Tejada
Nella Cristianità la supremazia dell’Impero era riconosciuta da principi e da re: nell’interno di ogni signoria anche gli uomini si ordinavano in scale di corporazione, confraternite e ceto, nella qualità di chierici, cavalieri e popolani. Era tanto radicata nella coscienza l’idea della gerarchia dei popoli che se ne teneva conto persino per stabilire il diritto di precedenza per sedersi nei concili (…). La “pax christiana” poggiava su un coordinamento di sistemi politici e non sull’equilibrio più o meno stabile, o meglio instabile, delle alleanze.
Attilio Mordini
Dal giorno in cui si fece leva soltanto sui valori umani la storia non è stato altro che un progressivo spostarsi della confidenza delle genti (VEDI 99) dalle sacre persone di imperatori e re, divinamente investiti, a sistemi di disposizioni, ingiunzioni e divieti sempre più astratti, meccanici, minuziosi e impacciati, sempre meno formati di quella maestà che è l’anima necessaria della legge; e via via riducentesi a documenti di sfiducia di quegli stessi valori umani che dell’Umanesimo costituirono l’ispirazione ideale.
Georges Bernanos
I parlamenti, le province, i mestieri hanno opposto senza sosta al regolamento le consuetudini; e la monarchia, arbitra fra i cittadini e i funzionari, non ha osato tentare niente di serio contro la consuetudine, perché è stata essa stessa consuetudinaria, e la minima frattura di equilibrio in un insieme così complesso avrebbe rischiato di metterle in pericolo.
Adriano Imperatore (xxx)
È di marmo, a dovere scolpito, la tomba… che d’un eroe cospicuo ricopre del tutto la salma: di Zenótodo (O Zenòtodo). In cielo, là dove dimorano Orfeo e Platone, raggiunse con l’anima il seggio divino. Fu cavaliere reale, gagliardo di forza, costui; fu glorioso, fecondo (VEDI 100), fu pari agli dei; nei suoi detti, presso gl’Italici apparve di Socrate immagine viva. Ai suoi figli legò la propizia avita ricchezza, in una verde vecchiaia morì, sconfinato dolore ai cittadini, alla patria lasciando, ai nobili amici.
Eurico E. Clerici
La crisi della Monarchia è opera della Rivoluzione che ha sradicato il sacro dalla vita degli uomini. Nel nostro tempo (oscuro) tutti pretendono di essere uguali agli altri uomini, cosicché mal sopportano che un Essere Superiore, quale è il Re, li governi. La vera restaurazione monarchica passa attraverso la restaurazione dei valori della Tradizione.
Julius Evola
La Monarchia rappresenta l’elemento supernazionale immanente (VEDI 101) di una nazione. Per cui è naturale che con un gruppo di nazioni monarchicamente costituite la via resta virtualmente aperta ad una superiore unità spirituale, ad una intesa attraverso i vertici nazionali, che è esattamente l’opposto di ogni promiscuità democratica internazionalista. È effettivamente ciò che, presso al simbolo del Sacro Romano Impero, si ebbe nel Medioevo, là dove non esisteva ancora nazionalismo, ma nazionalità.
Conte di Parigi
La monarchia come significato è certamente tradizionale, ma anche innovativa e sicuramente rivoluzionaria sul piano economico e sociale.
Lawrence Durrel
La società è un organismo, non un sistema. La sua unità più piccola è la famiglia, e in verità la struttura che le si addice meglio è la regalità, perché la famiglia reale è un riflesso di quella umana, e l’idolatria ad essa inerente è legittima… i re sono una necessità biologica. Probabilmente, un riflesso della costituzione stessa dell’anima.
Bousset
Un buon cittadino ama il suo principe come il bene pubblico, come la salute dello Stato, come l’aria che respira, come la luce degli occhi.
Marmont
Nutrivo per il re un sentimento complicato a dirsi, un sentimento di devozione a carattere religioso. La parola re aveva allora una magia, un potere che nulla aveva alterato. Nei cuori retti e puri, questo amore diventava una sorta di culto.
Thomas S. Eliot
La sua concezione [di Maurras] della monarchia e della gerarchia, più di molte altre, mi è vicina come lo è a quei conservatori inglesi le cui idee rimangono intatte malgrado il mondo moderno.
Omero
Le gouvernement de plusieurs n’est pas bon. Ayons danc un seul chet, un Roi.
Piero Operti
Col principio di autorità superiore e legittima derivata dall’Alto e riconosciuta dal basso, la Monarchia possiede una creatività morale che è sua propria e peculiare, poiché per essa, a differenza degli altri sistemi, la storia non può trovare il suo senso se non nell’etica, e con ragione i comunisti, i quali cercano quel senso nell’economia, sono i suoi nemici irreducibili.
San Luigi IX re di Francia
Amici, se noi saremo uniti in carità, la vittoria sarà nostra. Assaltiamo dunque i nemici con coraggio. Non abbiate voi riguardo alla mia persona: io non sono che come ognun altro di voi, a cui può il Signore toglier la vita quando vuole. Ciò che avverrà sarà per noi sempre propizio; se restiamo vinti, saremo Martiri; se vinciamo, sarà la gloria di Dio. Noi combattiamo per Lui, onde non desideriamo che la gloria sua e non la nostra.
Carlo Emanuele I, duca di Savoia
Voi dunque che in mia presenza ardite dichiararvi nemici di Dio e miei, uscite dal mio Regno, senza speranza di rientrarvi. Io vi spoglio delle vostre cariche e dignità, poiché amo meglio di non aver sudditi che di averli simili a voi, dei quali avrò sempre motivo di diffidare.
