lunedì 14 novembre 2016

La lotta di una vita per una res publica christiana. C. F. D’Agostino

di don Samuele Cecotti

Il 12 maggio 1906 nasceva quello che meno di quarant’anni dopo sarebbe divenuto il protagonista dell’unico tentativo integralmente cattolico di ripensare il Regno d’Italia dopo la caduta del regime mussoliniano. Ricordare Carlo Francesco D’Agostino a 110 anni dalla nascita è, non solo doveroso tributo ad un grande cattolico italiano, ma anche occasione offertaci per pensare la politica secondo ragione e nella luce che ci viene da Cristo. L’avvocato D’Agostino fu un instancabile apostolo della Regalità sociale di Cristo, un tenace combattente (la buona battaglia) per la res publica christiana, tutto si votò perché si facesse storia d’Italia il motto paolino assunto da san Pio X e che il nostro periodico ha eletto a testata: Instaurare omnia in Christo!
Proprio per questo non poté essere fascista quando lo era l’Italia intera, non poté essere democristiano quando la Chiesa stessa parve esserlo, non poté che combattere l’errore liberal-democratico con lo stesso zelo con cui combatté la follia socialcomunista. Fu uomo libero, della libertà dei figli di Dio, libero proprio perché fedele a Cristo tutto intero, fu intransigentemente cattolico in un tempo nel quale la adamantina fedeltà alla Verità fu sempre meno stimata e così molte volte combatté solo (o con pochi) e una congiura del silenzio allestita a suo danno ne segnò i cinquant’anni di vita pubblica. Morì novantatreenne nella sua villa di Osnago ancora impegnato nella battaglia di sempre, fedele a Cristo Re sino all’ultimo istante di vita terrena.
L’infanzia e prima giovinezza di Carlo Francesco, pur tragicamente segnate dalla morte della madre, hanno i tratti della vita aristocratica di primo ‘900; appartenente ad una nobile e ricca famiglia napoletana da generazioni dedita al servizio dello Stato, ricevette educazione cattolica e ottima istruzione. Frequenta il Liceo Tasso di Roma completato il quale si avvia agli studi giuridici secondo tradizione di famiglia (il padre fu presidente della IV sezione del Consiglio di Stato). Si laureerà in Giurisprudenza a La Sapienza nel 1927 con una tesi critica nei riguardi del normativismo giuridico, tesi nella quale sosteneva il dovere per gli Stati di conformarsi al diritto divino.
Gli anni universitari sono momento di serio approfondimento della propria vita di fede grazie alla figura di don Massimo Massimi, futuro Cardinale, e alla Congregazione eucaristica di San Claudio fondata dal Massimi e che D’Agostino frequenta regolarmente. Nel 1927, conseguita la Laurea, si trasferisce a Milano e si avvia alla carriera forense. Nel 1930 sposa Paola Ambrosini Spinella dalla quale avrà quattro figli.
Gli anni milanesi vedono Carlo Francesco D’Agostino protagonista tra il laicato cattolico più sensibile e attivo, nell’Azione Cattolica, nel Segretariato Buona Stampa, nelle Conferenze della San Vincenzo, come giornalista al quotidiano “L’Italia”.
Ancora studente universitario aveva deplorato, come cattolico, la partecipazione del PPI al primo governo Mussolini. Da giovane giurista aveva consolidato il suo giudizio negativo circa il fascismo e la liberal-democrazia che l’aveva preceduto. Mai Carlo Francesco D’Agostino si iscrisse al PNF, neppure quando gli fu caldamente consigliato con allettamento in danaro considerevole. Nel 1939 si trasferisce con la famiglia a Roma, gli anni dal ’39 al ’43 lo vedono impegnato in un serio studio della Dottrina sociale della Chiesa ricercando nei documenti del Magistero sociale dei Papi le ragioni e i principi d’una politica autenticamente cristiana.
