giovedì 31 agosto 2017

Elena di Savoia: la Regina amata dagli italiani

di Aldo A. Mola

Elena fu a lungo tra i nomi femminili più diffusi in Italia: omaggio di ogni ceto alla consorte di Vittorio Emanuele III. Elena Petrovic-Niegos nacque dal principe (poi re) di Montenegro: uno Stato piccolo ma pugnace, bastione della cristianità contro l'islamizzazione della penisola balcanica, giunta sino alle porte di Vienna e respinta col soccorso dei polacchi. Più tardi a ricacciarli fu Eugenio di Savoia, uno dei grandi condottieri della storia.
Elena di Montenegro studiò alla Corte dello zar Nicola II, che aveva alle spalle l'assassinio del nonno, Alessandro II (1881), autore di importanti riforme, come  l'abolizione delle  arcaiche servitù dei contadini. Anarchici ed estremisti colpiscono sempre i riformatori perché questi falciano l'erba nel prato dei fondamentalisti. Ogni epoca, tragicamente, ha i suoi fanatici. Così oggi Erdogan oscura il ricordo di Ataturk, massone e padre della Turchia moderna. 
Vittorio Emanuele, principe di Napoli ed erede al trono d'Italia, conobbe Elena quando tutto aveva in mente (storia, geografia, numismatica, viaggi...) tranne che la Corona. Per il fidanzamento andò a Cettigne, capitale modesta e tuttavia avamposto dell'Europa cristiana in una visione storica matura. Poliglotta, Elena coltivava pittura, musica ed esoterismo. Nelle prime pagine dell' Itinerario generale dopo il 1° giugno 1896 Vittorio Emanuele annotò: “(1896) Agosto. 5, Gaeta e Napoli; 6. A Napoli; 12. Da Napoli; 16. Da Antivari a Cettigne”. Ricordò la gran festa il 18, onomastico di Elena, e il rientro, da Cettigne a Napoli, alla volta di Firenze e Monza. Dopo settimane di viaggi (Stresa, La Spezia per il varo della “Carlo Alberto”) e Firenze, ripartì per Cettigne. Vi giunse il 19 ottobre. Il 21 era a Bari. Nel viaggio Elena passò dal culto ortodosso a quello cattolico, perché così esigeva lo Statuto. Il 24 ottobre, finalmente, il “Marriage”, come nell'Itinerario annotò il futuro re.
Da sposi, Vittorio ed Elena servirono lo Stato con un seguito vertiginoso di missioni ufficiali in Italia e all'estero, ma furono anche liberi di vivere la loro vita, che riservò loro la “media di felicità”, secondo la formula usata da Giovanni Giolitti in una lettera alla moglie. Ebbero cinque figli: Mafalda, sposata con il principe d'Assia e morta per le conseguenze di un bombardamento dei “liberatori” sul campo concentramento ove era detenuta dai nazisti (ne ha scitto Mariù Safier in una sua eccellente biografia, edita da Bompiani); Jolanda, sposa del conte Calvi di Bergolo; Umberto principe di Piemonte (14 settembre 1904, poi Umberto II, re d'Italia), Giovanna (sposata da Boris III, zar dei Bulgari, e madre di Simeone ora gagliardo ottantenne, esecutore testamentario di Umberto II) e Maria.
Fu insignita da Papa Pio XI della Rosa d'Oro: benemeritata per la sua carità. Ne è in corso la causa di beatificazione. Dopo l'intervento dell'Italia nella grande guerra allestì al Quirinale l'Ospedale Territoriale n. 1 per curare i feriti gravi. Si prodigò per lenire le conseguenze del conflitto. Promosse innumerevoli iniziative umanitarie, coinvolgendo aristocratiche, borghesi e popolane, unite in un sacrificio dalle dimensioni impreviste. Visse sempre con regale discrezione il suo rango, consapevole degli immensi pesi gravanti sull'unico regno d'Italia, unica grande monarchia dell'Europa continentale sopravvissuta alla tragedia della Grande Guerra che spazzò via lo zar di Russia, il kaiser di Germania, l'imperatore d'Austria-Ungheria e il sultano turco. Accanto a Vittorio Emanuele III, tutto mente, nervi e alto senso dello Stato e della Dinastia, la Regina governò l'“altra metà” di un regno che era fatto di simboli, sentimenti, emozioni e “religiosità”, cioè vincolo tra cittadini. Gli emblemi e i monumenti, come insegna il Premio Acqui Storia, che armonizza vincitori, premi alla carriera (come Giuseppe Galasso due anni orsono e Domenico Fisichella questo 2017) e “testimoni del tempo”, non sono