giovedì 27 aprile 2017

San Giorgio e i Martiri militari: modelli per i soldati di Cristo Re

di Giuliano Zoroddu

Ogni ventitré di Aprile la santa Chiesa, nella varietà dei suoi sacri riti, celebra la memoria di san Giorgio, cara al popolo cristiano. La sua biografia è avvolta nella leggenda1. Possiamo presupporre che il nostro Santo nacque in Asia minore verso la fine del secolo III. Militava sotto le insigne romane quando l’imperatore Diocleziano emanò gli editti persecutori contro la Chiesa: fu allora, verso l’anno 303, che il soldato fece pubblica professione delle Fede Cristiana e fu martirizzato assieme ad alcuni suoi compagni. Sul suo sepolcro, venerato a Lydda (odierna Lod in Israele), fiorì subito un importante culto che rapidamente pervase tutto l’Oriente. Nel secolo V la devozione al Santo “Μεγαλομάρτυρ” (Megalomàrtyr, grande Martire) e “Τροπαιοφόρος” (Tropaiophòros, colui che porta il trofeo della vittoria contro il nemico) fu trasmessa all’Occidente1. Sia i Greci sia i Latini ben presto affidarono a san Giorgio la protezione delle milizie cristiane e videro in lui il modello cui il soldato cristiano avrebbe dovuto ispirarsi nella sua lotta per la difesa della Fede, della Chiesa e della patria. In questo nostro tempo di “morta fede ed empietà trionfante”, per citare il beato Bartolo Longo, in cui il cattolico è sballottato dalle onde degli errori che sconquassano la Chiesa Romana avvilita da una cinquantennale “cattività modernistica”, la figura di san Giorgio e il suo culto “militaresco” ci sono utili per abbattere alcuni miti come un presunto antimilitarismo di foggia pacifista e quasi rivoluzionario che avrebbe caratterizzato la prima comunità cristiana, per fornire un sunto della dottrina cattolica sulla milizia, sul problema della guerra e sull’ordine sociale in generale e per delineare l’azione del Cristo nel mondo attuale.
Anzitutto va detto come nell’Antico Testamento Dio – lo stesso Dio del Nuovo Testamento3 – legittima il servizio militare e comanda Egli stesso che si facciano delle guerre (anche terribilmente sanguinose!) perché Israele fosse libero dai suoi nemici e perseverasse nel culto dell’unico vero Dio. Nel Salterio e nei Profeti, il Messia viene spesso rappresentato come un valoroso condottiero che trionfa dei nemici: ne sono esempi il Salmo CIX e il capitolo LXIII di Isaia (vv. 1-6). Nei Vangeli poi, se escludiamo gli sgherri Ebrei e i milites di Pilato che torturano Cristo, tutti i soldati menzionati sono veri e propri modelli di fede. Gesù Cristo loda la fede del centurione di Cafarnao come la più grande in Israele (Cfr. Matth. VIII, 5-13; Luc. VI, 2-10); sotto la croce fra le bestemmie dei deicidi e lo sconvolgimento della natura è il centurione che assieme ai suoi uomini riconosce chi è realmente quell’uomo appena morto: «Vere homo hic Filius Dei erat!» (Matth. XXVII, 54). Negli Atti degli Apostoli la vocazione dei Gentili alla salvezza viene inaugurata con il battesimo di Cornelio centurione della coorte Italica (Cfr. Act. X) il quale viene definito da san Luca «uomo pio e timorato di Dio» (Act. X, 1). «Persona di senno, che […] desiderava ascoltare la parola di Dio» (Act. XIII, 7) vien chiamato il Proconsole Sergio Paolo che si fece Cristiano dopo che san Paolo accecò il Mago Elimas (Cfr. Act. XIII, 4-12). Al di là delle tradizioni4 sulla vita di costoro, non possiamo di certo affermare che l’incontro di questi uomini d’arme con Cristo ne abbia determinato l’abbandono dell’esercito.
L’Apostolo, memore del detto del santo Giobbe “Militia est vita hominis super terram”5, chiama il cristiano “miles Christi Iesu” (2Tim. II, 3) in eterna lotta col mondo e i demoni suoi reggitori (Cfr. Eph. VI, 10-17): segno che il “mestiere” del soldato non era affatto tenuto per disdicevole o addirittura incompatibile con il Battesimo. Lo stesso atteggiamento prudente fu mantenuto dalla Chiesa nel giudicare questa delicata situazione. Furono al contrario le varie sette eretiche che, contrariamente all’insegnamento di Cristo e degli Apostoli6 vedevano nell’Impero Romano una creazione di Satana, un istituzione aliene al Cristianesimo e da osteggiare in tutti i modi. In Occidente tali idee vennero espresse per esempio da due autori del III secolo: il controverso Ippolito Romano (Commentarium in Danielem) e Tertulliano (De corona, De spectaculis, De idolatria). Proprio nel De corona del 211 l’autore africano, che da cattolico si vantava di come i cristiani avessero grandemente riempito le schiere dell’esercito, quando divenne eretico montanista, prendendo spunto dal degradazione di un soldato cristiano che in occasione di una festa in memoria dell’imperatore Severo Settimio si era rifiutato di cingersi della rituale corona, condanna il servizio militare come indegno per un cristiano. L’idea dell’inconciliabilità fra la professione di fede cristiana e la milizia, seppur purificata dalla virulenza anti-imperale la troviamo anche in autori come Origene e Lattanzio e in alcuni Acta autorevoli e storicamente accertati, come gli Atti di san Marcello che ci presentano un caso di obbiezione di coscienza.