Il 1943 è anno capitale non solo per la storia novecentesca d’Italia ma anche per la storia personale del D’Agostino. Alla caduta di Mussolini il Nostro riconosce come proprio dovere un impegno politico per il bene del Paese. Confortato dal positivo parere del cardinale Massimi, di monsignor Sironi e del suo direttore spirituale padre Malatesta, Carlo Francesco D’Agostino si avvia ad un diretto impegno politico. Alcuni incontri con uomini dell’area popolare e della costituenda Democrazia Cristiana, tra cui anche con lo stesso De Gasperi, e la lettura di alcuni opuscoli clandestini di presentazione della DC lo convincono della impossibilità di riconoscere nella Democrazia Cristiana le ragioni della politica cattolica. Anzi D’Agostino giunge alla dolorosa convinzione che la DC sia il primo e principale nemico della vera politica cattolica perché forza coerente con i principi della Rivoluzione francese benché nominalmente “cristiana”.
Nell’autunno del 1943 nasce così il Centro Politico Italiano per iniziativa del Nostro, del generale Paolo Piella e del nobile giurista Giovanni Silvestrelli. Il CPI nasce in una Roma ancora occupata; dunque clandestinamente, come unione di laici cattolici desiderosi di contribuire alla rinascita dell’Italia, alla ricostruzione del Regno sabaudo quale res publica christiana. Le adesioni al progetto del CPI furono significative e autorevoli, l’Indirizzo programmatico fu approvato da importanti uomini di Chiesa e dal collegio dei gesuiti di Civiltà Cattolica. Pio XII impartì al CPI la propria benedizione.
Il Luogotenente generale del Regno Umberto di Savoia, una volta liberata Roma, più volte incontrò il Nostro per consultazioni e vi fu il tempo in cui l’ipotesi di un governo presieduto da D’Agostino fu seriamente considerata dal Quirinale. La storia nazionale, pesantemente condizionata dalla presenza militare anglo-americana, prese altra direzione: quella della liberal-democrazia incarnata dalla DC e dal D’Agostino combattuta.
Il CPI, sotto la guida di D’Agostino, si presentò alle elezioni del ’46 per l’Assemblea costituente. Concorse poi a diverse elezioni politiche e amministrative sino al 1967, spesso in alleanza con i monarchici o promuovendo aggregazioni di indipendenti cattolici. Elettoralmente la storia del CPI e, dunque, l’impegno politico di D’Agostino, che con il CPI si identifica, non si colloca certo tra le storie di vittoria, è piuttosto la testimonianza tenace di un impegno morale anche contro le ragioni umane del mondano successo. Carlo Francesco D’Agostino sino all’ultimo giorno della vita destinò tempo, energie e risorse economiche senza risparmio alla causa dell’Italia cattolica, al CPI, all’organo di stampa dello stesso, “L’Alleanza Italiana” e alla omonima casa editrice.
Dopo gli anni eroici della fondazione del CPI e il “rischio” occorso nel 1944 di essere nominato Presidente del Consiglio dei Ministri, il peso politico del D’Agostino si fece sempre più marginale sino alla irrilevanza. Il mondo politico così detto cattolico e la DC inflissero al Nostro la più vigliacca delle ingiurie, il silenzio, dopo averne deriso le idee.