orpelli, ma sostanza di un Paese. Vanno rispettati e onorati, quale ne sia l'origine. Sono la Memoria. Toccarla significa condannarsi a subire la medesima sorte. È quanto accade proprio a Napoli ove si oscurano le statue di Enrico Cialdini e di Camillo Cavour e si cancella via Vittorio Emanuele III, nel silenzio costernato dei  monarchici locali. Tanto vale abbattere il pino marittimo che da sempre orna la cartolina con vista sul Rosso Maniero della Nunziatella, San Martino, Castel dell'Ovo e il Vesuvio. La rivendicazione di una memoria capovolta nella città dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici di Benedetto Croce e dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Gerardo Marotta, degli Illuministi e del principe Raimondo Sangro di San Severo, primo gran maestro di una gran loggia massonica italiana, è avvilente scippo della storia, messo a segno da sprovveduti smemorati e, diciamolo, di “parricidi”.
Nel 1936 anche Elena donò l'anello nuziale nell'offerta dell'“oro alla Patria”. La guerra per la conquista dell'Etiopia era stata decisa dal governo, con plauso delle Camere. Era un'impresa dell'Italia, come lo erano state quelle coloniali di Francia, Gran Bretagna, Belgio, Olanda, Stati Uniti... Anche Benedetto Croce si associò. A ragion veduta, nessuno glielo rimprovera. I fatti vanno capiti nel loro contesto storico, non con il preteso “senno di poi”. Diversamente dovremmo radere al suolo tutti i monumenti del pianeta (incluse basiliche d'ogni tempo e di ogni culto), perché in massima parte frutto di imprese discutibili (come la “vendita delle indulgenze”. Ma chi ce ne dà diritto? Non è meglio “capirli”?
Nel 1940-1946 Elena di Savoia condivise le sofferenze degli Italiani. Sua figlia Mafalda, come detto, ebbe tragica sorte. Il 9 maggio 1946 partì col Re, abdicatario, alla volta di Alessandria d'Egitto. Come in passato fu al suo fianco: letture, fotografie, brevi escursioni, la pesca, i pensieri non detti, i lunghi silenzi in attesa di una visita del figlio Umberto, partito dall'Italia il 13 giugno 1946 alla volta del Portogallo, ove dal 5 precedente aveva inviato la Regina, Maria José, e i quattro figli, Maria Pia, Vittorio Emanuele, Maria Gabriella e Maria Beatrice: tutti piccini, inconsapevoli che il padre sarebbe stato condannato all'esilio perpetuo. Ora che siamo tanto solleciti verso migranti, profughi, clandestini ed esuli un po' di riflessione va fatta anche sulla nostra storia...
Vittorio Emanuele III si ammalò la vigilia di Natale del 1947: una infreddatura, poi una trombosi (secondo il generale Paolo Puntoni, già suo aiutante di campo, che ne scrisse “de relato”) e, in breve, il decesso. Morì il 28 dicembre. Era un cittadino italiano all'estero. Tre giorni dopo la Costituzione decretò l'esilio per “gli ex re di Casa Savoia, delle loro consorti e dei loro discendenti maschi”, identificando “discendenti” ed “eredi” alla corona: una differenza formale e sostanziale sfuggita ai costituenti. La salma del Re Soldato riposa nel retro dell'altare della chiesa cattolica di Santa Caterina ad Alessandria d'Egitto. Una lapide lo ricorda sobriamente: “Vittorio Emanuele di Savoia, 1869-1947”. Non lasciò memorie. Quelle pubblicate da giornali di breve respiro e recentemente ripubblicate sono apocrife. A serbarne il ricordo più vivido fu Elena, che si trasferì a Montpellier, nel clima mite del Mezzogiorno di Francia. Vi morì nel 1952. è inumata sotto una lapide che ne ricorda il nome e, in caratteri romani, le date.
In Oriente Elena è Santa Elèna, moglie di Costanzo Cloro e madre di Costantino il Grande. Di umili origini, tenne salda la rotta. Le si attribuisce il rinvenimento della Santa Croce. I solenni cori del culto ortodosso la associano al figlio con accenti che volgono alla meditazione. Senza devozione per il passato non vi è prospettiva di futuro. Perciò esso va recuperato, custodito, tramandato: patrimonio di civiltà. Tutto intero. Anche quello troppo a lungo trascurato, come la memoria di Vittorio Emanuele III e di Elena di Savoia.


