venerdì 17 luglio 2015

La nobiltà secondo Marco Vannini

“Chi è degno di grandi cose, è uomo nobile”, scrive Aristotele[1].
Dovendo parlare di dignità, è bene parlarne per così dire nel suo grado più alto, nella persuasione, come dice Platone nella Repubblica, che le cose si vedano meglio quando sono più grandi[2], e che da esse sia poi più facile comprenderne anche il grado più piccolo. Ho scelto perciò il termine nobiltà, nel suo senso morale, spirituale, che è quello appunto che Aristotele indica col terminemegalopsichìa (alla lettera: anima grande, reso in latino e poi in italiano con magnanimità).
Nobiltà è una parola ormai desueta, perché il nostro mondo è pervaso dal mito dell’uguaglianza. Ormai persuaso che la democrazia sia un valore assoluto – peraltro senza averci pensato, e senza sapere che si tratta in realtà della forma di governo peggiore di tutte le altre, ad eccezione della tirannide (noi diremmo la dittatura) e che il totalitarismo democratico[3] è la forma peggiore di totalitarismo, nel quale il cittadino è ridotto a una marionetta nelle mani dei veri poteri, che sono quelli forti ma occulti dei detentori dei media – considera cosa riprovevole la aristocrazia. E, non a caso, insieme a nobiltà è pressoché scomparsa la parola virtù, che ha nella sua origine greca (aretè) la radice stessa di eccellenza, nobiltà (aristeia).

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