Come si è scritto sopra, D’Agostino appena ebbe contezza del progetto politico-ideologico su cui nasceva la DC ne rilevò la natura liberal-democratica e, dunque, l’inconciliabilità con la Dottrina sociale cattolica. Sin dal ’43 D’Agostino si oppose alla soluzione democratico cristiana per la questione dell’impegno politico dei cattolici. L’opposizione del Nostro non fu per gusto o sensibilità, non fu neppure per diversa valutazione politica prudenziale in materia opinabile, fu opposizione moralmente dovuta perché motivata dalla constatazione della contraddizione esistente tra l’ideologia e il programma della DC e l’insegnamento del Magistero in materia sociopolitica. Questa opposizione alla DC, tanto risoluta quanto tale riconosciuta al punto che il Nostro si guadagnò l’appellativo di anti-De Gasperi, fu occasione per un progressivo approfondimento delle ragioni cattoliche che militano contro l’opzione liberale e democraticista. D’Agostino, nei lunghi decenni di impegno intellettuale, scrisse molto sull’errore demoliberale e dunque sull’errore democristiano analizzando non solo il partito di De Gasperi ma allargando il campo visuale ai precedenti del PPI sturziano, di Murri e, ugualmente, agli sviluppi della DC sino agli anni ’90.
La DC, e prima il PPI, assume a quadro il paradigma dello Stato liberale e della democrazia moderna concependo l’impegno cristiano in politica come intensivo rispetto ad un ideale (quello liberal-democratico) giudicato evangelico. La politica nuova nata dall’89 francese e dalla Rivoluzione americana sarebbe l’inveramento di un germe cristiano e dunque compito del cristiano in politica sarebbe proprio lo spendersi per portare a compimento la libertà liberale e la democrazia. Di fronte a simile orizzonte a D’Agostino non restò che constatarne la completa eversione da quanto insegnato dal Magistero anti-moderno dei Papi e conseguentemente opporvisi.
D’Agostino giudicò De Gasperi come un vero e proprio eresiarca, contro di lui scrisse diversi articoli e opuscoli, tra tutti il più noto reca il titolo significativo di “Perché i democristiani non sono cattolici / 1°. Perché Degasperi non fu un cattolico”, testo che contiene un lungo e dettagliato elenco di accuse contro De Gasperi tese a rilevare la natura non cattolica e non morale, anzi anti-cattolica e immorale, dell’operato politico del fondatore della DC. Nel 1946 presentò pure due denunzie al Sant’Uffizio contro gli errori di De Gasperi e della DC. A confutazione degli errori democristiani D’Agostino dedicò innumerevoli scritti a partire dal 1945 quando editò “La Democrazia Cristiana: ecco il nemico!”. Ma certamente il testo più celebre nella vasta produzione antidemocristiana del D’Agostino è il lungo saggio “L’«illusione» democristiana”, risposta del Nostro alla Lettera pastorale del Patriarca di Venezia, cardinale Giovanni Adeodato Piazza, del 1948.
L’impegno politico di D’Agostino nasce come impegno morale, come risposta ad un riconosciuto dovere verso la Patria. Ed è impegno che, proprio perché eticamente compreso (così come scienza etica è riconosciuta la politica), si pone nell’orizzonte della legittimità presupponendo un ordine di giustizia trascendente l’ordinamento positivo e tale da misurare la legge e l’agire politico. È dunque capitale per D’Agostino la questione della legittimità dello Stato (italiano), dell’ordinamento positivo, del regime di governo. In questo contesto culturale, espressione della migliore tradizione politica cattolica (della lezione magisteriale come di quella tomista capace di portare a sintesi la classicità con la novità cristiana), il Nostro colloca le proprie riflessioni sul Risorgimento, sulla Questione Romana, sul regime liberale e liberal-democratico dello Stato sabaudo, sul regime fascista, sui Patti Lateranensi, sulla Repubblica Sociale Italiana, sulla Resistenza, sul referendum istituzionale, sul nuovo regime repubblicano, sulla Costituente e sulla Costituzione.