martedì 29 agosto 2017

L'Indipendenza della Corona

La independencia de la Corona, su neutralidad política y su vocación integradora ante las diferentes opciones ideológicas, le permiten contribuir a la estabilidad de nuestro sistema político, facilitar el equilibrio con los demás órganos constitucionales y territoriales, favorecer el ordenado funcionamiento del Estado y ser cauce para la cohesión entre los españoles 

L'indipendenza della Corona, la sua neutralità politica e la vocazione ad integrare le diverse opzioni ideologiche consentono di contribuire alla stabilità del nostro sistema politico, a facilitare l'equilibrio con gli altri organi costituzionali e territoriali, a promuovere l'ordinato funzionamento dello Stato e ad essere un canale per la coesione tra gli spagnoli

Riconoscimento portoghese per il nostro Direttore


sabato 12 agosto 2017

Ebbene si’: il Re puo’ anche essere eletto

di Luciano Garibaldi

Sono stato monarchico e lo sarò sempre non foss'altro per il disprezzo che nutro nei confronti di coloro che si vantano di cambiare opinione e attribuiscono agli stupidi la fedeltà alle proprie scelte. Se io appartengo alla categoria degli stupidi, loro appartengono alla categoria dei vermi. Ciò premesso, debbo ammettere che non è facile descrivere il modello ideale della monarchia, anche perché non vi è un’esperienza storica univoca cui fare riferimento. Un conto, infatti, sono i sentimenti che mi legano al ricordo che ho di un Re galantuomo e veramente buono, Umberto II di Savoia, al quale dedicai un capitolo pieno di commozione del mio libro "La guerra (non è) perduta". Altra cosa è l'elaborazione filosofica e politologica del concetto di monarchia.
Quando in Italia si parla di monarchia, il pensiero corre subito ai Savoia. E' comprensibile, se si considera quello che i Savoia hanno fatto per l'Italia. Ma è una faccenda riduttiva se si pensa al futuro dell'idea monarchica. Mi spiego. I Savoia, addirittura, hanno fatto l'Italia. Carlo Alberto introdusse il principio della religione cattolica di Stato nello Statuto. Vittorio Emanuele III evitò, con la sua energia e la sua forza di volontà, che l'Italia precipitasse nella sconfitta durante la prima guerra mondiale e diventasse un lager sovietico nel 1919. Umberto II salvò l'Italia da una guerra civile ben più tragica di quella che s'era combattuta al Nord tra fascisti e comunisti. Detto questo, mi pare non vi siano dubbi che i Savoia hanno - per scimmiottare una famosa espressione - esaurito la loro spinta propulsiva. Se ci si volge indietro, alla nostra storia degli ultimi 150 anni, si vedono delle brave persone, non dei giganti. Non c'è alcun motivo valido, oggi, perché un monarchico italiano debba volere il ripristino del trono, quale che esso sia, con un erede Savoia assiso su di esso. Lo stesso vale - pur con il massimo rispetto - per gli Aosta, i Borbone e quant'altre grandi famiglie regnarono negli Stati italici nei secoli passati.
