di Luciano Garibaldi
Sono
stato monarchico e lo sarò sempre non foss'altro per il disprezzo che nutro nei
confronti di coloro che si vantano di cambiare opinione e attribuiscono agli
stupidi la fedeltà alle proprie scelte. Se io appartengo alla categoria degli
stupidi, loro appartengono alla categoria dei vermi. Ciò premesso,
debbo ammettere che non è facile descrivere il modello ideale della monarchia,
anche perché non vi è un’esperienza storica univoca cui fare riferimento. Un
conto, infatti, sono i sentimenti che mi legano al ricordo che ho di un Re
galantuomo e veramente buono, Umberto II di Savoia, al quale dedicai un
capitolo pieno di commozione del mio libro "La guerra (non è)
perduta". Altra cosa è l'elaborazione filosofica e politologica del
concetto di monarchia.
Quando
in Italia si parla di monarchia, il pensiero corre subito ai Savoia. E'
comprensibile, se si considera quello che i Savoia hanno fatto per l'Italia. Ma
è una faccenda riduttiva se si pensa al futuro dell'idea monarchica. Mi spiego.
I Savoia, addirittura, hanno fatto l'Italia. Carlo Alberto introdusse il
principio della religione cattolica di Stato nello Statuto. Vittorio Emanuele
III evitò, con la sua energia e la sua forza di volontà, che l'Italia
precipitasse nella sconfitta durante la prima guerra mondiale e diventasse un
lager sovietico nel 1919. Umberto II salvò l'Italia da una guerra civile ben
più tragica di quella che s'era combattuta al Nord tra fascisti e comunisti.
Detto questo, mi pare non vi siano dubbi che i Savoia hanno - per scimmiottare
una famosa espressione - esaurito la loro spinta propulsiva. Se ci si volge
indietro, alla nostra storia degli ultimi 150 anni, si vedono delle brave
persone, non dei giganti. Non c'è alcun motivo valido, oggi, perché un
monarchico italiano debba volere il ripristino del trono, quale che esso sia,
con un erede Savoia assiso su di esso. Lo stesso vale - pur con il massimo
rispetto - per gli Aosta, i Borbone e quant'altre grandi famiglie regnarono
negli Stati italici nei secoli passati.
Personalmente
sono un nostalgico di Vincenzo Gioberti, la cui idea, com'è noto, era quella di
una federazione di Stati italiani sotto la guida di un grande monarca, il Papa.
Dobbiamo riportarci a quegli anni e agli strascichi lasciati, da noi come in
tutta l'Europa, dalla dominazione, anzi dall'usurpazione napoleonica. Come
tutte le rivoluzioni violente e sanguinarie, la Rivoluzione francese e la sua
diretta filiazione, ossia l'impero napoleonico, non avevano affatto
"elevato le masse", truffaldina espressione con la quale i demagoghi
d'ogni tempo cercano di conquistare il potere, ma le avevano sfruttate fino a
succhiare loro il sangue con l'invenzione della leva di massa, lo scatenamento
di sempre nuove guerre di conquista, la prepotenza e il sopruso elevati a
sistema. Contro quella gigantesca truffa e mistificazione si era battuto un
binomio purtroppo per due decenni perdente: Trono e Altare.
L'umanità
non si toglierà mai abbastanza il cappello di fronte al martirio della Vandea
francese e di tutte le "Vandee" d'Europa, da quella spagnola a quella
tirolese, da quella toscana a quella campano-calabrese. Quegli eroi che,
abbattendo i ridicoli e ipocriti "arbres de la libérté",
smascheravano - versando il proprio sangue - le menzogne dei nobili traditori
dei loro sovrani, erano guidati dalla fede. E, morendo, invocavano Dio e il Re.
Non dimentichiamo che due Papi, Pio VI e Pio VII, furono costretti all'esilio,
e uno, il primo, vi morì. Gioberti pensava al Papa-Re perché, essendo eletto
per regnare, ma non potendo lasciare eredi, sarebbe sfuggito al rischio
dell’egoismo che l'ereditarietà sempre porta con sé. Se la sua idea, osteggiata
in primo luogo dalla massoneria potente in Gran Bretagna quanto in Francia, si
fosse fatta strada, non c'è dubbio che dinnanzi all'Italia si sarebbe aperto un
periodo di straordinaria elevazione spirituale e materiale, dato che nella
Chiesa erano presenti, più che in ogni altra struttura, i princìpi della
solidarietà, e dato che i sovrani restaurati in tutte le nazioni europee
avrebbero guardato a Roma come a un faro di pacificazione e di ordine.
Altre
monarchie regnanti, diverse dai Savoia, non sarebbero state neppure
ipotizzabili. Prima di tutto, perché nessuna di esse (non i Borbone, non i
Granduchi di Toscana, né le altre famiglie regnanti) aveva le mire di conquista
che avevano invece Cavour e Vittorio Emanuele II. E secondariamente perché
nessuna di esse avrebbe potuto avvalersi dell'appoggio dell'Inghilterra, in
chiave antiaustriaca ma soprattutto antivaticana.
Resta
da parlare del ruolo delle monarchie esistenti in Europa, Esso è certamente
positivo, come attestano vari episodi sia ormai storicizzati, sia più recenti.
E mi limito a citarne due. Il primo riguarda Cristiano di Danimarca, che nel
1940, appresa la decisione delle truppe tedesche occupanti di costringere gli
ebrei ad appuntarsi sul petto una stella di Davide, volle essere il primo a
indossarla e uscì a piedi per le strade di Copenaghen, per testimoniare di
fronte al mondo l’aberrazione nazista. Il secondo riguarda re Juan Carlos di
Spagna, di cui mi onoro di essere coetaneo e concittadino (sono nato, come lui,
a Roma nel 1936), che, di fronte al tentato golpe del colonnello Tejero, non
esitò a sconfessare e far arrestare i congiurati - coraggiosi, ancorché
avventati, anticomunisti - pur di salvare la democrazia e la pace sociale nella
sua patria. Un grande re. Che fu educato fin dalla più tenera infanzia al “mestiere”
di re, sicuri com’erano, i suoi genitori, ch’egli sarebbe tornato un giorno sul
trono di Spagna. Ma nessuna delle monarchie regnanti sfigura, oggi in Europa,
nel confronto con le repubbliche i cui presidenti talvolta hanno dato prova di
piccineria morale e di faziosità politica.
Per
concludere: quale futuro per la monarchia in Italia? Remoto, direi, molto
remoto. Non vedo, all’orizzonte, il ritorno della monarchia. Essa tornerà
quando gli sbagli della repubblica avranno toccato il fondo. Ma dovrà essere
fondata su un principio simile a quello su cui si fonda l’ordinamento
ecclesiastico. Il popolo eleggerà i grandi elettori che, a loro volta,
eleggeranno il Re. Il Re regnerà fino alla propria morte. Potrà succedergli
l’erede al trono purché ottenga il consenso dei grandi elettori. Altrimenti,
morto un Re, se ne eleggerà un altro. Questa è la mia visione della monarchia
per il Terzo Millennio. Solo in questo senso io sono monarchico.
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