La soluzione che D’Agostino, in diversi suoi scritti sempre in luminosa coerenza di pensiero, dà al problema della legittimità dello Stato italiano è rigorosa, strettamente conforme alla Dottrina cattolica sul tema, coraggiosa e originale a un tempo. D’Agostino fa proprio il giudizio dell’intransigentismo cattolico circa la così detta unità d’Italia, giudizio che poi è quello della Sede Apostolica (e in questo si allontana dalla tesi del Petitto), ritenendo illegittime le occupazioni piemontesi degli Stati pre-unitari, privi di alcun valore i plebisciti per l’annessione, dunque semplicemente una usurpazione a danno delle legittime dinastie. Ancor più grave la invasione dello Stato pontificio e della stessa Città Eterna perché, alle ragioni comuni che giustificano il giudizio di illegittimità, si sommano ragioni di diritto divino attinenti il Papato nel suo originario diritto all’indipendenza (anche temporale su base territoriale) da ogni altro potere.D’Agostino considera anche la valenza ideologica del Risorgimento classificandolo come vera e propria rivoluzione, come affermazione in Italia del liberalismo, dell’eredità politica del protestantesimo, di una concezione neo-pagana della nazione. E tuttavia, a questa indubbia impronta anti-cattolica dello Stato unitario, si oppone tacitamente quell’articolo 1 dello Statuto albertino che il Nostro saprà valorizzare nella polemica contro la Costituzione repubblicana. Così per il Nostro la statualità italiana, sino alla stipula dei Patti Lateranensi, deve considerarsi regime tirannico (in senso tecnico) tanto ex defectu tituli quanto ex parte exercitii. Il Regno d’Italia è realtà de facto ma non de iure, i re sabaudi sono esercenti di fatto di una giurisdizione che non gli appartiene, sono usurpatori e tiranni.
Per D’Agostino questa situazione di illegittimità dello Stato italiano sarà sanata dai Patti stipulati tra il Regno d’Italia e la Santa Sede nel 1929 con i quali il Vicario di Cristo riconosce lo Stato italiano, il Regno sabaudo si impegna formalmente a essere Stato cattolico dando piena attuazione all’articolo 1 dello Statuto, trova soluzione la Questione Romana. Per D’Agostino, dunque, il primo re legittimo d’Italia è Vittorio Emanuele III dal momento della firma dei Patti del Laterano. Resta ilvulnus delle legittime dinastie italiche pre-unitarie usurpate, D’Agostino riterrà sanata tale illegittimità pendente sul Regno d’Italia in quanto il riconoscimento concesso dalla Santa Sede vincolerebbe pure le Case regnanti cattoliche che al Papa sono soggette. Non mancherà, il Nostro, di rilevare come l’impegno assunto pattiziamente dal Regno d’Italia, e già tale statutariamente, d’essere Stato cattolico mai ebbe reale piena attuazione. Così che si può parlare d’una legittimitàvirtuale dello Stato italiano mai pienamente passata all’atto quanto all’esercizio.
Le stesse ragioni che guidano il giudizio del D’Agostino circa la legittimità dello Stato unitario italiano ne sostanziano il giudizio circa la Repubblica Sociale Italiana ritenuta statualità meramente di fatto come usurpazione (da parte del Duce) della giurisdizione propria di re Vittorio Emanuele III e regime tirannico nel suo essere fondato sull’ideologia fascista e non sulla verità cattolica.
Gli anni dal ’46 al ’48 pongono nuova e drammatica questione di legittimità che D’Agostino affronta magistralmente da par suo. Per prima cosa contesta la legittimità dei decreti luogotenenziali 151/1944 e 98/1946 con i quali il principe Umberto di Savoia stabiliva di sottoporre la giurisdizione regia alla volontà popolare. Per D’Agostino il referendumistituzionale svoltosi il 2 giugno 1946 (indetto con decreto luogotenenziale 98/1946) non fu illegale ma fu tuttavia illegittimo come illegittimi i due decreti di cui sopra. Illegittimi perché contrari al bene comune, al diritto naturale, perché la potestà regia, in quanto onore morale, non può essere legittimamente abbandonata, da chi ne sia investito, se non in casi eccezionali e unicamente trasferendo l’autorità a chi giudicato più capace nel servire al bene comune. Tanto alla emanazione dei due decreti quanto alla votazione referendaria il regime che avrebbe, in ipotesi, preso il posto della monarchia sabauda era indeterminato; dunque era semplicemente impossibile per Umberto acconsentire alla cessione della regalità. Inoltre, in quanto implicanti la sovranità popolare, decreti e relativo referendum contrastano direttamente con il diritto naturale e la Dottrina cattolica sulla potestà politica.
