lunedì 17 luglio 2017

L’Unione Monarchica Italiana in Sicilia, dalle parole ai fatti. Assemblea dei quadri dirigenti, sabato 22 Luglio a Carini


Intervista a SAR Amedeo di Savoia Aosta

di Alberto Franceschi


 Il 12 giugno scorso ebbi modo di incontrare SAR il Duca Amedeo di Savoia-Aosta presso la propria residenza in Toscana di Castiglion Fibocchi il quale molto cortesemente mi concesse un’intervista. Il mio desiderio di conoscere di persona Amedeo di Savoia Aosta nacque dopo aver letto il libro di Danila Satta “Cifra Reale” una biografia del Duca Amedeo appartenente ad una delle casate più importanti e protagonista di molte vicissitudini. Iniziamo subito con alcune domande.

Tra i vari avi della Vostra famiglia, si possono annoverare moltissimi comandanti militari equamente distribuiti nella marina, esercito ed aviazione. Mi vengono in mente ad esempio Amedeo d’Aosta, l’eroe dell’Amba Alagi o Emanuele Filiberto d’Aosta, il Duca Invitto. Meno conosciuto è il fatto che la Vostra famiglia vanta anche alcuni sovrani come Amedeo I, Re di Spagna dal 1871 al 1873 e Vostro Padre Aimone che è stato re titolare di Croazia dal 1941 al 1943. Potreste raccontare qualche aneddoto?

Mio padre, ubbidì all’ordine impartito da Re Vittorio Emanuele III ed accettò di essere nominato ufficialmente Re titolare di Croazia con tanto di rappresentanti plenipotenziari croati giunti a Roma nel 1941. Nel primo giorno di regno mio padre passò in rassegna un drappello di militari, seguito poi da un ricevimento al Quirinale. Con il susseguirsi delle vicende disastrose della guerra, la cosa poi sfumò piano piano e di questo mio padre ne fu molto felice perché non avrebbe voluto andare in Croazia. Lui amava la marina e visse per la marina. Infatti egli combattè fino all’ultimo giorno contro gli inglesi e assieme a loro dopo l’8 settembre 1943.

Altezza, se non sbaglio, siete imparentato con moltissime casate reali, ci può raccontare brevemente?

Mia madre, Irene, era figlia del re di Grecia quindi siamo cugini con Sofia di Grecia, moglie di Juan Carlos Re di Spagna e anche con lo stesso Re Juan Carlos siamo secondi cugini in quanto le nostre nonne erano sorelle. Sono primo cugino di Re Michele di Romania e secondo cugino del Principe Carlo d’Inghilterra. Ma qui ci inoltriamo in un dedalo di parentele..che è meglio fermarsi qui.

Conoscete Felipe VI attuale Re di Spagna? Che opinione avete di lui?

Si ci vediamo, ma mai abbastanza spesso come vorremmo. Queste occasioni di incontro oltre ad essere piacevoli, sono molto utili soprattutto perchè vivendo entrambi in Paesi diversi ci possiamo scambiare opinioni e consigli vicendevoli. Penso che Felipe sia molto in gamba, d’altronde è stato educato per fare il Re e poi ha davvero una bellissima famiglia. Penso che la monarchia in Spagna potrà avere ancora molto futuro anche perché rappresenta un elemento di grande stabilità e di unità nazionale.

La principessa Mafalda di Savoia è stata deportata in campo di concentramento nazista dove trovò la morte ma non tutti sanno che anche Voi e Vostra madre, dal 1943 al 1945, siete stati ugualmente deportati in un lager nazista. Cosa potete raccontare di tale vicenda?

Si confermo, siamo stati deportati su ordine diretto del capo delle SS, Heinrich Himmler e condannati a morte senza data. Fortunatamente non ho alcun ricordo, ero troppo piccolo. Mia madre è riuscita a fare in modo che non mi accorgessi di nulla e di questo le sarò sempre grato. Proprio quest’anno vorrei tornare a Hirschegg, la località austriaca dove siamo stati deportati. La cosa curiosa è che oggi, al posto del casermone dove eravamo detenuti, vi è un hotel con spa.

