mercoledì 6 settembre 2017

La regalità sacra insita nell’uomo di tutti i tempi

di Pier Felice degli Uberti

Quest’istituto socio-religioso presenta elementi fondamentali comuni presso tutti i popoli della terra, affondando le sue radici in remoti spazi e tempi anche distanti fra di loro, connotati da caratteristiche ricorrenti in tutte le epoche e latitudini, sia che si parli delle civiltà protostoriche del Vicino Oriente, che dell’Egitto faraonico, oppure di alcune zone dell’Etiopia o dell’Africa orientale, sudorientale, centrale ed occidentale, ma anche del Perù, del Messico precolombiano, delle isole della Società, di Tonga e delle Hawaii. La regalità è stata sempre incentrata sulla figura del re sacro, del re divino, che viene considerato tale in quanto figlio della divinità e suo rappresentante sulla terra; ma altre volte è visto come solo un eroe divinizzato, un individuo prescelto per volere divino dopo il superamento di prove di ordine magico o solo per aver goduto del favore divino.
La regalità sacra ha quindi una duplice interpretazione: in chiave magica in quanto il re è detentore di poteri extraumani[1]; oppure in una semplice chiave simbolica dove il re è il rappresentante del gruppo umano sul piano sacrale o sul territorio a lui soggetto. Dobbiamo rilevare che entrambe le chiavi di lettura coincidono se si considera quale “soggetto” il re sacro, che così permette l’attivazione della realtà, sottraendo la logica ad elementi extra-umani, rendendola passibile di semplici interventi umani, facendo però possibile l’intervento di un solo uomo, il re, liberando gli esseri umani dalle responsabilità e dalle angosce del diventare storico. Questo esempio lo ha vissuto il popolo giapponese con la cosiddetta Dichiarazione della natura umana dell’imperatore, un controverso rescritto imperiale promulgato il 1º gennaio 1946 dall’imperatore del Giappone Hirohito a seguito di un’interrogazione formale del comandante supremo delle forze alleate Douglas MacArthur. Sulla base di una delle interpretazioni, in questa dichiarazione l’imperatore avrebbe rigettato l’idea secondo la quale egli sarebbe l’incarnazione vivente di un dio. La leggenda che accompagna la nascita dello stato giapponese vuole che il capostipite della dinastia imperiale, il primo sovrano Jinmu, fosse un pronipote della Grande Dea del Sole Amaterasu, letteralmente “Grande dea che splende nei cieli”). In base a questa tradizione, i sovrani giapponesi sono sempre stati considerati discendenti diretti degli dei. La dichiarazione rese possibile la promulgazione della Costituzione del Giappone, secondo la quale l’imperatore è «il simbolo dello Stato e dell’unità del popolo». Proprio per questo la regalità sacra è connessa con la formazione di Stati a struttura centralizzata, tesi alla propria espansione con mezzi militari, in cui la guerra veniva spesso motivata quale affermazione della divinità nazionale, alla quale non di rado si offrivano sacrifici umani di prigionieri (per esempio come succedeva nel Messico). Il rituale per l’elezione al trono era assai complesso e il re riceveva un nuovo nome, speciali insegne e nuove vesti; il re-sacro parlava sempre tramite un funzionario a ciò preposto, detto “bocca del re”. Il re ed il di lui “sangue reale” quale tutore divino della prosperità del Paese e responsabile dei successi militari, non poteva essere contaminato, ed è così che si giunge al matrimonio con una sorella, naturale o classificatoria, la sola che avrebbe potuto diventare regina. La sorella-regina, sia durante la vita del re, sia dopo la sua morte (divenendo regina-madre), aveva potere assoluto su tutte le donne e una certa autorità nella casa del monarca; inoltre poteva svolgere la funzione di consigliere del re e spesso, alla sua morte, assumeva