L’esito poi del referendum, pesantemente viziato da brogli e contestato, non fu mai riconosciuto da Umberto II. Prima che la Suprema Corte di Cassazione si esprimesse sull’esito del voto, il Consiglio dei Ministri del Regno, presieduto da De Gasperi, sollevò il re dalle sue funzioni e attribuì a De Gasperi le funzioni di Capo dello Stato ad interim. Si trattò d’un vero e proprio colpo di Statooperato contro la stessa legalità fissata dal diritto vigente e, in particolare, dai decreti di cui sopra.Così se il referendum fu legale ma illegittimo, la deposizione di re Umberto II fu anche illegale oltre che illegittima e così la giudicò con nettezza il Nostro parlando sempre di colpo di Stato degasperiano del 1946. Coerentemente D’Agostino non smise mai di considerare l’Italia come il Regno di Umberto II, re esiliato e impossibilitato a esercitare la sua legittima potestà ma pur sempre il vero Capo di Stato dell’Italia. Il regime nato con il colpo di Stato degasperiano fu da D’Agostino considerato regime usurpatizio, illegittimo. Le autorità della Repubblica sono, per il Nostro, autorità solo de facto e solo in ragione della impossibilità all’esercizio della potestà regia nella quale si trova l’autorità legittima.
D’Agostino, secondo la migliore scuola classico-cristiana di diritto pubblico, riconosce che un regime illegittimo nato dall’usurpazione possa conseguire nel tempo la propria legittimità, condicio sine qua non di tale legittimazione storica è la conformità del regime de facto al diritto naturale e divino quanto all’esercizio. La legittimità d’esercizio, a certe altre date condizioni, nel lungo tempo fa legittimo il regime nato tirannico ex defectu tituli. Per D’Agostino si sarebbe potuto verificare anche relativamente all’illegittima Repubblica Italiana se si fosse costituita come vera comunità politica cristiana ordinata secondo il diritto naturale e divino. Ecco allora l’importanza che D’Agostino riconosce (in negativo) alla Costituzione del ’48 che segna il passaggio da un regime d’usurpazione potenzialmente legittimabile ad un regime, quello repubblicano sancito dalla Carta Costituzionale, non solo illegittimo ma anche in se stesso non legittimabile perché fondato su principi contrari alla legge naturale e alla Dottrina cattolica.
Sono molti gli scritti nei quali D’Agostino affronta criticamente il problema della Costituzione repubblicana e ne analizza il contenuto alla luce del diritto naturale e del Magistero sociale della Chiesa. D’Agostino è il solo, nei primi anni del secondo dopo guerra, a denunciare la Costituzione repubblicana come contraria alla Dottrina sociale della Chiesa, come formale instaurazione dello Stato moderno in Italia. Il Nostro svolge una dettagliata analisi critica del testo costituzionale esaminandolo, ad esempio nel suo “L’«illusione» democristiana”, articolo per articolo esmascherandone l’impostura dove la dirigenza democristiana ne tesseva gli elogi come di Legge fondamentale cristianissima. D’Agostino ne segnala, invece, la natura atea, l’ideologia liberale che la nutre, lo statalismo che nega in radice la vera sussidiarietà e i corpi intermedi nel loro naturale diritto, l’usurpazione del sacrosanto diritto/dovere della famiglia e della Chiesa all’educazione, l’attentato al matrimonio come patto di diritto naturale (per i battezzati Sacramento soggetto unicamente all’ordinamento canonico) rimesso, invece, alla potestà dello Stato, la messa nel nulla del Concordato violato per via costituzionale (altro che la costituzionalizzazione dei Patti lateranensi propagandata dalla DC!). L’analisi di D’Agostino è finissima e rileva proprio come l’articolo 7, mentre riconosce i Patti lateranensi, con ciò stesso li subordina al volere sovrano dello Stato e ne pone così le premesse di nullità
Il Nostro non manca poi di rilevare come già nel testo della Costituzione diversi articoli siano in aperta violazione dei Patti. La Repubblica italiana si auto-comprende come laica (nel senso moderno) ovvero atea, come sovrana (ovvero negatrice di un ordine di giustizia superiore l’ordinamento positivo), come relativista. Lo studio confutatorio del D’Agostino prosegue esaminando gli articoli che trattano della educazione, del lavoro, della proprietà, del sistema politico repubblicano e in tutti sottolinea con acume la tara ideologica riconducibile al paradigma liberal-democratico del costituzionalismo contemporaneo.