Personalmente sono un nostalgico di Vincenzo Gioberti, la cui idea, com'è noto, era quella di una federazione di Stati italiani sotto la guida di un grande monarca, il Papa. Dobbiamo riportarci a quegli anni e agli strascichi lasciati, da noi come in tutta l'Europa, dalla dominazione, anzi dall'usurpazione napoleonica. Come tutte le rivoluzioni violente e sanguinarie, la Rivoluzione francese e la sua diretta filiazione, ossia l'impero napoleonico, non avevano affatto "elevato le masse", truffaldina espressione con la quale i demagoghi d'ogni tempo cercano di conquistare il potere, ma le avevano sfruttate fino a succhiare loro il sangue con l'invenzione della leva di massa, lo scatenamento di sempre nuove guerre di conquista, la prepotenza e il sopruso elevati a sistema. Contro quella gigantesca truffa e mistificazione si era battuto un binomio purtroppo per due decenni perdente: Trono e Altare.
L'umanità non si toglierà mai abbastanza il cappello di fronte al martirio della Vandea francese e di tutte le "Vandee" d'Europa, da quella spagnola a quella tirolese, da quella toscana a quella campano-calabrese. Quegli eroi che, abbattendo i ridicoli e ipocriti "arbres de la libérté", smascheravano - versando il proprio sangue - le menzogne dei nobili traditori dei loro sovrani, erano guidati dalla fede. E, morendo, invocavano Dio e il Re. Non dimentichiamo che due Papi, Pio VI e Pio VII, furono costretti all'esilio, e uno, il primo, vi morì. Gioberti pensava al Papa-Re perché, essendo eletto per regnare, ma non potendo lasciare eredi, sarebbe sfuggito al rischio dell’egoismo che l'ereditarietà sempre porta con sé. Se la sua idea, osteggiata in primo luogo dalla massoneria potente in Gran Bretagna quanto in Francia, si fosse fatta strada, non c'è dubbio che dinnanzi all'Italia si sarebbe aperto un periodo di straordinaria elevazione spirituale e materiale, dato che nella Chiesa erano presenti, più che in ogni altra struttura, i princìpi della solidarietà, e dato che i sovrani restaurati in tutte le nazioni europee avrebbero guardato a Roma come a un faro di pacificazione e di ordine.
Altre monarchie regnanti, diverse dai Savoia, non sarebbero state neppure ipotizzabili. Prima di tutto, perché nessuna di esse (non i Borbone, non i Granduchi di Toscana, né le altre famiglie regnanti) aveva le mire di conquista che avevano invece Cavour e Vittorio Emanuele II. E secondariamente perché nessuna di esse avrebbe potuto avvalersi dell'appoggio dell'Inghilterra, in chiave antiaustriaca ma soprattutto antivaticana.
Resta da parlare del ruolo delle monarchie esistenti in Europa, Esso è certamente positivo, come attestano vari episodi sia ormai storicizzati, sia più recenti. E mi limito a citarne due. Il primo riguarda Cristiano di Danimarca, che nel 1940, appresa la decisione delle truppe tedesche occupanti di costringere gli ebrei ad appuntarsi sul petto una stella di Davide, volle essere il primo a indossarla e uscì a piedi per le strade di Copenaghen, per testimoniare di fronte al mondo l’aberrazione nazista. Il secondo riguarda re Juan Carlos di Spagna, di cui mi onoro di essere coetaneo e concittadino (sono nato, come lui, a Roma nel 1936), che, di fronte al tentato golpe del colonnello Tejero, non esitò a sconfessare e far arrestare i congiurati - coraggiosi, ancorché avventati, anticomunisti - pur di salvare la democrazia e la pace sociale nella sua patria. Un grande re. Che fu educato fin dalla più tenera infanzia al “mestiere” di re, sicuri com’erano, i suoi genitori, ch’egli sarebbe tornato un giorno sul trono di Spagna. Ma nessuna delle monarchie regnanti sfigura, oggi in Europa, nel confronto con le repubbliche i cui presidenti talvolta hanno dato prova di piccineria morale e di faziosità politica.