I nazisti deportarono la principessa Mafalda di Savoia, Voi e Vostra madre solo per il motivo per cui vi chiamavate Savoia e quindi considerati “traditori” dopo l’8 settembre 1943. Ritiene che Vittorio Emanuele III e il principe Umberto sarebbero dovuti rimanere a Roma nel settembre ’43 andando certamente incontro alla deportazione e probabilmente morte certa?

Sicuramente era nei piani dei tedeschi arrivare prima possibile a Roma per catturare il Re e la famiglia Reale per deportarla in Germania per creare così uno Stato acefalo ben più gestibile. Ritengo che fosse stato dovere del Re e del Principe ereditario mettersi in salvo proprio per dare continuità necessaria allo Stato in quel momento così drammatico per il nostro Paese. Non fu un atto di codardia lasciare Roma ma un’azione ben ponderata, seppur sofferta. Ricordiamoci che era lo stesso Re, Vittorio Emanuele III, che nel 15-18 rischiava la vita in trincea mangiando il rancio con i soldati ed osservando il nemico in prima linea. Avrà avuto tanti difetti ma certamente non gli mancava il coraggio.

Quale fu il Vostro rapporto con SM Re Umberto II? Andavate spesso a trovarlo a Cascais?

Andavo a fargli visita circa 4-5 volte l’anno e mi ospitava per circa una settimana. Si stava a parlare per delle ore. Mi diceva che ero come un giornalista perché lo bombardavo di domande. Ogni tanto si commuoveva ma era felice di raccontarmi le sue vicende perché diceva che gli serviva anche a lui per ripassare e che io dovevo apprendere la storia. Era una persona buona e non meritò una fine così.

Le salme di Vittorio Emanuele III, della regina Elena, di Re Umberto II e della regina Maria Josè risultano sepolte ancora all’estero mentre negli ultimi 20 anni le salme di molti ex sovrani europei sono rientrate nei loro rispettivi Paesi e quasi tutte con gli onori di Stato. Pensa che sia meglio lasciare i resti mortali lì dove sono o ritiene che debbano essere rimpatriati al più presto?

La mia idea è sempre stata chiara. La Repubblica ha paura dei morti. Si parla tanto di pacificazione nazionale ma di questo argomento non se ne vuole parlare. Ritengo che oggi sia urgente più che mai il rimpatrio della salma soprattutto di Re Vittorio Emanuele III in quanto la salma in Egitto non è più sicura dato l’affermarsi sempre più forte degli estremismi islamici. Certo non vedo cosa osti riportarli in Patria, è un atto dovuto. Dopo di tutto sono stati Capi di Stato della nostra nazione e volenti o nolenti fanno parte della nostra storia patria.

Altezza, per diventare ufficiale di Marina avete dovuto giurare fedeltà alla Repubblica e se non sbaglio siete andato a Cascais a chiedere la dispensa a Re Umberto II. Consigliereste questa esperienza militare ai giovani italiani?

In quanto figlio unico di madre vedova ero esentato dal fare il militare ma richiesi io l’autorizzazione per poterlo fare e per questo motivo andai a chiedere la dispensa al Re per giurare. Egli mi disse “ma vai di corsa, giura” perché sosteneva che si giura all’Italia a prescindere che sia repubblica o monarchia”. Il servizio militare è un ottimo modo per educare la popolazione o finire di educarla, ed è un’esperienza molto importante.

Quindi Voi siete d’accordo nel ripristinare la leva militare obbligatoria?

Trovo che la leva così come era organizzata andava abolita e lo dico da militare. I soldati stavano in caserma e non facevano alcuna esercitazione particolare tranne alcuni reparti degli alpini e della marina che erano più operativi e difatti chi ha sofferto di più dell’abolizione della leva è stato proprio il Corpo degli Alpini. Certo si potrebbe modificare la leva di una volta sul modello della Svizzera dove i cittadini vengono richiamati circa 15 giorni l’anno o istituire un servizio civile obbligatorio per essere utili al Paese con una forza lavoro meno onerosa. Certo andrebbe studiato perché sarebbe una cosa nuova ma interessante da vedere.