Sant’Alfonso Maria de Liguori
Quando i sudditi sono obbedienti ai divini Comandamenti, cessano le insolenze, i furti, le frodi, gli adulteri, gli omicidi; e così fiorisce lo Stato, si conserva la sommessione al Sovrano e la pace tra le famiglie (…). La sola Religione poi rende liberi i vassalli veri ubbidienti a’ lor Principi, facendo ad essi intendere che son tenuti ad ubbidire a’ Sovrani, non solo per evitare le pene imposte a’ trasgressori, ma anche per ubbidire a Dio e tenere in pace le loro coscienze (…). Essendo poi vero che i Re sono ministri di Dio e suoi luogotenenti, siccome i vassalli son tenuti anche per obbligo di coscienza di ubbidire a’ loro Monarchi; così i Monarchi son tenuti d’invigilare sovra i loro vassalli acciocch’essi ubbidiscano a Dio. Ad un uomo privato basta che osservi la Divina Legge per salvarsi; ma ad un Re non basta: gli bisogna inoltre che si adoperi quanto può, affinché i suoi sudditi osservino la Divina Legge, procurando di riformare i mali costumi e di estirpare gli scandali. (…). Pertanto il fine principale de’ Principi nel loro governo non dev’essere la gloria propria, ma la gloria di Dio. I Principi che per la gloria propria trascurano quella di Dio vedranno perduta l’una e l’altra. Dee persuadersi ogni regnante, non esser possibile in questo mondo, pieno di uomini malvagi ed ignoranti, acquistarsi ciò suoi portamenti (per giusti e santi che sieno) le lodi e l’applauso di tutti i suoi vassalli: s’egli esercita la liberalità co’ buoni e co’ poveri lo chiamano prodigo: se poi fa eseguir la giustizia co’ malvagi lo chiamano tiranno. Devono pertanto i Re principalmente attendere a piacere a Dio più che agli uomini, poiché allora, se non saranno lodati da’ cattivi, ben saranno lodati da’ buoni, e soprattutto da Dio, che saprà rinumerarli in questa e nell’altra vita (…). Il buon Principe si dimostra nemico delle adulazioni e ama chi gli dice la verità, e vuole che tutti ciò sappiano. Enrico IV, Re di Francia, domandato perché amasse tanto Monsignor di Genevra, ch’era San Francesco di Sales, rispose: io l’amo perché Monsignor di Genevra non mi adula (…). Ben si sa che tutti i Sovrani non possono sempre far quanto vorrebbero per ben della Religione, talvolta debbono usar la prudenza per non perdere tutto; e so ancora che non conviene usar la forza per indurre i sudditi ad abbracciar la vera fede; la forza era un tempo mezzo de’ tiranni che costringeano gli uomini a credere quel che non dovevano credere, com’erano le idolatrie. Iddio nullum ad se trahit invitum (Non vuole trarre nessuno a sé controvoglia), egli vuol essere da noi adorato con un cuore libero, non forzato. Non mancano all’incontro (al contrario) mezzi più adatti ed efficaci a’ Principi zelanti d’indurre, senza forzarli, i loro sudditi a seguir la sana dottrina.
Vincenzo Mortillaro di Villarena
Forse è vergogna vagheggiare l’ideale del legittimismo? Per chi non è convulsionario della democrazia, per chi non è invasato dalla mania della sovranità del popolo, del contratto sociale, dei diritti dell’uomo e di tutta quella serie di strane e dannose utopie uscite fuori dalla scatola di Pandora, che fu la rivoluzione dell’Ottantanove, la legittimità è come la proprietà posseduta in buona fede e a giusto titolo e continuata per leale non contrastata o usurpata successione (…). Non è logico xxxx (VEDI 107) ragionevole gridare la Croce al principio del legittimismo; così come non è d’uomini onesti maledire la memoria di tanti sovrani pel solo motivo che fossero stati legittimi, quasicché la legittimità fosse intrinsecamente causa inevitabile di mal governo.
Vincenzo Mortillaro di Villarena
La maestà reale, quando è legittima e non è frutto di violente occupazioni ed opera di settarie congiure disonoranti, è la più grande cosa umana e la più sacra che si conosce fra gli uomini! Essa trionfa sempre; anche nella tristezza e nei dolori dello esilio.
Renato Bova-Scoppa
Una Monarchia socialista? Come è naturale, la gente si chiede se non vi sia una contraddizione fra i termini. E non c’è. Non parliamo, naturalmente, di quel socialismo massimalista, che si schiera, addirittura, per il suo estremismo, settario, demagogico, a sinistra dei comunisti. Parliamo di un socialismo illuminato, moderno, aperto, che per imporsi e svilupparsi, in modo efficiente, non ha bisogno di barricate, di sangue, di discorsi infuocati e retorici, di slogan demagogici e di una costante propaganda di odi. Parliamo di quel socialismo realistico, pratico, umano, che effettivamente ha soppresso i tuguri, ha abolito l’analfabetismo, ha garantito l’uomo nella vecchiaia e contro le malattie, ha enormemente migliorato le sue condizioni di vita e ha creato, di fatto, una società nuova, equilibrata e articolata secondo gerarchie di valori autentici più che di arcaici privilegi, anche se non tutti i problemi dell’esistenza e dello spirito siano stati risolti. Questo socialismo esiste, ha operato in profondità senza strombazzamenti propagandistici e con perseverante continuità di azione in Paesi che si chiamano Svezia, Norvegia, Danimarca, Olanda e che sono delle Monarchie, dove è assicurata la stabilità della più alta carica dello Stato, sottratta, così, al periodico mercanteggiamento dei partiti e dove Dinastia e Popolo convivono in una felice simbiosi e in quasi perfetta armonia.
Pierre Boutang
Si crede negli uomini e non nei sistemi, si è pronti a rendere maggiori onori al dittatore che al Re. Ma la storia non è la storia delle grandi individualità politiche, come ha proclamato il Romanticismo, ma dei sistemi, degli Istituti, del lavoro nascosto ma efficace di intere generazioni di medie personalità che hanno successivamente governato, elevato e ingrandito l’edificio entro cui ha vissuto e prosperato una società, un Popolo, una Nazione. Mai vi è stato smarrito come ora, ora che dopo una così lunga esperienza, sempre più si rivelano dannose e letali le dottrine politiche che avevano garantito la felicità terrena, il progresso sociale perpetuo, la giustizia e la libertà, per tutti i secoli. Se tuttavia nessuno crede più ai valori tipici del sistema repubblicano e al razionalismo filosofico, moltissimi sperano nello stato di forza e nel pragmatismo, che sono ritenuti i loro termini opposti. Ma questi non sono anch’essi che un prodotto del principio repubblicano. Si è perduto il senso della continuità della vita attraverso le generazioni e si è smarrito il senso del generale per considerare solo il particolare. Non basta ricostruire lo Stato come forza coercitiva, per sfuggire alla dissoluzione e degenerazione politica. Occorre ristabilire la stabilità, la continuità e l’autorevolezza dello Stato affinché serva i cittadini invece di servirsene, affinché l’ordine coincida con la giustizia. Quando ciò sarà entrato nella convinzione di tutti, le Monarchie ritorneranno con le loro vere funzioni. L’antitesi non è fra dittatura e democrazia, tra forza e disordine, ma tra autorità e arbitrio, tra l’ordine naturale e coazione artificiosa, che è poi l’antitesi tra la monarchia, la quale si regge sul naturale consenso popolare, e la repubblica, la quale il più delle volte nasce dall’equivoco e si perpetua nel pregiudizio.