Per concludere: quale futuro per la monarchia in Italia? Remoto, direi, molto remoto. Non vedo, all’orizzonte, il ritorno della monarchia. Essa tornerà quando gli sbagli della repubblica avranno toccato il fondo. Ma dovrà essere fondata su un principio simile a quello su cui si fonda l’ordinamento ecclesiastico. Il popolo eleggerà i grandi elettori che, a loro volta, eleggeranno il Re. Il Re regnerà fino alla propria morte. Potrà succedergli l’erede al trono purché ottenga il consenso dei grandi elettori. Altrimenti, morto un Re, se ne eleggerà un altro. Questa è la mia visione della monarchia per il Terzo Millennio. Solo in questo senso io sono monarchico.

lunedì 7 agosto 2017

Monarchia e Monarchici - Aforismi, frasi e citazioni

Raccolta dei migliori aforismi e delle frasi più interessanti sulla monarchia, il monarca e i monarchici. La monarchia (dal greco monárchis, composto di mónos "solo, unico" e -archìs, da árchō, "governare, comandare") è una forma di governo in cui la carica di capo di Stato è esercitata da una sola persona, il monarca. La monarchia è tra le più antiche forme di governo, ma oggi è sempre meno diffusa nel mondo. In Italia la monarchia è stata abolita con il referendum del 1946. Su Aforismario trovi altre raccolte di citazioni correlate a questa sul re e la regina, e sul principe e la principessa.

Penso che le Monarchie siano destinate tutte a scomparire non perché siano superate
o perché i popoli non le vogliano, ma perché nessuno vuole più fare il re.
(Giovannino Guareschi)
1. Monarchia
© Aforismario

Nel dispotismo l'uomo è al disotto de' suoi sentimenti naturali, nelle repubbliche è al di sopra, nelle monarchie è al livello. 
Cesare Beccaria, Pensieri staccati, 1765

Assoluta. Dicesi della monarchia, in cui il sovrano può fare tutto quello che gli aggrada, almeno finché ciò gli viene consentito dagli attentatori. Tali istituzioni sono tuttavia oggi più rare, essendo sostituite da monarchie costituzionali dove la facoltà del sovrano di fare del bene (o del male) è rigorosamente limitata, oppure da repubbliche, governate dal caso.
Ambrose Bierce, Il dizionario del diavolo, 1911

Le vecchie monarchie raffazzonate durano finché il popolo non sente la sua forza; simili edifizi periscono sempre, per la debolezza delle fondamenta.
Napoleone Bonaparte, Aforismi e pensieri politici, morali e filosofici, XIX sec.

E più facile innalzare una repubblica senza anarchia, che una monarchia senza dispotismo.
Napoleone Bonaparte, Aforismi e pensieri politici, morali e filosofici, XIX sec.