Una delle passioni a Voi più care, se non sbaglio, è la botanica in particolare delle piante succulente. Com’è nata questa Vostra passione? Forse dall’amore per le piante che aveva anche Vostra madre?

La mia passione è nata da una ventina d’anni e ancora prima per i giardini perché mia madre aveva costruito un bellissimo giardino a San Domenico di Fiesole dove abbiamo abitato per una trentina di anni. Lei che era nata in un palazzo reale, quello di Atene, che era praticamente un palazzo in mezzo ad un giardino botanico considerato che il clima greco favorisce la crescita di piante di tipo tropicale. Anche il Quirinale ha un bellissimo giardino, tant’è che non so se sia più bello il palazzo o il giardino a seconda della passione che uno ha. Questo aspetto è comune nelle famiglie nobiliari tant’è che si diceva: giardini botanici e serragli ovvero le passioni dei reali. Ad esempio Ranieri di Monaco aveva uno zoo, o perfino su a Stoccolma o ad Oslo c’è la passione per i giardini botanici anche se ovviamente le piante son ben diverse considerato il clima più rigido. In ogni caso io non ho una grande cultura di botanica, d’altronde sono un ufficiale di Marina ma diciamo che ho una cultura da “gondoliere” cioè a forza di passare tra le stesse piante oramai le conosco così bene come i gondolieri con i palazzi veneziani.

Oltre alla botanica, siete un grande appassionato di auto. Siete stato protagonista e capo-spedizione nel 1970 di uno dei raid più spettacolari e leggendari di tutti i tempi: il famoso “raid dei due capi” o “raid dei tre continenti”. Eravate riuscito, nel giro di un mese e mezzo, a portare 3 Fiat 124 da Città del Capo a Capo Nord. Non contento dopo 2 anni, nel 1972 per saggiare la nuova berlina della Lancia Beta, effettuerete in pieno inverno un raid da Capo Spartivento (Reggio Calabria) a Capo Nord, rispettivamente il punto più meridionale e quello più settentrionale dell’Europa. Ma se il punto di arrivo, raggiunto con le Fiat 124 era d’estate (il raid infatti terminò in agosto) quello da raggiungere con le Lancia Beta, era completamente “artico”, con temperature che sfioravano i 40 gradi sottozero e nemici implacabili come il ghiaccio e la neve. Siete ancor’oggi appassionato di auto e quale marca e modello oggi più Vi appassionano?

Io e mia moglie siamo reduci da un safari di 500 km di attraversata del deserto del Sudan con una Land Rover percorsi in due settimane. Eravamo da soli ma avevamo tutto, benzina, tende, pezzi di ricambio e siamo arrivati fino in Uganda. Fino a qualche anno fa andavamo spesso in Tunisia ma ora la situazione ahimè non lo permette tanto.

Come i Vostri antenati, anche Voi siete un uomo sportivo aperto a tutte le discipline. Ecco che Vi appassiona il volo, la nautica e le spedizioni artiche come quella svolta nel 2001 per commemorare il centenario di quella fatta dal Duca degli Abruzzi, Luigi Amedeo Vostro pro-zio? Che emozioni e sensazioni avete avuto ripercorrendo le sue tracce?

Fu un’esperienza molto interessante ripercorrere gli stessi luoghi vivendo la stessa situazione come meteorologia, clima e difficoltà legate a questa latitudine. Noi avevamo un equipaggiamento molto attrezzato e non abbiamo mai sofferto il freddo poichè avevamo doppi guanti, doppie scarpe, berretti particolari, degli occhialoni per poter proteggere gli occhi, ma mi meraviglio di come tutto questo lo avessero potuto fare, nel 1899-1900, gli uomini del Duca degli Abruzzi e lui per primo con delle semplici giacche a vento ed un maglione. Questo non l’ho mai capito ma certamente penso che le generazioni passate fossero molto più robuste di noi, molto più forti verso le malattie, verso le intemperie, etc..

Altezza, un argomento a Voi caro è la questione del non riferimento a Dio nella nostra Costituzione repubblicana del ‘48. Potreste spiegare questo aspetto?