Emilio Bussi
Se vi fosse il Re si verificherebbe anzitutto quelo che io chiamo <<il grande riflusso delle ambizioni>>. Cosa significa ciò? Come Napoleone diceva che ogni poihe, che egli poteva avere nello zaino il bastone di maresciallo, così si può dire oggi che in qualsiasi repubblica ogni analfabeta può auspicare a diventare ministro (…). Per gli uomini di qualsiasi repubblica, ogni occasione è buona per parlare e per mettersi in mostra, dato che essi devono pure procacciarsi i voti che li portano al posto del potere. Ma guardateli bene questi uomini: compaiono alla televisione, concedono interviste 8che essi stessi sollecitano), si fanno continuamente fotografare e sempre in atteggiamenti che sanno di convenzionale e, comunque, di poco sincero. E poi parlano, parlano sempre, a dritto e a rovescio, in tutte le stagioni e con ogni tempo, e promettono, promettono tutto e tutto a tutti, perché la caratteristica più spiccata di ogni repubblica è la loquacità e la verbosità dei suoi uomini. No, una volta non era così: a parte la persona del Re, la cui voce udivasi solo quando, all’apertura di ogni Legislatura, pronunciava il Discorso della Corona, e si levava alta e solenne nei momenti drammatici della storia; è verità che in una Monarchia, si preferiscono i fatti alle parole, perché è solo coi fatti che si dimostra veramente l’amore al Popolo che si governa.
Claudio Risè
Quando i rivoluzionari francesi, dopo aver decapitati, nella Cattedrale di Nôtre Dame, le statue dei re di Giudea e di Israele, e sventrato le tombe dell’Abbazia di Saint-Dénis per raccogliere l’oro dei denti e degni anelli dei re e dei vescovi, tagliarono la testa e bruciarono la statua miracolosa di Nôtre Dame de Sous-terre, nella Cattedrale di Chartres (uno dei maggiori simboli della spiritualità cristiana), ciò che viene chiamato processo di secolarizzazione, vale a dire l’espulsione dell’esperienza religiosa e del sacro dalla vita quotidiana in Europa, era già a buon punto.
François de Chateanbriand
Indipendenza individuale, ecco la voce interiore che ci perseguita. Ascoltiamo la voce della coscienza, che cosa ci dice? Secondo la natura: “sii libero”; secondo la società: “regno”; e se lo si nega, si mente.
Joseph de Maistre
Persuadetevi che per rafforzare la monarchia bisogna fondarla nelle leggi, evitare l’arbitrio, le commistioni frequenti, i continui mutamenti di uffici e gli intrighi ministeriali.
Joseph de Maistre
Se la Casa di Borbone è proscritta per sempre, è bene che il governo si consolidi in Francia… È bene che una nuova dinastia dia principio a una nuova successione legittima, questa o quella non importa alla gente… Preferisco Bonaparte re che semplice conquistatore.
Louis de Bonald
La Rivoluzione è incominciata con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e non finirà che con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo.
Carlo Alianello
Altri combattono e muoiono per una conquista, una terra, un’idea di gloria, per un convincimento magari o un ideale, ma noi moriamo per una cosa di cuore: la bellezza. Qui non c’è vanità, non c’è successo, non c’è ambizione. Noi moriamo per essere uomini ancora. Uomini che la violenza o l’illusione non li piega e che servono la fedeltà, l’onore, la bandiera e la Monarchia, perché sono padroni di sé e servitori di Dio.
Charles Maurras
L’idea più generale della Nazione incontra il sostegno più necessario alla sua sicurezza, e il Diritto nazionale trova alfine il suo depositario, il suo funzionario, nella mente e nel consiglio di un personaggio che per la sua stessa posizione è interessato al massimo della salute pubblica e del bene pubblico, il Re.
Joseph de Maistre
La Monarchia è il governo più naturale per l’uomo.
Marsilio da Padova
Una pluralità di città o province unite sotto uno stesso governo, secondo questo principio il regno si distingue dalla civitas nella gestione governativa solo per la maggior complessità.
Charles Maurras
L’elemento propriamente patriottico dell’opera di Giovanna d’Arco è legittimista. Il carattere della sua opera politica fu di riconoscere, affermare, annunciare, consacrare il Re legittimo.
Louis de Bonald
Io non considero i legislatori più celebri e i riformatori più osannati che come insensati che hanno osato porre le loro volontà particolari al posto delle verità eterne della natura, o dei corruttori che, dando alla società per leggi le proprie passioni hanno legalizzato, se così posso dire, le passioni della società.
Edmond Burke
La scienza del diritto, orgoglio dell’umana intelligenza (…), è la ragione trascritta nel corso dei secoli; essa combina i principi della giustizia primitiva con la varietà infinita degli interessi umani.
Georges Dumézil
Il principio monarchico ha garantito contro la dittatura dei partiti e le ambizioni individuali.
Bossuet
Niente brighe né cabale per fare un Re; è la natura a farlo.
E. Renan
La Monarchia costituisce il sistema della maggiore fissità per la coscienza nazionale.
Charles Maurras
Non vi è un diritto divino particolare alla regalità. In effetti, per chi crede in Dio, tutti i diritti sono divini. I diritti propri della regalità sono diritti storici.
Charles Maurras
La tradizione è ciò che è duraturo: è ciò che è riuscito nei secoli.
Charles Maurras
La vera tradizione è critica e, in mancanza di queste distinzioni, il passato non serve più a niente, cessando i suoi successi di essere esempi e i suoi rovesci di essere lezioni (…). Bisogna scegliere fra la tradizione della vita e la tradizione della morte.
Charles Maurras
Ogni progresso è nato dalla disuguaglianza.
Charles Maurras
Il diritto ereditario, in ragione delle debolezze inerenti al cuore umano può sfociare una volta, due volte, dieci volte in scandali di denaro. Il diritto popolare, per l’energia propria del suo movimento naturale, vi giunge necessariamente e sempre e di più in più.
Charles Maurras
Chi pensa al regime aristocratico e borghese è obbligato a considerare anzitutto che non vi è governo dei Grandi senza rivalità tra i Grandi. I dissensi, le divisioni, l’odio dei clan e delle classi (alla francese) sono il flagello costante delle borghesie, come delle aristocrazie.
Ludovico Antonio Muratori
Il mestiere dei buoni Principi ha da essere quello di procurar la pubblica felicità.
Ludovico Antonio Muratori
Il buon Principe non solamente procura di non far male e di non permettere che sia fatto male a’ suoi sudditi, ma si studia di far loro tutto il bene che può.
Luigi Einaudi
La monarchia, forza storica, potere posto al di sopra dei partiti, deve diventare quell’Istituto di cui in Inghilterra si dice che non se ne parla mai (…). Una monarchia la quale nei giorni ordinari sia il simbolo rappresentativo dell’Unità della Patria e della concordia dei cittadini, circondata da una corte austera, i cui membri siano scelti dal Re e dalla Regina, sentito il parere conforme del primo ministro, ed adempia all’ufficio di tutrice della Costituzione e di organo delle volontà del popolo nei momenti supremi della vita della nazione, quando le altre forze politiche si dimostrano incapaci ad esprimere un governo stabile.