Il dominio d'un buono si dice regno e monarchia. D'un malo si dice tirannia. Di più buoni si dice aristocrazia. Di più mali si dice oligarchia. Di tutti buoni si dice politia. Di tutti i mali si dice democrazia.
Tommaso Campanella, Aforismi politici, 1601

Non c'è riposo per i popoli liberi: il riposo è un'idea monarchica. 
Georges Clemenceau, Alla Camera, 1883

La monarchia ci unisce, la repubblica ci dividerebbe.
Francesco Crispi, discorso alla Camera dei deputati, 1864

Solo un regime monarchico può essere costituzionale. Dove la società si governa da sé, o dove governa un autocrate, la costituzione manca di un custode che la difenda da capricci elettorali o da capricci cesaristi.
Nicolás Gómez Dávila, In margine a un testo implicito, 1977/92

La Monarchia me la immagino come una vecchia signora dai capelli argentati che guarda con un occhialino un album di foto in bianco e nero e che pensa ai bei tempi andati. In pratica, come mia nonna.
Luciano De Crescenzo, I pensieri di Bellavista, 2005

L'epoca dell'uomo individuo e quindi delle monarchie è finita.
Carlo Dossi, Note azzurre, 1870/1907 (postumo 1912/64)

"Il comunismo è un regime monarchico, una monarchia di vecchio stampo. In quanto tale taglia le palle agli uomini. E quando a un uomo gli tagli le palle non è più un uomo" diceva mio padre.  
Oriana Fallaci, La rabbia e l'orgoglio, 2001

Penso che le Monarchie siano destinate tutte a scomparire non perché siano superate o perché i popoli non le vogliano, ma perché nessuno vuole più fare il re.
Giovannino Guareschi, Chi sogna i nuovi gerani?, 1993 (postumo)

Ovunque il popolo non ha proprietà onde esistere, il governo è monarchico o aristocratico. Ovunque il popolo può esistere di sua proprietà il governo è suscettibile di democrazia.
James Harrington, Aforismi politici, 1659

Tutto prospera in una monarchia in cui si scambiano gli interessi dello Stato con quelli del Principe.
Jean de La Bruyère, I caratteri, 1688

I bambini cominciano fra di loro con lo stato democratico: tutti sono padroni e, cosa più che naturale, non se ne appagano a lungo, e passano a quello monarchico. Certuni si distinguono, o per una maggior vivacità, o per una migliore predisposizione corporea, o per una più precisa conoscenza dei diversi giochi e delle piccole regole che li costituiscono. Altri gli mostrano deferenza, e quindi si crea un governo assoluto che verte unicamente sulla voluttà.
Jean de La Bruyère, I caratteri, 1688

A volte mi sembra che il sistema divino somigli alla monarchia inglese: Dio regna, ma non governa.
Stanisław Jerzy Lec, Pensieri spettinati, 1957

La corruttela de' costumi è mortale alle repubbliche, e utile alle tirannie e monarchie assolute. Questo solo basta a giudicare della natura e differenza di queste due sorte di governi.
Giacomo Leopardi, Zibaldone, 1817/32 (postumo 1898/1900)

La monarchia assoluta s’è cangiata in molti paesi [...] in costitutiva. Non nego che nello stato presente del mondo civile, questo non sia forse il miglior partito. Ma insomma questa non è un’istituzione che abbia il suo fondamento e la sua ragione nell'idea e nell'essenza o della società in generale e assolutamente, o del governo monarchico in particolare. È un’istituzione arbitraria, ascitizia, derivante dagli uomini e non dalle cose: e quindi necessariamente dev'essere instabile, mutabile, incerta e nella sua forma, e nella durata, e negli effetti che ne dovrebbero emergere perch’ella corrispondesse al suo scopo, cioè alla felicità della nazione.
Giacomo Leopardi, Zibaldone, 1817/32 (postumo 1898/1900)

Nel tempo, le funzioni mitiche svolte dalle religioni e dalle monarchie non spariscono: oggi vengono assolte dai mezzi di comunicazione di massa e dal potere simbolico dei segni-merce, nuovi mondi-di-sogno.
Daniele Luttazzi, Bollito misto con mostarda, 2005