Coloro che volevano abbattere la monarchia nel ’46, in un certo modo volevano “bastonare” anche la religione in un modo bolscevico. Con la nuova Costituzione del ’48, malgrado vigesse ancora la religione di Stato, si è voluto laicizzare tutto in una maniera molto estremistica e traumatica. Le faccio un esempio: prendiamo un biglietto da un dollaro, sopra c’è scritto “In God we trust”. In Italia la parola Dio nella nostra Costituzione non c’è. Parlando con alcuni giuristi, figli dei cosiddetti padri costituenti, mi hanno giustificato questo fatto sostenendo che ogni riferimento alla religione fu eliminato appositamente in considerazione del rispetto della laicità dello Stato poiché, a loro avviso, al tempo la religione si intrometteva troppo nella vita sociale del Paese e ciò non era più accettabile. A prescindere che non sono d’accordo su questo perché a mio avviso la Chiesa cattolica non fa alcuna ingerenza semmai si limita a dare delle raccomandazioni o delle linee guida ai suoi fedeli. Pertanto se uno non è credente o appartiene ad un’altra religione non vi è alcuna vincolo di obbedienza. Ma in ogni caso guardiamo gli Stati Uniti, cosa dice alla fine del giuramento il presidente della Corte Costituzionale? Dice “God bless America” a prescindere dalla fede religiosa alla quale egli appartiene. Può essere cristiano, mussulmano o ebreo ma comunque pronuncia la parola “God”. E’ importante anche la forma, le istituzioni sono costituite da noi uomini ma godono di una sacralità che deve essere custodita da un’entità superiore ossia da Dio. Noi in Italia non sentiremo mai pronunciare il nostro Presidente della Repubblica dire “Dio benedica l’Italia”. Perché dovremo amare una Costituzione così fiacca?

Che progetto/i avete per il prossimo futuro?

Sto coronando un sogno. Non ho conosciuto mio padre ma era una persona straordinaria anche se era offuscato da suo fratello che era una persona ancora più straordinaria. Sapevo che mio padre aveva preso dei contatti costruttivi e molto importanti con gli Alleati nel ’43. Era riuscito ad andare in Svizzera nel bel mezzo della guerra forse scortato da qualche ambasciatore e riuscì a parlare con gli inglesi. Noi Savoia Aosta siamo sempre stati anglofoni, abbiamo sempre tutti studiato in Inghilterra ed anch’io parlo l’inglese come se fosse l’italiano. Sono inglese anche nella mentalità e nella postura non solo nella lingua. Fino ad ora non avevo le prove di questi contatti di mio padre con gli Alleati e spesso mi chiedevano di produrre dei documenti per dimostrare ciò. Finalmente entro quest’anno 2017 entrerò in possesso di questi carteggi che comproveranno i rapporti, addirittura già dal ’42, egli ebbe con gli inglesi su ordine diretto di Re Vittorio Emanuele III. Come vede un po’ alla volta viene fuori la verità sul fatto che Casa Savoia desiderasse cessare le ostilità prima possibile cercando appoggi diplomatici stranieri con massima segretezza per giungere ad un’intesa che ahimè tardò molto. Vedremo se da questi documenti ne verrà fuori un altro libro.
da: www.gothanews.it

