Le monarchie hanno dimostrato, nel lungo corso della storia, di sapersi adattare alle esigenze dei tempi: dalle monarchie feudali a quelle nazionali, a quelle assolute, quelle costituzionali, a quelle parlamentari.
Oggi la Monarchia ha, in genere, la funzione di mediatrice fra i privati cittadini e la pubblica autorità (governo), ponendo un limite al potere partitocratico che solo nel Re trova un interlocutore al di fuori delle loro influenze.
Ora esaminiamo il pensiero del filosofo inglese Tommaso Hobbes (1588 - 1679) nel capitoletto "I diritti del sovrano" della sua opera "Leviatano", che è un pochino polverosa per i nostri tempi, ma sempre interessante da analizzare:
I diritti del Sovrano.Si dice che uno stato è istituito quando una moltitudine di uomini si accorda e pattuisce, ognuno con ogni altro, che qualunque sia l'uomo o l'assemblea di uomini cui sarà dato, dalla maggior parte, il diritto a rappresentare la persona di loro tutti (vale a dire, ad essere il loro rappresentante), ognuno, tanto chi ha votato a favore quanto chi ha votato contro, autorizzerà tutte le azioni e i giudizi di quell'uomo o di quell'assemblea di uomini, alla stessa maniera che se fossero propri, al fine di vivere in pace tra di loro e di essere protetti contro gli altri uomini.
Da questa istituzione dello stato sono derivati tutti i diritti e le facoltà di colui o di coloro ai quali è conferito il potere sovrano dal consenso del popolo riunito in assemblea.
In primo luogo, perché fanno un patto, si deve intendere che non sono obbligati da un patto precedente a fare qualcosa che abbia ripugnanza con quello presente.
Per conseguenza coloro che hanno già istituito uno stato, essendo con ciò vincolati da un patto, a riconoscere le azioni e i giudizi di uno, non possono legittimamente fare un nuovo patto fra di loro per obbedire a qualche altro, In qualunque cosa, senza II suo permesso. Perciò coloro che sono sudditi di un monarca, non possono, senza la sua licenza, liberarsi della monarchia e ritornare alla confusione di una moltitudine disunita, né trasferire la loro persona da colui che ne sostiene la parte, ad un altro uomo o ad un'altra assemblea di uomini.
Sono Infatti vincolati, ogni uomo verso ogni altro, al riconoscimento, e ad essere reputati autori di tutto ciò che colui che è già loro sovrano farà e giudicherà idoneo sla fatto; cosicché se qualcuno dissentisse, tutti gli altri Infrangerebbero II patto fatto con quell'uomo e dò è una Ingiustizia; essi hanno già dato, ognuno per parte sua, la sovranità a colui che sostiene la parte della loro persona e perciò, se lo depongono, gli tolgono quel che è suo e ciò è di nuovo una Ingiustizia.
Inoltre, se colui che tenta di deporre II suo sovrano, è da lui ucciso o punito per tale tentativo, egli è autore della propria punizione, essendo, per istituzione, autore di tutto ciò che il sovrano vorrà fare; e perché è una Ingiustizia per un uomo fare qualcosa per cui può essere punito dalla propria autorità, è Ingiusto anche a questo titolo.
Per contro, alcuni uomini hanno preteso, per disubbidire al proprio sovrano, di fare un nuovo patto, non con gli uomini, ma con Dio; anche questo è Ingiusto poiché non c'è patto con Dio, se non per la mediazione di qualcuno che rappresenti la persona di Dio ed è tale solo il luogotenente di Dio, che ha la sovranità al di sotto di Dio. Ma questa pretesa di un patto con Dio è una menzogna così evidente, anche nella coscienza di coloro che se ne fanno pretensori, che non solo è un atto di una disposizione ingiusta, ma anche vile e non da uomo.
In secondo luogo, per il fatto che il diritto di sostenere la parte della persona di loro tutti, è dato a colui che fanno sovrano solamente per il patto dell'uno con l'altro, e non di lui con qualcuno di essi, non può accadere che ci sia infrazione del patto da parte dei sovrano, e per conseguenza, nessuno dei sudditi, qualunque sia la trasgressione che s, pretenda di addurre, si può liberare dalla sua sudditanza. E' manifesto che chi è fatto sovrano non fa un patto con i suoi sudditi in antecedenza, perché o deve farlo con l'intera moltitudine come una delle parti de! patto, o deve fare diversi patti con ciascun uomo.