Come fa notare l’Abate Giuseppe Ricciotti «negli eserciti romani i cristiani erano numerosi perché specialmente i giovani provinciali tentavano migliorare le loro condizioni di vita arruolandosi. […] Ma a rigore per i cristiani c’era una grave questione di coscienza. Poteva un seguace del Cristo uccidere il suo prossimo? Poteva giurare fedeltà a imperatori ostili a Cristo, e proferire tale giuramento impegnando espressioni idolatriche ed empie? […] Da alcuni pochi accenni che abbiamo risulterebbe che la grande maggioranza cristiana giudicava lecito il servizio militare, mentre una certa minoranza o era dubbiosa in proposito o la condannava recisamente. […] Inoltre, questo atteggiamento avverso al servizio militare dei cristiani poteva ricollegarsi con certe previsioni apocalittiche che contemplavano il crollo imminente dell’Impero pagano»7. E proprio facendo leva sulle idee potenzialmente pericolose di questa minoranza il subdolo Galerio portò il sommo Augusto Diocleziano a dare inizio all’ultima grande persecuzione dove perì il nostro san Giorgio, assieme a una grande schiera di uomini che anteposero la militia Christi alla militia Caesaris. Il vero milite cattolico è infatti il «defensor Ecclesiarum, viduarum, orphanorum, omniumque Deo servientium, contra sævitiam paganorum, atque hæreticorum»8. Si può essere soldato dell’Imperatore, anche se egli è pagano è Dio la causa della sua autorità: si deve obbedire ai suoi ordini; si debbono combattere le guerre che egli comanda di combattere a difesa della patria; non pecca se uccide il nemico, né se sopprime il criminale9; ma se gli vengono ordinate cose contrarie al diritto umano e al diritto divino (come sacrificare agl’idoli), conculca la Chiesa od opprime il popolo, egli ha il diritto all’obiezione di coscienza e il dovere di non ubbidire anche se è in gioco la sua stessa vita. Il soldato cristiano – sia esso re, capo o gregario – deve combattere inoltre le guerre di Dio contro i nemici del nome Cristiano e della Chiesa di Cristo. «Lʼuna e lʼaltra spada sono in potestà della Chiesa, cioè la spada spirituale e quella materiale. Ma questa deve essere usata in favore della Chiesa, questa dalla Chiesa.
Quella è nella mano del Sacerdote, questa dei Re e dei soldati, ma secondo il cenno e il volere del Sacerdote»10 insegna infallibilmente Bonifacio VIII. Infatti come già diceva Agostino «i re come tali, servono Dio quando, per ubbidirgli, fanno ciò che solo i re possono fare. Dopo ch’è cominciata ad avverarsi la predizione della Sacra Scrittura: “E lo adoreranno tutti i re della terra, tutte le genti lo serviranno” (Ps. LXXI, 11), bisognerebbe aver perduto il cervello per suggerire ai sovrani: “Non preoccupatevi di sapere da chi nel vostro Stato viene difesa o combattuta la Chiesa del vostro Signore; non v’importi di sapere chi vuol essere adoratore di Dio o idolatra”»11. Così si fecero santi nella milizia Ferdinando III, Luigi IX e tanti altri uomini sconosciuti che, come soldati, partirono alla santa Crociata contro gli infedeli o gli eretici con la Fede nel cuore e benedetti da Cristo e dal suo Vicario, in difesa della Christianitas, l’unico vero Ordine voluto dalla Provvidenza. Rifuggiamo pertanto certa retorica sulle cosiddette “forze dell’ordine” che soprattutto in tempi cupi come questi (fatta salva la buona fede dei singoli) paiono quasi essere più al servizio di un “non-ordine”, come quello degli Stati attuali terribilmente degradati nella loro apostasia.
Chi leggerà magari non sarà, allo stesso modo dello scrivente, un soldato con la divisa e l’elmetto, ma magari è un cresimato e quindi è un soldato d’ordine superiore un “miles Christi” che ha il dovere di render testimonianza con tutto il suo essere alla Verità che è Cristo e che ci si comunica nella Chiesa Romana. Nel lontano 1952 il santo Papa Pio XII desiderava il sorgere di falangi di apostoli che «contro gli industriali del peccato» facessero dovunque regnare il Cristo12: questo è esattamente il nostro compito, il “bonum certamen” di cui parla l’Apostolo. Coi Sacramenti e la dottrina ortodossa dobbiamo armarci anzitutto contro i demoni che ci tentano a morte e quindi, come i coraggiosi martiri di ogni tempo, combattere per Cristo Re diffondendo la sua salutare dottrina, scardinando quei falsi miti con cui si infanga la storia della Madre Chiesa e prima di tutto. San Giorgio e gli altri santi militari ci assistano nei nostri quotidiani combattimenti “ut qui sub Christi Regis vexíllis militáre gloriamur, cum ipso, in cœlesti sede, iugiter regnare possimus”13.