martedì 4 luglio 2017

Elogio della Regalità

di Franco Maestrelli

La nostra cultura è impregnata del concetto di regalità in ogni suo aspetto malgrado il trionfo ormai secolare di repubbliche. Impariamo ad apprendere la regalità fin dall’infanzia: pensiamo alle favole che narriamo ai nostri bambini e vediamo subito che la costante, oltre al “c’era una volta” è la presenza del Re e della Regina. Possono essere Re e Regine malvagie o benefiche ma il riferimento è sempre alla Regalità. Più tardi apprendendo i fondamenti della religione cattolica nelle pagine dell’Antico e del Nuovo Testamento troviamo ancora Re e Regine quali simboli del Re dei Cieli. Scorrendo le pagine dei libri di storia ci imbattiamo nelle figure di grandi Re e Regine che hanno costruito grandi civiltà. Eppure la storia è stata spesso attraversata da ribellioni contro il potere regale e da istituzioni di forme costituzionali diverse ma di esse rimane ben esile traccia. Anche quando nella società occidentale le Monarchie furono sostituite dalle forme repubblicane il popolo continua a cercare nei rotocalchi e nei programmi televisivi le vicende delle famiglie reali. Permane nel linguaggio corrente l’uso di termini che afferiscono alla regalità con significato di trattamento di lusso e bellezza e, di contro, nella vulgata il termine repubblica esprime sempre confusione, disordine. Tutto questo deve avere un senso che va ben oltre all’inerzia e all’abitudine. Tutti sentono la necessità di riconoscere una gerarchia certa, con salde radici che non sia sottoposta all’alea della fortuna e del censo. Chi meglio di un Re che radica il proprio potere nella storia di una famiglia antica, nella quale ha appreso un’educazione a governare non solo da istitutori ma semplicemente vivendo accanto ai propri avi, vivi o morti, camminando nelle stanze piene di memorie di una storia non appresa dai libri. Certamente la storia ha conosciuto anche usurpatori che si sono posti una corona sul capo ma in genere il destino della loro dinastia è stato di breve durata. Certamente la storia ha conosciuto figli di Re che non sono stati all’altezza degli avi ma queste sono effimere eccezioni all’interno di secolari dinastie. Un figlio di Re potrà magari rivelarsi talvolta un pusillanime e un debole e occupare indegnamente un Trono ma la storia e la reputazione in mezzo al suo popolo faranno giustizia mentre un debole e un pusillanime potrà essere  facilitato a ricoprire la più alta carica democratica perché sarà la marionetta ideale dei mille poteri forti che interagiscono nelle democrazie repubblicane. La legittimità di nascita e di esercizio mette il potere al sicuro dalle manovre dei manovratori occulti che pur aspirando a governare ne sono irrimediabilmente tagliati fuori. Come in tutte le gerarchie naturali però è necessario il rispetto di un gradino superiore alla stessa regalità: l’obbedienza alle leggi divine. Ogniqualvolta  che questa obbedienza viene meno assistiamo al vacillare di tutta la scala gerarchica e, presto o tardi, vediamo il crollo della Monarchia, temporaneo o definitivo. Le tre caratteristiche della Regalità, obbedienza alla leggi divine, legittimità di nascita e di esercizio sono regole ferree che vanno rispettate pena la decadenza. In questa società contemporanea scristianizzata e ribelle alla gerarchia la Regalità pare non avere spazio ma poiché l’ordine e la gerarchia rappresentano un’esigenza vitale dell’uomo, alla fine dell’ubriacatura democratica, quando si sarà toccato il fondo e i popoli sentiranno il bisogno di ricostruire la società ordinata e organica, sarà naturale rivolgersi alla Monarchia. Ci vorranno anni, forse secoli perché i tempi della storia non sono i nostri, ma alla fine quando la società restaurata se lo meriterà, riceverà come premio nuovamente un Re.