Con l'intera moltitudine come una delle parti, è impossibile, perché fino ad allora non sono una persona; e se fa tanti patti diversi quanti sono gli uomini, quei patti, dopo che ha avuto la sovranità, sono vani, perché qualunque atto possa pretendere di addurre qualcuno di essi per infrangere il patto, è ad un tempo l'atto di se stesso e di tutti gli altri', perché fatto nella persona e per il diritto dì ognuno di essi in particolare. Inoltre, se qualcuno o parecchi di essi pretendono che ci sia una infrazione del patto fatto dal sovrano alla sua Istituzione, e altri, o un altro dei suoi sudditi, o lui stesso solamente pretendono che non ci sia stata tale infrazione, in questo caso non c'è alcun giudice per decidere la controversia: perciò si ritorna di nuovo alla spada ed ogni uomo ricupera il diritto di proteggersi con la propria forza e ciò è contrario al disegno che avevano al tempo della istituzione.
E' una cosa vana perciò concedere la sovranità per il tramite di un patto precedente. L'opinione che qualunque monarca riceva il Suo potere per mezzo di un patto, vale a dire, a condizione, procede dal non intendere questa semplice verità, che i patti, essendo solo parole ed emissione di fiato, non hanno alcuna forza per obbligare, contenere, costringere o proteggere qualcuno se non quella che si ha dalla pubblica spada, cioè dalle mani non legate di quell'uomo o assemblea di uomini che ha la sovranità, e le cui azioni sono avallate da tutti e adempiute con la forza dì tutti, riunita in esso. Ma quando un'assemblea di uomini è fatta sovrana, nessuno immagina che un tale patto sia passato al tempo dell'istituzione, perché nessuno è così ottuso da dire, per esempio, che il popolo di Roma aveva fatto un patto con i Romani, per tenere la sovranità a tali o tali altre condizioni e che, se esse non fossero adempiute, i Romani avrebbero potuto legittimamente deporre il popolo Romano. Il fatto che gli uomini non vedano che la ragione è simile in una monarchia e in un governo popolare, procede dall'ambizione di alcuni che sono più favorevoli al governo di un'assemblea ma possono sperare di partecipare che non a quello di una monarchia di cui disperano di fruire. In terzo luogo, per il fatto che la maggioranza ha, con voci di consenso, dichiarato un sovrano, colui che dissentiva, deve allora consentire con gli altri, cioè essere contento di riconoscere tutte le azioni che farà, oppure essere, giustamente, distrutto dagli altri.
Infatti se egli è entrato volontariamente nella congregazione di coloro che si erano riuniti in assemblea, con ciò ha dichiarato in modo sufficiente il suo volere (e perciò tacitamente pattuito) di stare a ciò che avrebbe ordinato la maggioranza;perciò se rifiuta ciò, o protesta contro qualche decreto di esso, fa una cosa contraria al suo patto, e perciò ingiusta. Sia che appartenga o no alla congregazione, sia che il suo consenso sia richiesto o no, deve sottomettersi ai decreti di essa, oppure essere lasciato nella condizione di guerra in cui si trovava prima e in cui poteva essere distrutto, senza ingiustizia, da qualsiasi uomo. In quarto luogo, poiché ogni suddito è per questa istituzione, autore di tutte le azioni e di tutti i giudizi de! sovrano isti- tu ito e ne consegue che, qualunque cosa egli faccia, non può ingiù- giare alcuno dei suoi sudditi, né deve essere accusato di ingiustizia da alcuno di essi, infatti chi fa qualcosa per autorità ricevuta da un altro, non ingiuria in ciò quello per la cui autorità egli agisce; ma per questa istituzione dello stato, ogni particolare è autore di tutto ciò che il sovrano fa, e per conseguenza chi si lamenta di un'ingiuria ricevuta dai suo sovrano, si lamenta di ciò di cui Egli stesso è autore;non deve perciò accusare di ingiuria alcun altro se non se stesso, e neppure se stesso, perché arrecare ingiuria a se stessi è impossibile. E' vero che coloro che hanno il potere sovrano possono commettere iniquità, ma non ingiustizia o ingiurie in senso proprio, in quinto luogo, in conseguenza di ciò che si è detto ultimamente, nessun uomo che abbia il potere sovrano può giustamente essere mandato a morte o punito in qualsiasi altro modo dai suoi sudditi, infatti, dato che ogni suddito è autore delle azioni dei suo sovrano, egli punisce un altro per le azioni commesse da lui stesso.
E per ii fatto che il fine di questa istituzione è la pace e la difesa di tutti, e che chiunque ha diritto ai fine ha diritto ai mezzi appartiene di diritto a qualunque uomo o assemblea che abbia la sovranità di essere giudice sia dei mezzi che sono atti alla pace e alla difesa, sia degli ostacoli e dei disturbi che vi si frappongono, e di fare tutto ciò che penserà sia necessario che venga fatto, sia anticipatamente per preservare la pace e la sicurezza, prevenendo la discordia all'interno e l'ostilità all'esterno, Sia per riacquistare, quando si sono perdute, la pace e la sicurezza.
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