di Domenico Bonvegna
Che cosa deve preoccupare maggiormente gli europei oggi: la “Brexit”,
l'elezione di Donald Trump, la crisi dei migranti, le posizioni della Russia di
Putin, il terrorismo jihadista? Era una domanda che il Corriere della Sera,
qualche mese fa, aveva posto in una intervista a Federica Mogherini,
alto rappresentante dell'Unione Europea (UE). la Mogherini, una delle cariche
più significative della Commissione Europea, ha risposto con estrema chiarezza,
il problema maggiore dell'Europa è, “La mancanza di fiducia in noi
stessi”. L'esponente politico
evidenziava che i rappresentanti politici internazionali, nonostante
tutto gli hanno sempre sottolineato la grande forza, la salute e la potenza
dell'Europa. Cosa che purtroppo noi europei, ancora non riusciamo a cogliere.“Siamo
labili di nervi”, e soffriamo di “una vera crisi di identità, di
mancanza di consapevolezza”. Pertanto secondo la Mogherini, “Se
non conosci la tua forza, rischi di non usarla e ciò potrebbe alla lunga minare
le basi della nostra potenza”.
Parole forti che sembrerebbero pronunciate da quei politici euroscettici
come Farage, Wilders, Orban o Le Pen. Per Alfredo Mantovano, la risposta della
Mogherini,“è una diagnosi drammaticamente vera: perché è vero che l'Europa
ha al proprio interno ricchezze di ogni tipo, finanziarie, economiche e
culturali, e potenzialità come nessun altro continente al mondo”.(Alfredo
Mantovano, “Europa: vincere la crisi di identità”, in Cristianità, n. 384,marzo-aprile
2017)
Evidentemente però se sei “labile di nervi” e vivi “una vera crisi di
identità, di mancanza di consapevolezza”, di questa ricchezza non sai cosa
fartene.
Pertanto i sintomi e gli effetti di questa crisi di nervi e
di identità sono che l'Europa non è in grado di adottare politiche più adeguate
per affrontare e combattere il terrorismo, vive alla giornata, e di fronte ai
numerosi attacchi subiti sul proprio territorio li vive come una rassegnata routine.
L'Europa,“va in paranoia”, quando la Turchia fa uscire il 15 per
cento dei profughi che tratteneva sul proprio territorio. Scrive Mantovano:“E
tu, colosso con più di mezzo miliardo di abitanti […] entri in crisi per appena
350.000 migranti, che non riesci poi neanche a ripartire in modo proporzionato
sul tuo territorio. Quando il piccolo Libano, con circa quattro milioni e mezzo
di abitanti, ha accolto negli ultimi cinque anni oltre un milione di profughi”.
Altra questione grave è che il nostro continente non mette al mondo
più figli, quindi non ha futuro. Praticamente sta attraversando la più
grande crisi demografica della sua storia, infatti,“Prima ancora che per il
terrorismo, per i migranti, per la volatilità dei mercati finanziari, la crisi
dell'Europa è demografica, con tratti particolarmente preoccupanti per Stati
come l'Italia”.
Papa Francesco in occasione dei Trattati di Roma, il 24 marzo scorso,
ricordava ai capi di governo dell'UE, che compete a loro,“discernere le
strade della speranza”. Tuttavia secondo Mantovano l'Europa su queste ed altre
voci produce soltanto interventi contraddittori, come le critiche nei confronti
della politica del neo-presidente americano Donald Trump, sulla questione
immigrazione, che poi sono identiche a quelle adottate da Obama.
La diagnosi della crisi strutturale dell'Europa non basta, per Mantovano
occorre, capire perchè siamo giunti a questo punto e soprattutto bisogna
tentare di studiare quali sono le possibili vie d'uscita. Chiunque voglia
salvare l'Europa, non può interrogarsi su questo. Non è interesse solo dei
cattolici, anche se a noi dovrebbe interessare maggiormente, visto che il
subcontinente europeo non sarebbe diventato così ricco senza il cristianesimo.
Del resto sono decenni che la Chiesa con il suo Magistero,
attraverso documenti chiari e illuminanti, ci spiega le ragioni della crisi
dell'Europa.
“Come uscirne?”, si chiede Mantovano. Certamente non ci si
può accontentare“di assistere alla sterile dialettica che vede contrapposti
da un lato i difensori 'a prescindere' dei trattati comunitari e della
loro applicazione”, come fa Emmanuel Macron. Ma neanche come fanno “dall'altro
lato i ripetitori di slogan tanto altisonanti quanto distanti dalla complessità
del reale”.