lunedì 3 luglio 2017

L’Europa è debole perché soffre di una crisi di identità

di Domenico Bonvegna

Che cosa deve preoccupare maggiormente gli europei oggi: la “Brexit”, l'elezione di Donald Trump, la crisi dei migranti, le posizioni della Russia di Putin, il terrorismo jihadista? Era una domanda che il Corriere della Sera, qualche mese fa, aveva posto in una intervista a Federica Mogherini, alto rappresentante dell'Unione Europea (UE). la Mogherini, una delle cariche più significative della Commissione Europea, ha risposto con estrema chiarezza, il problema maggiore dell'Europa è, “La mancanza di fiducia in noi stessi”. L'esponente politico  evidenziava che i rappresentanti politici internazionali, nonostante tutto gli hanno sempre sottolineato la grande forza, la salute e la potenza dell'Europa. Cosa che purtroppo noi europei, ancora non riusciamo a cogliere.“Siamo labili di nervi”, e soffriamo di “una vera crisi di identità, di mancanza di consapevolezza”. Pertanto secondo la Mogherini, “Se non conosci la tua forza, rischi di non usarla e ciò potrebbe alla lunga minare le basi della nostra potenza”.
Parole forti che sembrerebbero pronunciate da quei politici euroscettici come Farage, Wilders, Orban o Le Pen. Per Alfredo Mantovano, la risposta della Mogherini,“è una diagnosi drammaticamente vera: perché è vero che l'Europa ha al proprio interno ricchezze di ogni tipo, finanziarie, economiche e culturali, e potenzialità come nessun altro continente al mondo”.(Alfredo Mantovano, “Europa: vincere la crisi di identità”, in Cristianità, n. 384,marzo-aprile 2017)
Evidentemente però se sei “labile di nervi” e vivi “una vera crisi di identità, di mancanza di consapevolezza”, di questa ricchezza non sai cosa fartene.
Pertanto i sintomi e gli effetti di questa crisi di nervi e di identità sono che l'Europa non è in grado di adottare politiche più adeguate per affrontare e combattere il terrorismo, vive alla giornata, e di fronte ai numerosi attacchi subiti sul proprio territorio li vive come una rassegnata routine.
L'Europa,“va in paranoia”, quando la Turchia fa uscire il 15 per cento dei profughi che tratteneva sul proprio territorio. Scrive Mantovano:“E tu, colosso con più di mezzo miliardo di abitanti […] entri in crisi per appena 350.000 migranti, che non riesci poi neanche a ripartire in modo proporzionato sul tuo territorio. Quando il piccolo Libano, con circa quattro milioni e mezzo di abitanti, ha accolto negli ultimi cinque anni oltre un milione di profughi”.
Altra questione grave è che il nostro continente non mette al mondo più figli, quindi non ha futuro. Praticamente sta attraversando la più grande crisi demografica della sua storia, infatti,“Prima ancora che per il terrorismo, per i migranti, per la volatilità dei mercati finanziari, la crisi dell'Europa è demografica, con tratti particolarmente preoccupanti per Stati come l'Italia”.
Papa Francesco in occasione dei Trattati di Roma, il 24 marzo scorso, ricordava ai capi di governo dell'UE, che compete a loro,“discernere le strade della speranza”. Tuttavia secondo Mantovano l'Europa su queste ed altre voci produce soltanto interventi contraddittori, come le critiche nei confronti della politica del neo-presidente americano Donald Trump, sulla questione immigrazione, che poi sono identiche a quelle adottate da Obama.
La diagnosi della crisi strutturale dell'Europa non basta, per Mantovano occorre, capire perchè siamo giunti a questo punto e soprattutto bisogna tentare di studiare quali sono le possibili vie d'uscita. Chiunque voglia salvare l'Europa, non può interrogarsi su questo. Non è interesse solo dei cattolici, anche se a noi dovrebbe interessare maggiormente, visto che il subcontinente europeo non sarebbe diventato così ricco senza il cristianesimo. Del resto sono decenni che la Chiesa con il suo Magistero, attraverso documenti chiari e illuminanti, ci spiega le ragioni della crisi dell'Europa.
“Come uscirne?”, si chiede Mantovano. Certamente non ci si può accontentare“di assistere alla sterile dialettica che vede contrapposti da un lato i difensori 'a prescindere' dei trattati comunitari e della loro applicazione”, come fa Emmanuel Macron. Ma neanche come fanno “dall'altro lato i ripetitori di slogan tanto altisonanti quanto distanti dalla complessità del reale”.