NOTE

Per quanto riguarda l’ambito liturgico latino la festa di San Giorgio si celebrò fino alla riforme giovannee del 1960-1962 col grado di semiduplex. Declassata da queste al grado di semplice commemorazione, subordinata all’Ufficio e alla Messa del giorno feriale, essa appare nel Messale di Paolo VI solamente come memoria facoltativa.
Già il “Decretum Gelasianum de libris recipiendis et non recipiendis” – un documento prodotto fra il V e il VI secolo in Italia o nella Gallia meridionale, falsamente attribuito a Papa san Gelasio I (492-496) – squalificava come apocrifa la “Passio sancti Georgii”. Su questa base il Breviario Romano nell’Ufficio di Mattutino non ha per san Giorgio le consuete “lectiones” biografiche, sostituite da alcuni passi di san Cipriano sul combattimento dei Martiri.
La distinzione fra un Dio del Vecchio Testamento, cattivo e sanguinario, e un Dio del Nuovo Testamento (Gesù), buono e amorevole, è un’idea degli Gnostici sostenuta principalmente da Marcione (85-160) e dai suoi seguaci. Confutata dai Padri della Chiesa fin dai primi secoli, ritorna continuamente in ogni eresia a carattere manicheo. La Chiesa ha condannato questa teoria e a stabilito dommaticamente il contrario: «Essa [la Chiesa] confessa che un solo, identico Dio è autore dell’antico e dei nuovo Testamento, cioè della Legge e dei Profeti, e del Vangelo, perché i Santi dell’uno e dell’altro Testamento hanno parlato sotto l’ispirazione del medesimo Spirito Santo» (Concilio di Firenze, Sessione XI, Decreto sui Giacobiti, 4 febbraio 1442).
Il Martirologio Romano riceve e accetta la tradizione secondo cui sia Cornelio sia Sergio Paolo, dopo la loro conversione furono consacrati il primo da san Pietro Vescovo di Cesarea di Palestina e il secondo da san Paolo Vescovo di Narbona in Francia. Cfr. “Martirologio Romano pubblicato per ordine del Sommo Pontefice Gregorio XIII, riveduto per autorità di Urbano VIII e Clemente X, aumentato nel MDCCXLIX da Benedetto XIV”, Quarta Edizione Italiana, Libreria Editrice Vaticana, MDCCCCLV, Concordat cum originali. Die 8 Septempris 1954. † Fr. Petrus Canisius Van Lierde, Ep. Porphyr,. Vic. Gen. Civ. Vat., pp. 30 e 70.
Iob VII, 1 (Vulg.): «La vita dell’uomo sulla terra è una milizia e i suoi giorni son come i giorni del mercenario».
Gesù dice a Pilato che la sua autorità viene da Dio: «Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto» (Ioann. XIX, 11). Lo stesso pensiero ribadisce san Paolo: «Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna. I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver da temere l’autorità? Fa’ il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male. Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. Per questo dunque dovete pagare i tributi, perché quelli che sono dediti a questo compito sono funzionari di Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse le tasse; a chi il timore il timore; a chi il rispetto il rispetto» (Rom. XIII, 1-7). Lo stesso Apostolo ordina a Timoteo «prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere» (2Tim. I, 1-2). Infine san Pietro: «State sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore: sia al re come sovrano, sia ai governatori come ai suoi inviati per punire i malfattori e premiare i buoni. Perché questa è la volontà di Dio: che, operando il bene, voi chiudiate la bocca all’ignoranza degli stolti. Comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio. Onorate tutti, amate i vostri fratelli, temete Dio, onorate il re» (1Petr. II, 13-17).
Giuseppe Ricciotti, L’Era dei Martiri, Arnaldo Mondadori Editore, 1962, p. 40.
Pontificale Romanum jussu editum a Benedicto XIV et Leone XIII recognitum et castigatum, De benedictione novi militis. Sempre nel Pontificale troviamo il rito della benedizione delle armi, della spada e dei vessilli di guerra.
Sarà utile leggere: San Paolo, Lettera ai Romani, XIII, 4; Sant’Agostino, De civitate Dei contra paganos, I, 21; San Tommaso, Somma Teologica, IIa-IIae, q. 29, artt. 37-42; Catechismo Tridentino o Romano, n. 328; Catechismo Maggiore di san Pio X, n. 413; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2267).
Unam Sanctam, 18 novembre 1302.
Ep. CLXXXV, 20.
Discorso di Pasqua, 13 aprile 1952
Orazione dopo la comunione, Messa di Cristo Re.

da: www. radiospada.org

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