Georges Bernanos
Si può dire che tutti i francesi sono monarchici come me, essi lo sono senza saperlo. Io, lo so.
Michel Onfray
È un vecchio schema: si taglia la testa del re e la democrazia arriva. Ora si sa che Luigi XXVI non era un tiranno e che il terrore che gli è succeduto.
Möser
Le migliori Costituzioni sono quelle che discendono dal trono secondo vari gradi sociali; ogni gradi vi ha una necessaria dignità. Il settimo ha gli stessi diritti di conservazione del secondo.
Sant’Agostino
Romanum Imperium, quod Deo propitio christianum est.
Chateanbriand
Quanto a quegli uomini capaci che la Rivoluzione ha fatto uscire dalla via giusta, quanto a questi uomini che non sono in gradfo di comprendere che il trono di San Luigi ha bisogno di essere sostenuto dall’altare e di essere circondato dai vecchi costumi non meno che dalle vecchie tradizioni monarchiche, è preferibile che essi attendono a coltivare le loro terre. La Francia potrà richiamarli quando, ormai stanchi di essere inutili, si saranno sinceramente converiti alla religione e alla monarchia legittima.
Michel Poniatowsky
In una Monarchia Costituzionale di tipo inglese, nessun uomo politico ha mai il primo posto. E questo modifica sostanzialmente l’attitudine del mezzo politico. E questo è molto importante, perché ciò riconduce in maniera concreta l’attitudine di ciascun uomo politico alla nozione del servizio dello Stato, della Nazione, del Re. La cupidigia di potere entro limiti più corretti. Ciò costituisce un freno alle ambizioni personali, in quanto lo stesso uomo di stato sa che non accederà mai al vertice dello Stato (…). Nel mondo moderno, in cui i quadri sociali, economici evolvono in maniera eccezionalmente rapida, le genti hanno bisogno di riferirsi a qualcosa di visibilmente stabile. Una Famiglia, una Dinastia sono qualcosa di visibilmente stabile, con cui il popolo ha legami psicologici e sentimentali. Nelle grandi scosse il passato è necessario per affrontare lo choc dell’avvenire.
Frédéric A. Mouretti
oppure Amouretti
Vi è stato raccontato che i nostri Re erano dei mostri: indubbiamente, ci sono stati anche tra di loro, è vero, degli uomini deboli, poco intelligenti, mediocri, debosciati e forse anche due o tre cattivi. Ce ne sono stati pochi che fossero eccezionali; la maggior parte furono degli uomini di intelligenza media e di mentalità coscienziosa. Considerate la loro opera: è la Francia!
Pierre Pujo
Il primo carattere della Monarchia in Francia è che essa è stata incarnata da una Dinastia nazionale. Questa Dinastia non è stata importata, né imposta dallo straniero; essa è scaturita dall’anima francese. I suoi primi rappresentanti furono chiamati al potere per i servigi che avevano reso alla comunità. Per più generazioni, circa 2000 anni, i Re furono eletti di padre in figlio. Successivamente, venne soppressa questa elezione divenuta una formalità. L’ereditarietà venne definitivamente acquisita a partire dal regno di Luigi VIII, figlio di Filippo-Augusto.
Secondo tratto caratteristico della Monarchia francese: il Re ha sempre esercitato un potere temperato. Egli non è mai stato né un autocrate né un despota.
Se si è detto che la Monarchia era assoluta, ciò lo si deve al fatto che il Re non dipendeva da nessuno, da nessun gruppo di pressione, da nessuna fazione.
Secondo una tradizione ben consolidata, il Re di Francia governava attraverso Consigli. Nel diciottesimo e diciottesimo secolo, in particolare, epoca nella quale l’amministrazione reale divenne più complessa, questi Consigli compresero uomini di grande valore che preparavano le decisioni reali. Le decisioni scaturivano da discussioni approfondite e da riflessioni serie e perché il Re se ne discostasse dovevano intervenire gravi ragioni.
D’altra parte, il Re era soggetto alle Leggi fondamentali del Re e a quelle che venivano definite “massime generali” che ispiravano il diritto francese. I Parlamenti, in particolare quello di Parigi, erano severi nel rammentarglielo. Valga per tutti l’esempio del Parlamento di Parigi che dichiarò nullo il primo testamento di Luigi XIV, che intendeva mantenere il diritto al trono di Francia al duca d’Anjou, divenuto Filippo V di Spagna, perché la tradizione voleva che la Francia non potesse essere governata che da un principe francese.
Infine, l’autorità del Re era rilevante nella sua sfera d’azione, quella cioè degli affari di Stato, ma era compensata dalle libertà di cui godevano, nelle rispettive sfere, le molteplici e diverse comunità locali, religiose, professionali, universitarie, nonché gli Stati provinciali e certe branche di uffici, ciò che, indubbiamente, generò anche taluni abusi ed inconvenienti, ma che ebbe il vantaggio di rendere i Magistrati indipendenti dal popolo reale.
I rapporti tra il re e i sudditi non si svolgevano solamente sulla base del diritto. Sentimenti autentici e profondi univano Re e Popolo.
<<La Francia>>, ha potuto scrivere il Lévis Mirepoix, <<ed il Re agivano in un sistema d reciproca attrazione>>. Il Re era il padre della Nazione ed è Jean Juarés che ha parlato del <<fascino secolare della Monarchia>>.
Il terzo tratto caratteristico della Monarchia francese è costituito dalla sua grande agilità nel sapersi adattare all’evoluzione sociale.
Essa rappresentò essenzialmente un modo empirico di governare.
L’Amministrazione reale andò migliorandosi con il trascorrere del tempo.
Il Re creava una istituzione, una funzione nuova ogni volta che le esigenze dei tempi ne facessero avvertire la necessità, lasciando che deperissero automaticamente le istituzioni obsolete.
Così, ad esempio, intendendo sostituirli, nel XVII e nel XVIII secolo lasciarono cadere in desuetudine la nomina di balivi e di siniscalchi.
Secondo le epoche, le circostanze, secondo il temperamento di ciascuno, i Re di Francia manifestarono in misura maggiore o minore la propria autorità.  Al re competeva il diritto di governare direttamente, ma poteva anche conferire larghi poteri ad un primo ministro. È sufficiente, a questo riguardo, tracciare un confronto tra il regno di Luigi XIII e quello di Luigi XVI, per rendersi conto della differenza dei metodi di governo e, pertanto, della stessa natura della Monarchia.
Nulla ha a che spartire con le costituzioni rigide dell’epoca contemporanea, che non si possono modificare nonostante molte volte la necessità lo pretenderebbe, perché i partiti non giungono mai a mettersi d’accordo sui ritocchi da apportarvi, in funzione dell’evoluzione dei tempi e delle esigenze del Paese.