I popoli allevati nella libertà e nell'autogoverno, considerano ogni altra forma di ordinamento politico mostruosa e contro natura. Quelli che sono abituati alla monarchia fanno lo stesso. E qualsiasi possibilità di cambiamento la fortuna offra loro, perfino quando si siano liberati con gran difficoltà dal fastidio d’un padrone, si precipitano a ristabilirne uno nuovo con altrettante difficoltà, perché non possono risolversi a prendere in odio l’autorità.
Michel de Montaigne, Saggi, 1580/88

Una monarchia corrotta non è uno Stato, è una corte.
Charles-Louis de Montesquieu, I miei pensieri, 1716/55 (postumo 1899/01)

La forza della monarchia è nella ragione pubblica, la quale riconosce la necessità d'un potere permanente ed inviolabile per mantenere l'ordine e la libertà.
Giovanni Battista Niccolini, in Atto Vannucci, Ricordi della vita e delle opera di G.B. Niccolini, 1866

La democrazia ha in mano i mezzi per rendere vuoti, senza far uso della violenza e solo mediante una pressione legale continuamente esercitata, la monarchia e l'impero : finché ne resti uno zero, forse, se si vuole, coi significato di ogni zero, che di per sé è niente, ma che messo al posto giusto decuplica il valore di un numero. L'impero e la monarchia rimarrebbero un magnifico ornamento sul semplice e funzionale abito della democrazia, la bella superfluità che essa si concederebbe, il resto di tutti gli ornamenti atavici storicamente venerabili, anzi il simbolo della storia stessa.
Friedrich Nietzsche, Umano troppo umano II, 1879/80

Le repubbliche tendono all'anarchia, le monarchie al dispotismo, e la via intermedia che si è perciò escogitata, della monarchia costituzionale, tende al dominio delle fazioni. Per fondare uno Stato perfetto bisognerebbe incominciare col creare esseri la cui natura consentisse loro di sacrificare costantemente il bene proprio a quello pubblico.
Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, 1819

Il selvaggio s'inchina davanti a idoli di legno e di pietra; l'uomo civile di fronte a idoli di carne e sangue. Una monarchia limitata è un sistema per combinare l'inerzia dell'idolo di legno con la credibilità di un idolo di carne e sangue
George Bernard Shaw, Uomo e superuomo, 1903

L'unità del governo non è nè negli uomini nè nei luoghi, ma nel sentimento. Monarchia consentita con intelligenza, è repubblica; repubblica consentita da pochi, dagli altri sopportata, è aristocrazia o cacocrazia.
Niccolò Tommaseo, Aforismi della scienza prima, 1837

Le monarchie assolute e le dittature sono governi che temperano sé con le proprie intemperanze, e con queste temperano e puniscono le altrui.
Niccolò Tommaseo, Dizionarietto morale, 1867

La Repubblica si può reggere col 51%, la Monarchia no. La Monarchia non è un partito. È un istituto mistico, irrazionale, capace di suscitare negli uomini incredibile volontà di sacrificio. Deve essere un simbolo caro o non è nulla.
Umberto II di Savoia, XX sec. (fonte sconosciuta - segnalala ad Aforismario)

Tracciate una bella linea diritta fra il potere monarchico e quello dispotico: risulterà così sottile che
tanti occhi non riusciranno a distinguerla.
Voltaire, Quaderni, XVIII sec. (postumo, 1952)

2. Monarca
© Aforismario

La nostra società si ostina a scegliere i propri governanti per evitare che la casualità della nascita o il capriccio del monarca consegnino il potere magari a un uomo intelligente.
Nicolás Gómez Dávila, Tra poche parole, 1977/92

Un saggio s'inchinava davanti al monarca in modo da non dimenticare mai di mostrare il sedere ai cortigiani.
Stanisław Jerzy Lec, Pensieri spettinati, 1957

Monarca perfetto è quello che, giusto verso i sudditi, giusto pure nei confronti dei vicini e costretto talvolta ad avere dei nemici, cessa d’essere temibile per costoro non appena li ha vinti.
Charles-Louis de Montesquieu, I miei pensieri, 1716/55 (postumo 1899/01)