Mantovano che è stato sottosegretario agli Interni e gli è capitato di
sostituire il ministro dell'interno al Consiglio dei ministri europei, il
cosiddetto GAI. Conosce bene tutte le difficoltà strutturali esistenti della
politica dell'UE. Intanto evidenzia, “lo scarso peso della politica nelle
decisioni”, in particolare, quelle scelte politiche maturate in ciascun
singolo Stato, in riguardo ai singoli popoli. Altro fattore di grossa
difficoltà è che elaborare le decisioni politiche di 28 Stati, presenta grossi
problemi. Un confronto politico è materialmente impossibile. Praticamente Mantovano,
facendo riferimento alla sua esperienza del 2011, quando allora, ancora, gli
Stati membri dell'Ue erano 15, “ogni giro di tavolo prevedeva interventi
non superiori a tre minuti a testa, pur su questioni importanti e controverse”.
Il quadro diventa ancora più complicato, perché c'è in vigore“il
criterio della unanimità, in virtù del quale Malta o Cipro o il Lussemburgo
sono in grado di paralizzare l'intera Unione in caso di disaccordo”. In
pratica in queste sedi non ci sono quasi mai le condizioni e il tempo materiale
per arrivare a far emergere ed elaborare scelte politiche condivise. Il
risultato è che si arriva ad approvare piattaforme predefinite nelle sedi
tecniche. Alla fine per Mantovano, le scelte effettive sono operate“in larga
parte dalle burocrazie europee, che hanno modalità di cooptazione, luoghi di
formazione e codici culturali certamente ostili all'identità europea, non senza
collegamenti stabili con le principali lobby presenti e operanti a Bruxelles,
ma distanti dal sentire dei popoli”.
Sostanzialmente si ignora, quello che ha affermato Papa Francesco, sempre
nella circostanza ricordata sopra: “L'Europa è una famiglia di popoli e -
come ogni buona famiglia – ci sono suscettibilità differenti”. Certamente
l'Europa, non è invece, “un insieme di regole da osservare[...] un
prontuario di protocolli e procedure da seguire”.
Pertanto alla fine può accadere che ci si accontenti di sottoscrivere
documenti generici, preparati da tecnici, che non forniscono nessuna reale
soluzione ai vari problemi sollevati. Si pensi alla quantità di Consigli
europei dei ministri e dei primi ministri dedicati all'immigrazione e ai
risultati deludenti. A questo punto alcuni Stati, e quindi i loro popoli, si
sentono posti ai margini, dell'Unione e soprattutto i loro problemi non vengono
risolti. Ecco perché spuntano fuori i cosiddetti “populismi”, che
non sono altro che “reazioni, talora sbagliate nel merito, quasi sempre
inadeguate, all'assenza di opzioni politiche di fronte a reali emergenze
quotidiane”.
Praticamente al cittadino europeo appena“gli viene concessa la
possibilità di votare, a prescindere dal merito, utilizza la scheda per
allontanarsi il più possibile dall'orientamento egemone che percepisce come una
imposizione”. Ecco spiegato in parte il voto della Brexit, il successo
mancato per poco del referendum sull'immigrazione in Ungheria, e poi quello
dell'ampia vittoria del “No” al referendum costituzionale in Italia. Infine in
questo senso va vista l'avanzata dei partiti che vengono qualificati “populisti”.
Chi orienta il proprio voto in questa direzione, sicuramente intende mandare un
segnale a un'Europa “labile di nervi” e in “crisi di identità”.
Tuttavia Mantovano lo ribadisce con forza,“la risposta non può
essere la demonizzazione della reazione: deve essere l'approfondimento delle
sue cause”. Pertanto, “oggi l'etichetta 'populista' viene usata come
avveniva quarant'anni fa con l'etichetta 'fascista': negli anni 1970 e 1980
nella gran parte dei casi era bollato come 'fascista' non il nostalgico del
Ventennio mussoliniano, bensì chiunque non fosse in linea con il Progresso”.
Sempre in quel periodo, “arbitro di decidere chi fosse allineato con la
Storia oppure no era sul piano politico il vertice del PCI, il Partito
Comunista Italiano, sul piano culturale l'élite a esso omogenea”.
Mentre oggi chi rilascia la patente di
“populismo”, sono altri soggetti, ma l'automatismo non cambia. Era un
errore allora, è errore oggi.
Intanto Mantovano chiarisce che“il cosiddetto 'populismo' non è
peraltro il regno dell'antipolitica; spesso é, al contrario, una domanda
d'intervento della politica: posta in modo rozzo, non articolato, ma di
maggiore, non di minore assunzione di responsabilità politica”.
Praticamente, secondo l'autorevole magistrato pugliese, si tratta spesso di “una
richiesta rivolta con rabbia alle classi dirigenti perché scelgano e non si
limitino – quando va bene – alla mera gestione o all'amministrazione”.