Mantovano che è stato sottosegretario agli Interni e gli è capitato di sostituire il ministro dell'interno al Consiglio dei ministri europei, il cosiddetto GAI. Conosce bene tutte le difficoltà strutturali esistenti della politica dell'UE. Intanto evidenzia, “lo scarso peso della politica nelle decisioni”, in particolare, quelle scelte politiche maturate in ciascun singolo Stato, in riguardo ai singoli popoli. Altro fattore di grossa difficoltà è che elaborare le decisioni politiche di 28 Stati, presenta grossi problemi. Un confronto politico è materialmente impossibile. Praticamente Mantovano, facendo riferimento alla sua esperienza del 2011, quando allora, ancora, gli Stati membri dell'Ue erano 15, “ogni giro di tavolo prevedeva interventi non superiori a tre minuti a testa, pur su questioni importanti e controverse”.
Il quadro diventa ancora più complicato, perché c'è in vigore“il criterio della unanimità, in virtù del quale Malta o Cipro o il Lussemburgo sono in grado di paralizzare l'intera Unione in caso di disaccordo”. In pratica in queste sedi non ci sono quasi mai le condizioni e il tempo materiale per arrivare a far emergere ed elaborare scelte politiche condivise. Il risultato è che si arriva ad approvare piattaforme predefinite nelle sedi tecniche. Alla fine per Mantovano, le scelte effettive sono operate“in larga parte dalle burocrazie europee, che hanno modalità di cooptazione, luoghi di formazione e codici culturali certamente ostili all'identità europea, non senza collegamenti stabili con le principali lobby presenti e operanti a Bruxelles, ma distanti dal sentire dei popoli”.
Sostanzialmente si ignora, quello che ha affermato Papa Francesco, sempre nella circostanza ricordata sopra: “L'Europa è una famiglia di popoli e - come ogni buona famiglia – ci sono suscettibilità differenti”. Certamente l'Europa, non è invece, “un insieme di regole da osservare[...] un prontuario di protocolli e procedure da seguire”.
Pertanto alla fine può accadere che ci si accontenti di sottoscrivere documenti generici, preparati da tecnici, che non forniscono nessuna reale soluzione ai vari problemi sollevati. Si pensi alla quantità di Consigli europei dei ministri e dei primi ministri dedicati all'immigrazione e ai risultati deludenti. A questo punto alcuni Stati, e quindi i loro popoli, si sentono posti ai margini, dell'Unione e soprattutto i loro problemi non vengono risolti. Ecco perché spuntano fuori i cosiddetti “populismi”, che non sono altro che “reazioni, talora sbagliate nel merito, quasi sempre inadeguate, all'assenza di opzioni politiche di fronte a reali emergenze quotidiane”.
Praticamente al cittadino europeo appena“gli viene concessa la possibilità di votare, a prescindere dal merito, utilizza la scheda per allontanarsi il più possibile dall'orientamento egemone che percepisce come una imposizione”. Ecco spiegato in parte il voto della Brexit, il successo mancato per poco del referendum sull'immigrazione in Ungheria, e poi quello dell'ampia vittoria del “No” al referendum costituzionale in Italia. Infine in questo senso va vista l'avanzata dei partiti che vengono qualificati “populisti”. Chi orienta il proprio voto in questa direzione, sicuramente intende mandare un segnale a un'Europa “labile di nervi” e in “crisi di identità”.
Tuttavia Mantovano lo ribadisce con forza,“la risposta non può essere la demonizzazione della reazione: deve essere l'approfondimento delle sue cause”. Pertanto, “oggi l'etichetta 'populista' viene usata come avveniva quarant'anni fa con l'etichetta 'fascista': negli anni 1970 e 1980 nella gran parte dei casi era bollato come 'fascista' non il nostalgico del Ventennio mussoliniano, bensì chiunque non fosse in linea con il Progresso”. Sempre in quel periodo, “arbitro di decidere chi fosse allineato con la Storia oppure no era sul piano politico il vertice del PCI, il Partito Comunista Italiano, sul piano culturale l'élite a esso omogenea”. Mentre  oggi chi rilascia la patente di “populismo”, sono altri soggetti, ma l'automatismo non cambia. Era un errore allora, è errore oggi.
Intanto Mantovano chiarisce cheil cosiddetto 'populismo' non è peraltro il regno dell'antipolitica; spesso é, al contrario, una domanda d'intervento della politica: posta in modo rozzo, non articolato, ma di maggiore, non di minore assunzione di responsabilità politica”. Praticamente, secondo l'autorevole magistrato pugliese, si tratta spesso di “una richiesta rivolta con rabbia alle classi dirigenti perché scelgano e non si limitino – quando va bene – alla mera gestione o all'amministrazione”.