La Monarchia non ha assicurato solamente delle istituzioni equilibrate, adatte alle esigenze della Francia ed al temperamento nazionale, essa ha realmente fato del bene al Paese.
(…) Sul piano interno, il Re fu costantemente protettore del Popolo minuto, contro il feudalesimo. Il Re contribuì energicamente all’affrancamento delle città nel Medio Evo; facilitò l’ascesa della borghesia e ci si ricorderà come di ciò il duca di Saint-Simon fece colpa a Luigi XIV. Non si ricorderà mai a sufficienza come fu proprio attraverso l’esercizio di una vera giustizia che i re estesero la propria autorità all’intera Francia. Essi erano i giudici e gli arbitri supremi in tutte le controversie che opponevano i francesi gli uni agli altri. È così che i nostri Re si fecero amare!
Certamente la nobiltà ebbe un posto a parte nello Stato, ma i e s’impegnarono a neutralizzare le velleità dei nobili, riuscendo anzi a volgerla al conseguimento del bene comune. Se i nobili godettero di taluni privilegi, furono caricati anche di incombenze rilevanti, come quella di servire con maggiore impegno, anche finanziario, nell’esercito del Re.
Inoltre, occorre ricordare che la nobiltà non cessò di rinnovarsi di secolo in secolo. Come scrisse Lévis Mirepoix, <<le classi rimasero aperte>>. In altri termini, non era solo la nascita la matrice della nobiltà. Ad essa, infatti, si poteva pervenire anche per meriti maturati nei confronti dello Stato.
La Monarchia francese, infine, consentì un’espansione costante delle libertà. Senza dubbio, i Re realizzarono una centralizzazione politica indispensabile, ma contrastarono il meno possibile le autonomie amministrative. Anzi, le incoraggiarono. Soprattutto, la centralizzazione reale non fu masi piatta. Come ebbe a dire lo storico Funk-Brentano, la Francia <<era irta ed arruffata di libertà>>.
Tutte queste libertà – o privilegi, che è la stessa cosa – creavano un insieme un po’ confuso, ma se irritavano degli spiriti sistematici, come saranno i fisiocrati e i rivoluzionari, i francesi trovavano in esse protezione, garanzia contro l’arbitrio.
Pierre Pujo
L’autorità del Re non era affatto in contraddizione con le libertà dei francesi. Essa era, al contrario, protettrice contro gli abusi dei grandi e dell’amministrazione. È contrario alla verità storica parlare d’una dialettica tra il Re ed il Popolo. È piuttosto contro la feudalità che il Re si è opposto. Le libertà si sono sviluppate a mano a mano che si è rafforzata l’autorità regale. Le libertà di cui godevano i francesi nell’antico regime erano innanzitutto libertà collettive. L’antico sistema era una società di ordini e di corporazioni. Questi ordini e corporazioni costituivano di per sé stesse delle garanzie per l’individuo, che vi trovava la propria valorizzazione. La rivoluzione ha sostituito una Libertà astratta, con una Elle maiuscola, alle libertà concrete dell’antico sistema. Essa ha soppresso le prerogative di innumerevoli comunità ed ha lasciato l’individuo disarmato dinanzi al potere del denaro e dello Stato. Così la rivoluzione francese ha permesso lo sviluppo del capitalismo liberale con il seguito di ingiustizie, in attesa di introdurre lo Stato tecnocratico e totalitario da cui noi siamo oggi minacciati. La sovranità popolare non è affatto una garanzia di libertà. Del resto la sovranità del Popolo è qualcosa di diverso da un mito, di una impostura che escogitano i detentori del potere? La Monarchia era, invece, strumento di tutela, di rinascita e di sviluppo delle libertà. In effetti, la repubblica è talmente presa da preoccupazioni di carattere elettorale e di tipo ideologico, da non volersi lasciare sfuggire nulla del controllo degli elettori. Pertanto, considera le libertà come una minaccia al sistema. In Monarchia, per contro, il potere, essendo affrancato dalla servitù dell’elezione, non ha nulla da temere per il nascere di opposizioni se consente, ad esempio, più autonomia alle comunità locali. La Monarchia ha una naturale propensione a disimpegnarsi di molti dei compiti che lo Stato si è accaparrato, cui adempie male e che normalmente non gli competono. Inoltre, la Monarchia non ha ideologie da far prevalere. Essa può accettare il pluralismo ideologico dei Francesi, dal momento che questo pluralismo non costituisce minaccia al potere della Monarchia, che si fonda soprattutto su una naturale autorità morale. La Monarchia, pertanto, potrebbe permettere anche un rafforzamento delle autorità locali e professionali in rapporto alla propria forza. Solo un potere forte può decentrare. Oggi lo Stato, per quanto possa essere persino tentacolare, è eminentemente fragile, ciò che lo rende diffidente nei confronti dei corpi intermedi. Tra il Re e le collettività territoriali e professionali, le molteplici associazioni d’interesse si istituirebbe naturalmente un dialogo, il dialogo dell’interesse generale e degli interessi particolari, con il Sovrano in funzione di estrema istanza.  E così come vi possono essere conflitti tra l’interesse generale e gli interessi particolari, altrettanto si possono manifestare conflitti tra le diverse collettività. Il Re eserciterebbe, in tal caso, il suo arbitrato. In repubblica non esiste un arbitro dotato della sufficiente credibilità; non vi sono che partiti e classi in lotta gli uni contro gli altri.
Charles Maurras
La sola forma razionale e sensata dell’autorità è quella che riposa in una famiglia – di primo nato in primo nato – secondo una legge che esclude la competizione, perché è un potere talmente naturale che, pur comportando un’autorità integrale del vertice, chi esercita non può tuttavia definirsi dittatore; egli è un Re e questa Magistratura regale, combinando i due principi dell’autorità e dell’ereditarietà, è istituzione talmente flessibile che non cessa di essere sempre sé stessa, pur se varia con il mutare dei tempie si veste talvolta dell’aspetto paterno di un semplice presidente del Consiglio o del Parlamento espresso dal Popolo, talvolta l’apparenza della dittatura diretta, talvolta quella della dittatra indiretta d’un ministro di primo piano. Come succede per le cose di grande rilievo, l’Istituzione è di gran lungo superiore agli uomini. Il suo valore principale è quello di saper utilizzare il passato completamente a profitto del presente, senza, peraltro, sacrificarvi l’avvenire.