A partire dal 1943 D’Agostino viene elaborando un proprio pensiero economico-sociale che sia traduzione della grande lezione della Dottrina sociale dei Papi, in particolare di Leone XIII e Pio XI. Nel 1945 il Nostro pubblica il suo primo scritto in materia economica proponendo quello che diverrà il modello socio-economico di tutta la sua lunga vita pubblica: l’associazionismo aziendale. D’Agostino imposta il problema volutamente in modo classico concependo l’economia come parte della scienza etica e dunque la giustizia quale criterio direttivo di ogni agire economico. È così negata in radice l’idea tanto liberale di una economia intesa sul modello delle scienze fisiche quanto l’idea marxista di una economia deterministicamente compresa come struttura nel quadro del materialismo storico-dialettico. L’economia è invece ambito etico che, come tale, presuppone la libertà dei soggetti agenti come condizione di possibilità, la giustizia quale criterio e il bene quale fine. Ecco allora che la vita economica dovrà darsi sempre secondo giustizia.
Date queste premesse, D’Agostino esamina il diritto societario, la struttura giuridica stessa delle imprese economiche, le relazioni giuridiche tra portatori di capitale e lavoratori. Nasce così il modello associazionista come riconoscimento, secondo giustizia, dell’inseparabile apporto del capitale e del lavoro nella costituzione e nella vita dell’impresa economica. Con Pio XI il Nostro afferma la natura consortile dell’impresa economica, consorzio di capitale e lavoro. Dal che il comune diritto, di capitalisti e lavoratori (del braccio e della mente), alla comproprietà dell’azienda, alla cogestione, al riparto degli utili, alla assunzione del rischio d’impresa. La dottrina dell’associazionismo aziendale viene precisata e proposta compiutamente nel 1953 con il volume “Associazionismo aziendale: soluzione dei rapporti tra Capitale e Lavoro in armonia con gli Insegnamenti Pontifici” dove D’Agostino presenta nel dettaglio la sua proposta precisandone le modalità concrete di traduzione in sede di diritto societario.
Secondo il modello associazionista, D’Agostino concepì e realizzò pure la Casa Editrice “L’Alleanza Italiana”- S.C.E.L.A.I., società editoriale che diresse sino alla morte. D’Agostino non si limita a proporre un particolare modello di diritto societario, piuttosto intende affrontare la questione socioeconomica con le categorie etiche classico-cristiane ripensando quel dato ordine della vita in società secondo giustizia. Così le critiche al liberal-capitalismo, alla social-democrazia, alla lotta di classe, allo Stato-Provvidenza, al fiscalismo esoso, al Welfare State, etc. sono concepite dal Nostro come denuncia di ciò che viola la giustizia, di ciò che usurpa i diritti naturali di lavoratori, proprietari, famiglie, corpi intermedi, etc. È sempre la giustizia (classicamente intesa) a guidare la riflessione, la critica, la proposta del Nostro.