Così come negli anni '70 e '80, la qualifica di “fascista” è stata progressivamente estesa a ogni tipo di opposizione al Progresso e ai suoi miti, “oggi si assiste a una sorta di dilatazione del riqualificato marchio d'infamia: in un primo momento erano 'populisti' i movimenti provenienti o dall'estrema destra o dall'estrema sinistra[...]”. In un secondo momento “populisti”, diventano tutti quelli che fanno riferimento al popolo per polemizzare contro le scelte antipopolari delle élite.
Praticamente ormai passa la tesi che riferirsi troppo al popolo è pericoloso. Per esempio l'ex premier britannico David William Cameron è stato costretto a dimettersi perchè ha fatto l'errore di consultare il popolo. Ha indetto un referendum che pensava di vincere, invece l'ha perso. Un destino analogo è toccato al nostro (si fa per dire) Matteo Renzi.
Mantovano sottolinea un grave errore delle nostre classi dirigenti, dell'élite europeista, questi sono convinti che“la crisi demografica del continente si affronta non riprendendo a procreare figli, e quindi sacrificandosi come famiglie ma anche contando su condizioni favorevoli in tale direzione, bensì ricorrendo all'immigrazione”. Secondo questi signori, gli immigrati potrebbero diventare “un “popolo di ricambio”, con maggiori energie fisiche, pronto a fare per noi e al nostro posto i lavori più umili, e magari anche a pagarci le pensioni con contributi che versa”. Naturalmente la realtà non è così, anche “se cantiamo le lodi del multiculturalismo, i popoli non risultano facilmente intercambiabili”.
A questo punto il servizio pubblicato dalla rivista Cristianità, continua facendo riferimento all'Italia, dove abbiamo un record: “l'indice di natalità più basso in assoluto”. Nel 2016 si sono registrati più morti che nascite. Una cosa simile non è successa neanche alla fine della Prima o della Seconda Guerra Mondiale.
L'Italia ha un altro record, l'indebitamento pubblico più elevato, pari oggi al 133 per cento del prodotto interno lordo, con conseguenze perverse, non mi chiedete altro, fatevelo spiegare dagli economisti, cosa significa. Inoltre, l'Italia ha un territorio geograficamente molto più esposto di altri sul fronte dell'immigrazione. Se non cambia qualcosa, quello che abbiamo visto finora, è solo l'inizio.
In Italia è avvenuto una specie di shopping, non dei nostri prodotti, ma delle nostre aziende.
Inoltre c'è da registrare che il peso politico dell'Italia, a livello internazionale è calato notevolmente. La svolta si è avuta nel conflitto della guerra in Libia del 2011 con la caduta del regime di Mu'ammar Gheddafi.
Inoltre per Mantovano c'è un altro rischio che l'Italia corre, oltre allo shopping da oltre-confine delle proprie aziende, c'è quello che resta della nostra rappresentanza politica, perlomeno si profila una sorta di franchising.
Infine Mantovano ritorna sulla vittoria del “No” nel referendum costituzionale. E' stata una grande vittoria popolare, visto il grande spiegamento di forze e di propaganda a sostegno del “Si”. A questo punto l'esponente di Alleanza Cattolica si domanda: “che cosa se ne fa di questa vittoria”, “Come si 'capitalizza' il successo?”. Per Mantovano occorre dire qualcosa a quei due o quattro milioni di votanti. Soprattutto a quei cattolici che si sono spesi per il “No”. “'Capitalizzare' il voto del 4 dicembre 2016 significa anzitutto dare continuità ai ragionamenti che abbiamo sviluppato durante la campagna referendaria: durante la quale le ragioni del “no” non erano all'insegna della difesa della 'Costituzione più bella del mondo'”.
Per Mantovano, ma anche il professore Massimo Gandolfini, presidente di “Difendiamo i nostri figli”, adesso bisogna passare al contrattacco,“va illustrata qual è la riforma che preferiamo: è il momento di lanciare una campagna culturale e politica in questa direzione”. E le ragioni per intervenire sulla Costituzione Italiana ce ne sono tante. Tra queste ne citiamo qualcuna quella di ribadire la difesa della vita dal concepimento fino alla morte. La definizione chiara del matrimonio tra un uomo e una donna, e della vera famiglia.
Perchè non proporre una piattaforma costituzionale per la Famiglia? Per una riforma agganciata alle esigenze reali delle famiglie italiane. E perchè non far diventare questa piattaforma un discrimine per orientare il consenso alle forze politiche che si presenteranno alle prossime elezioni? E magari proporre a ciascuna forza politica di farla propria.