Pierre Pujo
La Monarchia permetterebbe la messa in pratica della distinzione fondamentale tra potere a Rappresentanza. Ed i rapporti con l’autorità della Corona e gli organi rappresentativi non si fonderebbero sulla reciproca diffidenza, come accade attualmente per i rapporti tra governo e assemblea. Perché in Monarchia i deputati, pur se i diversi punti di vista possono non collimare, non esaspererebbero le divergenze sino alla lotta senza quartiere, perché la ragione della disputa non sarebbe l’impadronimento del potere, come accade normalmente oggigiorno. In altri termini, non si tratterebbe di un confronto competitivo, ma semplicemente collaborativo.
Charles Maurras
Il cittadino, in tutta la sfera di attività in cui è competente e direttamente interessato, in tutto ciò che ha capacità di conoscere e quindi di giudicare, è presentemente uno schiavo. Il potere regio gli renderà la disponibilità e la sovranità di quel dominio che gli fu strappato, contro giustizia e contro utilità, mettendo in pericolo la forza della patria. Ecco ciò che farà il re per le libertà: le renderà ai cittadini. Ne sarà il garante, il difensore ed il gendarme.
Charles Maurras
L’autorità in alto, in basso la libertà, ecco la formula delle costituzioni monarchiche. L’assurda repubblica una e indivisibile non sarà più preda di diecimila piccoli tiranni invisibili e inafferrabili, ma mnigliaia di piccole repubbliche di ogni specie, repubbliche domestiche, come le famiglie, repubbliche locali come i comuni e le province, repubbliche morali e professionali come le associazioni si amministreranno liberamente, garantite, coordinate, indirizzate nel loro complesso da un potere unico e permanente, vale a dire, personale ed ereditario, per ciò stesso potente e ragionevole, ed interessato al mantenimento e allo sviluppo dello Stato. È da osservare che questo Stato così forte nella sua funzione di governo sarà assai debole per intraprendere qualcosa contro il cittadino. Poiché, invece del cittadino della Repubblicva francese, che si trova con le sue povere forze individuali a lottare contro l’enorme meccanismo dello Stato, il cittadino del nuovo regime di Francia sarebbe partecipe di libere e forti comunità (la sua famiglia, il suo comune, la sua provincia, la sua corporazione, ecc…) che impiegherebbero le loro forze a salvaguardarlo da ogni arbitrio ingiustificato. Le garanzie del cittadino nello Stato repubblicano sono assolutamente teoriche, ma sono dedotte, è vero da una teoria (i diritti dell’uomo) che porta a misconoscere i diritti dello Stato: nella pratica essi svaniscono in modo assoluto. Rispettosa dei diritti superiori dello stato, la teoria monarchica conferisce al cittadino garanzie pratiche, garanzie di fatto: queste non sono teoricamente inviolabili, ma sono praticamente assai difficili da violare. La libertà è un diritto sotto la Repubblica, ma è soltanto un diritto: sotto la monarchia nazionale, le libertà saranno fatti certi, reali e tangibili.
Charles Maurras
Speriamo che nessuno ci risponda con delle fanfaluche su l’imprevisto della nascita. Come se l’elezione non avesse i suoi imprevisti. Come se questi ultimi non fossero peggiori dei primi. Si alleva un Delfino in vista del trono; non si educa un candidato alla presidenza della repubblica: mai, d’altra parte, né in alcun paese, neppure presso le tribù più selvagge, i rischi naturali dell’ereditarietà possono innalzare al trono una successione di mediocrità. (…) Il sistema dell’ereditarietà monarchica presuppone, secondo un sentimento naturale di previdenza domestica (che può mancare ma che si trova nove volte su dieci), che il capo dello Stato non giochi facilmente l’avvenire della dinastia ed in tutti i suoi calcoli si affidi alla prudenza e alla riflessione. Queste virtù hanno precisamente contraddistinto la Casa Capetingia nella sua opera di costruzione della Francia. 
Charles Maurras
È una fantasticheria il desiderio, ad ogni momento della vita di un popolo, di avere alla testa dello Stato lo spirito più dotato o il carattere più capace. Guardiamo al fondo della psicologia democratica: la corsa disordinata a questo meglio, nemico del bene, è la forza morale costante di questo regime, il pungolo dei migliori, il pretesto dei peggiori e, senza rendere il progresso più certo sotto qualsiasi rapporto, e ciò che fa sì che lo Stato non abbia mai un attimo di riposo e il Governo un momento di sosta. Malgrado i falsi periodi di quiete, quel turbamento cova sempre. Chi non è il migliore? Chi non è il più degno? O chi non vuole esserlo? Il regime elettivo potrebbe definirsi, in psicologia teorica, l’immenso antagonismo, furioso o latente, ma incessante, di undici milioni di nostri io o di delegati dei nostri io! Tutto deve dunque trascorrere tra brighe, discussioni, esami, votazioni, contestazioni, battaglie che non cesseranno di scuotere lo Stato tanto quanto ledono l’unità della nazione. Ma supponiamo per una volta di raggiungere il più sfuggente degli scopi. Il più capace è innalzato sugli scudi. Ebbene il vero scopo è mancato! Perché? Perché capacità politica e rendimento politico sono due cose diverse. Il caso privilegiato di Napoleone Bonaparte mostra quello che può operare contro il bene di un popolo il genio più dotato, quello meglio consegnato per il comando, se esso non viene limitato e temperato da certi elementi fra i quali il pensiero del bene pubblico rappresenta il centro essenziale! Egli sapeva comandare, eccelleva nel comando? Era però poco sensibile di fronte agli interessi del bene pubblico che voleva servire. Inoltre il modo con cui era salito al potere l’obbligava ad una difensiva spossante contro tentativi di ascesa e di usurpazioni similari. L’esempio è sufficiente a mostrare come l’autorità del Migliore, una volta designato, sarà sempre corrosa dalla minaccia di nuovi prescelti dal destino, in quanto passibile di continui tentativi di sostituzione. (…) Ciò che importa non è affatto che ad un determinato momento (che può essere seguito da tanti altri momenti) la sovranità appartenga al più degno o al migliore in senso assoluto e relativo; ciò che più di tutto importa non è che il sovrano cumuli nella sua persona la più grande somma d’intelligenza, di cultura o di virtù, benché virtù, cultura, intelligenza, siano preziose per adempiere alla sua pesante funzione: l’importante è che egli sia strettamente attaccato, fortemente legato, direttamente interessato alla carica sovrana, e più incline di chiunque altro alla cura di conservare e sviluppare i beni di quella carica, ad allontanare i mali di cui potrebbero soffrire quei grandi beni.