Così come negli anni '70 e '80, la qualifica di “fascista”
è stata progressivamente estesa a ogni tipo di opposizione al Progresso e ai
suoi miti, “oggi si assiste a una sorta di dilatazione del riqualificato
marchio d'infamia: in un primo momento erano 'populisti' i movimenti
provenienti o dall'estrema destra o dall'estrema sinistra[...]”. In un
secondo momento “populisti”, diventano tutti quelli che fanno
riferimento al popolo per polemizzare contro le scelte antipopolari delle
élite.
Praticamente ormai passa la tesi che riferirsi troppo al popolo è
pericoloso. Per esempio l'ex premier britannico David William Cameron è stato
costretto a dimettersi perchè ha fatto l'errore di consultare il popolo. Ha
indetto un referendum che pensava di vincere, invece l'ha perso. Un destino
analogo è toccato al nostro (si fa per dire) Matteo Renzi.
Mantovano sottolinea un grave errore delle nostre classi dirigenti,
dell'élite europeista, questi sono convinti che“la crisi demografica del
continente si affronta non riprendendo a procreare figli, e quindi
sacrificandosi come famiglie ma anche contando su condizioni favorevoli in tale
direzione, bensì ricorrendo all'immigrazione”. Secondo questi signori,
gli immigrati potrebbero diventare “un “popolo di ricambio”, con
maggiori energie fisiche, pronto a fare per noi e al nostro posto i lavori più
umili, e magari anche a pagarci le pensioni con contributi che versa”.
Naturalmente la realtà non è così, anche “se cantiamo le lodi del
multiculturalismo, i popoli non risultano facilmente intercambiabili”.
A questo punto il servizio pubblicato dalla rivista Cristianità, continua
facendo riferimento all'Italia, dove abbiamo un record: “l'indice di
natalità più basso in assoluto”. Nel 2016 si sono registrati più morti
che nascite. Una cosa simile non è successa neanche alla fine della Prima o
della Seconda Guerra Mondiale.
L'Italia ha un altro record, l'indebitamento pubblico più elevato,
pari oggi al 133 per cento del prodotto interno lordo, con conseguenze
perverse, non mi chiedete altro, fatevelo spiegare dagli economisti, cosa
significa. Inoltre, l'Italia ha un territorio geograficamente molto più esposto
di altri sul fronte dell'immigrazione. Se non cambia qualcosa, quello che
abbiamo visto finora, è solo l'inizio.
In Italia è avvenuto una specie di shopping, non dei nostri
prodotti, ma delle nostre aziende.
Inoltre c'è da registrare che il peso politico dell'Italia, a livello
internazionale è calato notevolmente. La svolta si è avuta nel conflitto della
guerra in Libia del 2011 con la caduta del regime di Mu'ammar Gheddafi.
Inoltre per Mantovano c'è un altro rischio che l'Italia corre, oltre allo
shopping da oltre-confine delle proprie aziende, c'è quello che resta della
nostra rappresentanza politica, perlomeno si profila una sorta di
franchising.
Infine Mantovano ritorna sulla vittoria del “No” nel referendum
costituzionale. E' stata una grande vittoria popolare, visto il grande
spiegamento di forze e di propaganda a sostegno del “Si”. A questo punto
l'esponente di Alleanza Cattolica si domanda: “che cosa se ne fa di
questa vittoria”, “Come si 'capitalizza' il successo?”.
Per Mantovano occorre dire qualcosa a quei due o quattro milioni di votanti.
Soprattutto a quei cattolici che si sono spesi per il “No”. “'Capitalizzare'
il voto del 4 dicembre 2016 significa anzitutto dare continuità ai ragionamenti
che abbiamo sviluppato durante la campagna referendaria: durante la quale le
ragioni del “no” non erano all'insegna della difesa della 'Costituzione più
bella del mondo'”.
Per Mantovano, ma anche il professore Massimo Gandolfini, presidente di “Difendiamo
i nostri figli”, adesso bisogna passare al contrattacco,“va
illustrata qual è la riforma che preferiamo: è il momento di lanciare una
campagna culturale e politica in questa direzione”. E le ragioni per
intervenire sulla Costituzione Italiana ce ne sono tante. Tra queste ne citiamo
qualcuna quella di ribadire la difesa della vita dal concepimento fino alla
morte. La definizione chiara del matrimonio tra un uomo e una donna, e della
vera famiglia.
Perchè non proporre una piattaforma costituzionale per la Famiglia?
Per una riforma agganciata alle esigenze reali delle famiglie italiane. E
perchè non far diventare questa piattaforma un discrimine per orientare il
consenso alle forze politiche che si presenteranno alle prossime elezioni? E
magari proporre a ciascuna forza politica di farla propria.
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