la reggenza fino alla elezione del nuovo monarca. Il sangue reale non poteva essere sparso come accadeva in Africa, quando sconfitte militari, carestie o gravi calamità colpivano il Paese e il re-sacro veniva ucciso per allontanare la “maledizione divina”. Ciò si eseguiva solo per avvelenamento o strangolamento; così alla morte del monarca tutte le sue concubine (raramente la moglie-regina), i funzionari, i servi e gli schiavi venivano sepolti vivi con lui, ma tale usanza di norma si limitava al sacrificio di qualche schiavo e di alcuni prigionieri; la morte naturale o provocata del re poteva essere comunicata solo dopo un certo periodo rituale e veniva annunciata con perifrasi. Tali caratteristiche vennero elaborate dai vari popoli in modi diversi e in pratica solo in alcuni casi (Egitto, Cina, Messico, Perú) il re-sacro aveva poteri assoluti; più spesso capi locali, consiglieri, funzionari agivano in modo autonomo pur rispettandone la figura simbolica.
Nella nostra civiltà occidentale la regalità è identificata con il re, che nella gerarchia dei titoli nobiliari può essere un grado inferiore solo a quello di imperatore. È la titolatura distintiva dei sovrani, eccetto che a quelli di piccoli stati (che generalmente sono detti principi, granduchi, duchi ecc.). Solo in alcuni casi ha comportato un’effettiva subordinazione all’imperatore. Molte monarchie europee infatti hanno origine con la diretta investitura dell’imperatore nell’alto medioevo, anche se spesso si trattò solo di un atto formale e generico di qualche sovrano (Ungheria, Polonia, Boemia, Danimarca, Francia, Inghilterra) o con il riconoscimento del regno di Prussia e del regno di Sardegna. Nell’ambito dell’Europa latina fra il 1250 ed il 1700 i regni furono relativamente pochi: Scozia, Irlanda, Inghilterra, Francia, Navarra, Portogallo, Castiglia, León, Aragona (questi ultimi tre unificati nel regno di Spagna), Norvegia, Svezia, Danimarca, Germania, Arles o Gallia, Italia (questi ultimi tre spettanti al Sacro Romano Imperatore), Napoli, Sardegna, Sicilia, Polonia, Ungheria. Una particolarità era costituita dal regno di Boemia, che era diventato un feudo del regno di Germania, ma aveva potuto mantenere il proprio titolo: si trattò di un’evidente eccezione. Alcuni altri regni erano esistiti nel Medioevo. Nel 1701 la Prussia fu elevata a regno. Napoleone elevò a regni la Sassonia, la Baviera ed il Württemberg. Inoltre creò tre regni di breve durata: Etruria, Vestfalia e Olanda. Il Congresso di Vienna elevò a regni lo Hannover ed i Paesi Bassi. Nel 1830 e nel 1832 rispettivamente divennero indipendenti i regni del Belgio e di Grecia. Nel 1861 fu creato il Regno d’Italia. Infine entro la Prima guerra mondiale divennero regni anche la Romania, la Serbia (poi Jugoslavia), la Bulgaria ed il Montenegro. Fra il 1928 ed il 1943 anche l’Albania fu un regno.
Nella nostra tradizione cattolica la regalità è rappresentata dalla figura di Cristo Re, ed è l’affermazione del primato universale, spirituale ma in alcuni momenti anche temporale, di Cristo nella vita sociale e individuale (proclamato ufficialmente dalla Chiesa con l’enciclica Quas primas di Pio XI proclamata l’11 dicembre 1925). Nell’enciclica si spiega che il regno di Cristo è principalmente spirituale, e Gesù stesso l’ha detto più volte, in particolare davanti a Pilato (Gv 18,36); tuttavia Cristo ha ricevuto dal Padre il dominio su tutte le cose: «… D’altra parte sbaglierebbe gravemente chi togliesse a Cristo Uomo il potere su tutte le cose temporali, dato che Egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create, in modo che tutto soggiaccia al suo arbitrio. Tuttavia, finché fu sulla terra si astenne completamente dall’esercitare tale potere, e come una volta disprezzò il possesso e la cura