Charles Maurras
(…) Si può mettere a punto con poche parole questa questione delle capacità personali del capo ereditario: esse esistono o non esistono. Quando ci sono, ci sono, ed i vantaggi pubblici sono immensi. Quando non ci sono rimane tuttavia qualcosa, che non possono fornire le volontà addizionate, né i cuori né le teste di milioni di cittadini: resta il legame comune, il posto di re, il centro ed il nome, la forma e l’apice vivente dello Stato; ve ne è qualcuno, di re, debole ed anche cattivo, ma le sue fibre coscienti restano interessate al bene generale e, mentre altrove vanno e vengono tanti ministri, magistrati, presidenti, questo qualcuno sussiste, immobile, inchiodato dal suo passato e dal suo avvenire all’essere politico, comune. Egli si sbaglia e pecca, ma di tutti gli errori e sbagli, anche criminali, che lo porterà a commettere la nostra natura umana, ciò che gli capiterà di meno, e di cui sarà meno capace, è provare quel distacco quella indifferenza, quella profonda negligenza, quel fiore di atarassia insolente o ingenua che costituiscono i caratteri della democrazia, di fronte agli interessi vitali e generali.
Charles Maurras
(…) Un re detronizzato diventa un misero esule. Un repubblicano che abbia perduto il potere è un gran personaggio che non perde mai la speranza di tornarvi r che vive circondato da una corte di parassiti attivi e irrequieti. È per questo che se un re è al tempo stesso severo e prudente nei riguardi del bene pubblico, giacché perderebbe molto a mancare dell’una o dell’altra di queste qualità, il repubblicano non perde gran cosa a rischiar tutto, a trascurar tutto: può anche dire a se stesso, cadendo, che riuscirà sempre a riassettare e a riparare tutto la prossima volta! A tal prezzo può permettersi di tutto (…). In regime repubblicano si può appiccare il fuoco ai quattro punti cardinali della nostra amministrazione, tirarsene fuori e ricominciare.
Charles Maurras
Corrotto, corruttore: erano i vizi del principe. Non discendevano dal principio. Morto lui, bastava che un principe onesto e temperante gli succedesse perché l’integrità riprendesse i suoi diritti. Laddove in democrazia l’eletto può essere virtuoso, e nondimeno è il prodotto e il produttore, l’effetto e la causa della plutocrazia sovrana. Essa l’ha fatto nominare ed egli dunque la sostiene, essa rigenera la sua autorità facendogli rinnovare il mandato, ed egli fa del suo meglio per difenderla contro la giustizia e contro la nazione. Non vi sono esempi che si sia mai usciti da questo terribile cerchio se non sostituendo le autorità nate alle autorità elette, il diritto ereditario al diritto elettivo. Il diritto ereditario, in virtù delle debolezze inerenti al cuore umano, può dar luogo una volta, due volte, dieci volte a scandali di denaro. Il diritto popolare, per impulso proprio al suo moto naturale, vi dà luogo necessariamente e sempre e in misura via via maggiore. (…) Chi dice democrazia dice governo doppio: l’apparente, quello del numero, e il reale, quello dell’oligarchia e dell’oro (…). La pretesa uguaglianza democratica svolge semplicemente il ruolo di una menzogna attraente e perturbatrice. La difesa repubblicana consiste nel mantenimento del suo formulario tradizionale, ed è solo per conservare il posto al desco del potere: democraticità dottrinale e passionale in vista d’una oligarchia reale.
Charles Maurras
(…) Che è mai, dunque, una libertà? Un potere. Colui che non può assolutamente niente, non è assolutamente libero. Colui che può mediocremente, è mediocremente libero. Colui che può infinitamente è pure infinitamente libero. Una delle forme del potere è la ricchezza. Un’altra di queste forme è l’influenza, la forza fisica, la forza intellettuale e morale. Su chi si esercitano diversamente questi poteri diversi? Su degli uomini. E questo potere a chi appartiene? A degli uomini. Quando un’umana libertà si trova al vertice, se essa ha incontrato degli oggetti umani cui applicarsi ed imporsi, qual nome prende? Autorità. L’autorità non è dunque che una libertà giunta a perfezione. Lungi dal contraddire quella di libertà, l’idea d’autorità ne è al contrario il termine e il completamento. La libertà d’un padre di famiglia è un’autorità. La libertà d’una confessione religiosa è un’autorità. E sono altresì autorità la libertà d’una associazione, la libertà di un comune, d’una provincia determinata. Quando si vuole che lo Stato rispetti l’iniziativa privata nell’ordine economico, si chiede, in fondo, che rispetti ciò che Le Play chiamava con sì bel termine le autorità sociali. Tutte le libertà reali, definite e pratiche, sono delle autorità. La libertà contrapposta all’autorità, la libertà che consiste nel non essere mossi dagli altri, ma anche nel non muoverli, questa libertà neutra non è conciliabile né con la natura né con l’ordine della vita (…). La libertà non sta al principio, ma alla fine; non è alla radice, ma nei fiori e nei frutti della natura umana o, per meglio dire, della virtù umana. Si è più liberi per quanto si è migliori. Bisogna divenirlo. Questi nostri uomini ha creduto di attribuirsi il premio della fatica mediante una famosa Dichiarazione dei loro diritti, affiggendo nei loro municipi e nelle loro scuole, nei loro ministeri e nelle loro chiese, che questo premio si acquista senza sforzo. Ma affiggere dappertutto che ciascuno nasce milionario arrecherebbe a qualcuno ombra di milione? Dite che si tratta d’un diritto alla libertà? Ma il diritto al milione non sarebbe più vano.
Julius Evola
Esistono delle idee che, per via della loro radice metafisica, sovrastano i tempi, non sono di ieri, di oggi o di domani ma posseggono una perenne attualità. A seconda delle circostanze, tali idee possono essere realizzate o meno, in forma ora più pura, ora più condizionata, senza che ciò comunque pregiudichi il loro intrinseco valore, la loro dignità, il loro rigoroso carattere normativo. Fra tali idee, retaggio di quel mondo che noi chiamiamo il mondo della Tradizione, rientra la Monarchia.
Julius Evola
Per idea monarchica noi non intendiamo qualcosa di generico o un complesso sentimentale bensì una precisa e rigorosa dottrina dello Stato.
Julius Evola
Il fondamento essenziale di ogni vera Monarchia è, infatti e appunto, una mistica, una sua sacrità reale e tradizionale che da nessun’altra forma di reggimento politico saprebbe essere rivestita.
Julius Evola
In un periodo di incertezza dottrinale, di confuse aspirazioni ora innovatrici, ora reazionarie, ora rivoluzionarie, come è quello in cui si trova tuttora gran parte dell’Europa, ogni professione di sano e illuminato tradizionalismo costituisce un rapporto di indubbio valore e di salutare efficacia, una volta che l’espressione <<tradizionalismo>> la si sia sottratta alle assunzioni abusive operate da una certa polemica demagogica e in tradizione si intenda conservatorismo sì, ma conservatorismo di ciò che è vivo e non di ciò che è morto; affermazione di principii che, per la loro superiore dignità e natura, possono pur dirsi di là dal tempo, quindi non di ieri, ma di perenne attualità; e, insomma, per esprimersi col De Reynold e il Maritain, una visione del divenire ordinatamente subordinata ad una concezione dell’essere.