D’Agostino così concepisce un quadro unitario di vita socio-economica dove la libertà d’impresa è massima per quanti intendano affrontare il rischio del lavoro in proprio come artigiani o commercianti, la proprietà privata è garantita, riconosciuta come diritto naturale, le imprese economiche con personalità giuridica sono ricondotte al modello associazionista così che vi sia comune partecipazione al rischio d’impresa per portatori di capitale e lavoratori. Il risparmio privato e la piccola proprietà immobiliare non solo sono tutelate ma favorite. L’ambitoprevidenziale e assistenziale è ricondotto all’ambito civile, a competenza delle libere aggregazioni sociali della società civile, ai corpi intermedi. La pretesa fiscale è limitata al necessario per garantire l’adempimento dei compiti propri dello Stato fissati dal D’Agostino in pochi e dettagliati punti definiti all’art. 5 del Progetto di Nuova Carta Costituzionale. L’attività economica è riconosciuta come di esclusivo ambito privato. La tutela della stabilità monetaria, del sistema bancario e il rifiuto dell’indebitamento pubblico sono per D’Agostino pilastri di ogni sana politica economica. Questo modello socio-economico, che D’Agostino chiamerà di libera economia associata, fu la proposta costantemente avanzata dal C.P.I. e dal Nostro personalmente.
Tanto la rivendicata fedeltà al principio confessionale dell’articolo 1 dello Statuto albertino e dei Patti lateranensi, quanto la proposta di libera economia associata sono comprese dal D’Agostino nel quadro complessivo d’una res publica intesa classicamente come non separabile dalla virtù di religione. Per D’Agostino solo una comunità politica conforme al diritto naturale e divino, che adempie ai propri doveri verso Dio, doveri anche di culto, è realtà politica legittima. Il Nostro concepisce dunque l’Italia come res publica christiana, come regno cattolico nella Chiesa universale. Per D’Agostino, secondo l’insegnamento del Magistero e la migliore tradizione politica cattolica, comunità politica e Chiesa sono realtà distinte ma non separate così come la potestà regale e l’autorità ecclesiastica. L’ideale da perseguire è quella comune concordia tra il Sacerdozio e l’impero di cui parla Leone XIII nell’Immortale Dei e che trova nella regalità sociale di Cristo il punto d’unità sì che Chiesa e res publica sono ambedue soggette a Cristo e non si dà ordine temporale che non sia armonicamente gerarchizzato con l’ordine spirituale data l’unità della persona umana, dell’ordine di Provvidenza dato e dell’unica signoria di Cristo.
D’Agostino sviluppa le sue riflessioni conformemente alle conclusioni raggiunte dal diritto pubblico ecclesiastico circa la potestas in temporalibus del Papa, così il Progetto di Nuova Carta Costituzionale elaborato dal Nostro si apre affermando che “Lo Stato Italiano riconosce l’autorità dei Romani Pontefici e ne esegue le sentenze”. Lo Stato, per essere legittimo, deve darsi sempre conformemente al diritto naturale e divino, suprema Cattedra del diritto naturale e divino non può essere che la Cattedra di Pietro, ragion per cui le sentenze del Romano Pontefice devono valere come norma nello Stato. Come si vede la res publica concepita dal D’Agostino non è lo Stato confessionale moderno, è piuttosto una organica comunità politica informata dalla Verità di Cristo. Ogni aspetto della vita politica e sociale è organicamente integrato e cristianamente dato.
Il Progetto di Nuova Carta Costituzionale e tutta la vasta produzione pubblicistica del Nostro testimoniano questo costante impegno per la organica conformazione a Cristo della comunità politica e della società tutta. Ne segue il rifiuto del principio di sovranità e, con esso, di quella sua particolare declinazione che è la democrazia modernamente intesa, del giuspositivismo e dell’idea liberale del diritto (compreso il personalismo così detto cattolico, in verità versione radicale dell’ideologia liberale). […]

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