delle cose umane, così permise e permette che i possessori debitamente se ne servano…». Ricordando poi quanto egli stesso aveva scritto in una sua precedente enciclica, continua: «…Noi scrivemmo circa il venir meno del principio di autorità e del rispetto alla pubblica potestà: “Allontanato, infatti - così lamentavamo - Gesù Cristo dalle leggi e dalla società, l’autorità appare senz’altro come derivata non da Dio ma dagli uomini, in maniera che anche il fondamento della medesima vacilla: tolta la causa prima, non v’è ragione per cui uno debba comandare e l’altro obbedire. Dal che è derivato un generale turbamento della società, la quale non poggia più sui suoi cardini naturali”…». Infine conclude: «…È necessario, dunque, che Egli regni nella mente dell’uomo, la quale con perfetta sottomissione, deve prestare fermo e costante assenso alle verità rivelate e alla dottrina di Cristo; che regni nella volontà, la quale deve obbedire alle leggi e ai precetti divini; che regni nel cuore, il quale meno apprezzando gli affetti naturali, deve amare Dio più d’ogni cosa e a Lui solo stare unito; che regni nel corpo e nelle membra, che, come strumenti, o al dire dell’Apostolo Paolo, come “armi di giustizia” (Rm 6,13) offerte a Dio, devono servire all’interna santità delle anime. Se coteste cose saranno proposte alla considerazione dei fedeli, essi più facilmente saranno spinti verso la perfezione…». “Quaggiù gli artisti conferiscono ai loro strumenti la forma idonea all’uso al quale questi ultimi sono destinati. Non diversamente il migliore degli artisti forgia la nostra natura in maniera da renderla adatta all’esercizio della regalità. Attraverso la superiorità emanata dall’anima, per mezzo della conformazione medesima del corpo, egli dispone le cose in modo che l’uomo sia realmente idoneo al potere regale.
Concludo trattando brevemente della regalità dell’uomo con le parole di Gregorio di Nissa[2], in La formazione dell’uomo, 4 dove dice: “Codesto crisma della regalità, infatti, che eleva d’altronde l’uomo assai al di sopra delle sue condizioni, l’anima lo manifesta spontaneamente, attraverso la sua autonomia e la sua indipendenza: è in tal modo che l’anima diviene, nella sua condotta, maestra della sua propria volontà. E di chi mai è proprio tutto ciò, se non di un re? Aggiungetevi, altresì, che la sua creazione a immagine di quella natura che tutto governa, dimostra appunto che l’anima umana possiede, fin dal principio, una natura regale. Secondo quanto accade solitamente, gli autori dei ritratti di prìncipi, oltre alla rappresentazione dei lineamenti, esprimono la loro dignità regia vestendoli di abiti purpurei. Di fronte a immagini del genere, infatti, si ha l’abitudine di dire: «ecco il re». Similmente la natura umana, creata per dominare il mondo in virtù della sua rassomiglianza con il re universale, è stata concepita come un’immagine vivente che partecipa del proprio archetipo nella dignità e nel nome. Non l’avvolge la porpora, né lo scettro né il diadema illustrano la sua dignità (l’archetipo, neppure lui, possiede tutto ciò); al posto della porpora, invece, essa è rivestita della virtù, il più regale di tutti gli abiti; in luogo dello scettro, essa si sostiene sulla beata immortalità; al posto del diadema regale, essa reca la corona di giustizia. In essa dunque, grazie alla sua precisa rassomiglianza con la bontà dell’archetipo, ogni cosa palesa la sua dignità regale.”


[1] Il re-mago di J.G Frazer.
[2] Gregorio di Nissa, noto anche come Gregorio Nisseno (Cesarea in Cappadocia, 335 - Nissa, 395 circa), è stato un vescovo e teologo greco antico; venerato dalle Chiese cristiane, è uno dei Padri cappadoci. La Chiesa cattolica lo riconosce come Padre della Chiesa.

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