Julius Evola
Il disordine attuale nel campo politico, tutto ciò che esso presenta di instabile, di pericolosamente aperto alla sovversione – a marxismo e a comunismo – deriva sostanzialmente dalla carenza di un superiore principio di autorità e da una insofferenza quasi isterica per un principio del genere, per il che certe esperienze politiche di tempi recenti servono ai più da comodi alibi. Parlando di un superiore principio di autorità, noi ci riferiamo ad una autorità che abbia un’effettiva legittimazione e un carattere, in un certo modo <<trascendente>>, perché senza di ciò l’autorità sarebbe priva di base, sarebbe contingente e revocabile.
Julius Evola
Per la trascendenza del principio di autorità proprio ad una regalità, il regime monarchico costituisce l’unica vera antitesi sia a dittatura sia a democrazia assoluta. In ciò si deve indicare il fondamento del suo superiore diritto. Le varie forme che può rivestire e le idee o i simboli con cui può legittimarsi questa trascendenza a seconda dei tempi, non toccano l’essenziale: l’essenzialità è il principio. Infatti, se noi cerchiamo la più alta giustificazione tradizionale della regalità, noi la troviamo in una concezione, secondo la quale lo Stato (e ancor più l’Impero) ha un suo significato e una sua finalità trascendente, appare come un trionfo del cosmos sul caos, come una formazione efficace operata da una forza dall’alto – gli antichi dicevano: da una forza del <<sopramondo>> - in seno all’elemento naturalistico del demos e, in genere, a tutto ciò che è semplicemente etnico biologico e, in senso ristretto, <<umano>>… Ora, il punto in cui si manifesta eminentemente, si raccoglie e si fa efficace questa forza dall’alto conferente allo Stato l’anzidetto significato trascendente è appunto il Re, il Monarca.
Julius Evola
In tempi non lontani il <<per grazia di Dio>>, la sovranità di diritto divino non implicò, nei sudditi, considerazioni teologiche specifiche; essa valeva, per così dire, in termini esistenziali, corrispondeva appunto al bisogno di un punto superiore di riferimento, punto che viene assolutamente meno quando il Re è tale unicamente  per <<volontà della nazione>> o <<del popolo>>. D’altra parte, solo in quel presupposto potevano svilupparsi, nei sudditi, nel segno del lealismo, quelle disposizioni, quelle forme di comportamento e di costume di un superiore valore etico… Ripetiamolo: si tratta anzitutto della <<dignità>> della monarchia, di un prestigio e di un diritto che sempre e ovunque si trassero da una sfera sovra individuale e spirituale: investiture sacre, diritto divino, filiazioni e genealogie mistiche e leggendarie, e così via, non sono state che forme figurate per esprimere un fatto sostanziale sempre riconosciuto, ossia che un ordine politico, una unità collettiva veramente organica e viventesi rende possibile solamente ove esistano uno stabile centro e un principio sopraelevato rispetto a qualsiasi interesse particolare e alla dimensione puramente fisica della società, principio avente in proprio una corrispondente intangibile e legittima autorità.
Julius Evola
Se in tempi passati, ma già appartenenti alla cristianità, si potè perciò parlare di una religio regalis (significativamente associata alla figura biblica di Melchisedek) e di un sacramentum fidelitatis – formula che conferiva, per analogia, la dignità di un sacramento all’impegno di fedeltà del seguace e del suddito rispetto al sovrano – questa mitica si conservò più tardi, come anima più o meno avvertibile di una etica speciale, dell’etica, appunto, della fedeltà, della lealtà, dell’onore.
Julius Evola
In tempi normali, che l’uomo non si sia sempre all’altezza del principio e di una specie di <<ascesi del potere>> (quella stessa che Platone considerò indispensabile in chi accetta una funzione di capo), ciò non importa: la sua funzione resta sempre imprescrivibile e intangibile, perché non è all’uomo bensì al Re che si obbedisce, e la sua persona vale essenzialmente come un supporto a che si desti quella capacità di dedizione superindividuale, quell’orgoglio nel servire liberamente, quella prontezza all’azione e al sacrificio attivo (ove esso sia necessario), che vanno a costituire una via di elevazione e di disignificazione per il singolo e, nello stesso tempo, la forza più potente per tenere insieme la compagine di un organismo politico. Per tali considerazioni risulta dunque che non si può separare la dottrina del <<diritto divino>> (sempre che questa non si riduca ad uno strumento politico ad usum delphini ma sia intesa sul piano di quella positività spirituale cui ora abbiamo accennato) dal monarcato, senza distruggerne la più alta, tradizionale, giustificazione.
Julius Evola
… Si deve mantenere viva la sensazione di una Monarchia, per così dire, trascendente o eterna che, fondamento ultimo dell’una o dell’altra Monarchia reale, sussiste indipendentemente dai destini di queste ultime, come il principio dal quale possono ripullulare nuove forme dopo periodi più o meno lunghi di tacitazione o di oscuramento; periodi che corrispondono a regressioni dell’uno o dell’altro popolo.
Julius Evola
Il fondamento principale del principio monarchico e il suo superiore diritto sta nella sua responsabilità di spiritualizzare e di significare la vita politica e di dare una giustificazione superiore al principio di autorità. Nei termini – invece – di mero benessere economico-animale, nei termini, cioè, della triviale equazione benessere-felicità, le prospettive utopistiche proprie al messianismo tecnico marxista o sovietico potrebbero ben dirci di un regime o ideale politico dove, presso la razionale distruzione di ogni superiore interesse umano, anche le premesse per il diritto di una monarchia non si porrebbero affatto, né potrebbero valere.
Julius Evola
Se noi cerchiamo di penetrare il senso ultimo di comunismo e marxismo, troviamo che l’uno e l’altro portano alle estreme conseguenze la concezione del materialismo economico. Il fattore fondamentale e determinante della storia e della società è l’economia: questo è il loro fattore politico. La subordinazione della politica all’economia è perciò la parola d’ordine delle correnti sovvertitrici, di cui stiamo parlando. Nella fase di transizione occorre quindi propiziare la scalata dello Stato da parte dell’economia intesa come economia di massa, o economia collettivizzante: prima la fase sindacale, poi la fase più radicale propriamente rivoluzionaria, con eliminazione o subordinazione di tutto ciò che, secondo il marxismo, ha mero valore di <<superstruttura>>; in questo termine, come si sa, il marxismo comprende tutto ciò che ogni civiltà di tipo tradizionale, anzi di tipo semplicemente borghese, ha considerato come valore: principi d’ordine ideale, morale, intellettuale in senso superiore, religioso, e via dicendo.