Nel folto della giungla possono essere celate splendide orchidee, sotto un tetto di paglia un futuro monarca.
Proverbio cinese

Futurista? impressionista? realista?
Veramente io sono socialdemocratico monarchico napoletano. (Totò)
3. Monarchici
© Aforismario

Perché sono monarchico? Perché non c'è più il re.
Giovannino Guareschi (fonte sconosciuta - segnalala ad Aforismario)

Le etichette politiche - come monarchico, comunista, democratico, populista, fascista, liberale, conservatore, e cosi via - non sono mai criteri fondamentali. La razza umana si divide politicamente in coloro che vogliono controllare la gente e in coloro che non hanno tale desiderio. I primi sono idealisti che agiscono spinti dai migliori motivi, per il massimo bene del più gran numero di persone. I secondi sono tipi acidi, sospettosi e privi di altruismo. Ma sono vicini meno scomodi di quelli dell’altra categoria.
Robert Anson Heinlein, Lazarus Long l'Immortale, 1973

Chi è monarchico non è realista.
Alessandro Morandotti, Minime, 1979/80

Una latente nostalgia monarchica fa sì che il popolo aspiri a essere sovrano.
Alessandro Morandotti, Minime, 1979/80

Futurista? impressionista? realista? Veramente io sono socialdemocratico monarchico napoletano.
Totò (Antonio de Curtis), in Totò cerca casa, 1949

da: http://www.aforismario.net

venerdì 4 agosto 2017

Ventajas de la Monarquía

di Amadeo Martín Rey Cabieses 

La monarquía encarna, en aquellos países donde la disfrutan, un feliz equilibrio entre tradición y modernidad. El monarca y su familia unen en sus personas la historia -los hechos gloriosos que llevaron a la fundación de la nación o a su unificación- con la más vigente actualidad. Quienes achacan de anacronismo a la monarquía olvidan que entre los países más modernos del mundo figuran varias monarquías constitucionales y parlamentarias que han llevado a sus naciones a la cima del desarrollo, del bienestar y la pujanza económica, propiciando además el mantenimiento de la paz interior y exterior, impidiendo que fuerzas centrífugas disgreguen a sus pueblos. El monarca no es elegido y en ello radica su independencia y su capacidad de aglutinar a toda la nación en torno a sí. No se debe a ningún partido y puede, por eso mismo, como dijo Don Juan Carlos I, ser “el Rey de todos los españoles”. El hecho de que sea una dignidad hereditaria facilita que quien va a ser el monarca, es decir, el príncipe heredero, sea educado desde la cuna para el papel que va a desempeñar. Nadie en la  nación puede tener una preparación más completa para una función tan compleja. Ningún embajador es mejor que el monarca que, gracias a sus vínculos internacionales y a representar de modo perfecto a la nación, puede así facilitar acuerdos comerciales y allanar obstáculos para los tratados más variados. Muchos hablan de que el cuarto poder es la prensa. Yo diría más bien que, en una monarquía, el verdadero cuarto poder es el monarca que ejerce el poder moderador o arbitral facilitando las relaciones entre las distintas instancias del Estado y las fuerzas sociales, aconsejando, advirtiendo, y siendo consultado –en palabras de Bagehot- y sugiriendo el mejor modo de limar asperezas y sortear dificultades. Es un mito arcaico decir que las monarquías son caras. Los presupuestos de las jefaturas del Estado en muchas repúblicas superan con mucho los de las modernas monarquías europeas en los que la austeridad no está reñida con una hermosa plasticidad.  Así es, el gozo estético y el íntimo y legítimo orgullo que produce contemplar una entronización o una coronación exceden a cualquier anodina toma de posesión de un presidente de república. Quienes disfrutan de una monarquía deberían cuidarla y mantenerla y muchos de quienes ya la perdieron deberían sopesar la posibilidad de volver a ella.”