giovedì 16 febbraio 2017

La soluzione al centralismo: tornare al Sacro Romano Impero

di Gianfranco Costanzo

In un recente articolo è stata propugnata l’idea, per una politica culturale del nuovo corso salviniano, di associare il programma di riforma federalista nazionale di Gianfranco Miglio con le esigenze sovraniste attuali. Vogliamo perciò in questa sede tornare sul federalismo, che rappresenterebbe una risorsa nel dibattito circa il futuro dell’organizzazione dei territori europei in un contesto multipolare.
Rammentiamo che l’apertura nazionale impressa al Carroccio trova origine in un dibattito culturale negli ambienti leghisti a partire dall’ inizio del secolo, quando gli sviluppi dell’economia globale hanno sollevato nuove problematiche circa i destini di un Europa dei popoli, di cui il mondo leghista si sente a buon diritto di far parte. Rinviando i lettori a quello scambio che si può trovare ancora oggi sulle riviste Terra Insubre e Libera Compagnia Padana, possiamo riassume che il confronto vide allora protagoniste due correnti:
i sostenitori del “piccolo è libero” che sincretisticamente associavano una fede liberal-liberista ad un micronazionalismo di tipo giacobino, riducendo la questione ad un puro problema di autonomia in un quadro di sostanziale adesione al sistema liberista ed alla sua ideologia
una corrente che invece si poneva un problema ulteriore: quello della sopravvivenza delle comunità territoriali, intese come forme peculiari di espressione culturale, in un’ottica di sfida della postmodernità che le vorrebbe definitivamente soccombenti.
Quest’ultima corrente si arricchiva, a nostro giudizio, di una riflessione ulteriore che ruotava attorno al concetto di comunitarismo, che da solo poteva giustificare ogni difesa identitaria senza che questa scadesse in individualismo, supposta superiorità, grettezza nell’accaparramento o gestione delle risorse, esaltando non il “meglio o il di più” dei particolarismi egoistici, ma il “bene” della solidarietà verso ciò che umanamente, culturalmente e socialmente costituisce prossimità. Poiché, dimenticando il concetto di prossimità, l’altro, il bene, il mondo e l’amore stesso perdono di concretezza e diventano idee astratte perennemente “sull’altra sponda”. Utopie agognate ma irraggiungibili, solipsismi che lasciano frustrato e disilluso ogni sforzo verso di esso. Dicevano i vandeani :“Per noi la patria è quella che abbiamo sotto i piedi, e di questa ci preoccupiamo quella che letteralmente calpestiamo da quando siamo nati, mentre i giacobini l’idea di patria ce l hanno solo nella loro testa”.
È da segnalare che in occasione di recenti anniversari, la celebrazione dei 150 anni dell’unità d’Italia – nello specifico, nell’annuale e meritevole convegno tradizionalista di Gaeta del passato ottobre animato dalla rivista “L’Alfiere” – queste sensibilità sono state ribadite non solo da parte dell’etnoregionalismo padano-alpino, ma anche dal mondo cattolico e meridionalista, concordi attorno alla critica dello stato giacobino livellatore delle differenze e incapace di difendere la propria sovranità dal monoteismo del mercato e dalle sue espressioni internazionali.
Èa questo punto che torna propizio riflettere sul concetto di federalismo storicamente espressosi nell’Imperium, nell’ esperienza storica europea del Sacro Romano Impero, capace di coniugare unità e diversità come è stato ben spiegato dal prof. Giovanni Turco nella sede gaetana del convegno tradizionalista sopraccitato.
Per tornare, invece, al mondo padano-alpino, se il primo a parlare di Sacro Romano Impero come archetipo di Europa dei popoli fu Gualtiero Ciola già alla fine degli anni 80, si deve al dialogo tra Alain De Benoist e le realtà dell’etnoregionalismo padano-alpino una ripresa vigorosa della riflessione sul nesso tra federalismo ed Imperium, riflessione già anticipata da due grandi pensatori tradizionalisti del Novecento (riscoperti dagli ambienti identitari padano-alpini): Tejada e Evola.
Riguardo a quest’ultimo ,e proprio in relazione al tema che trattiamo, nel 2004 usci un volume della fondazione Evola, di una raccolta di scritti del maestro tra il 1926 e il 1953 intitolato “Federalismo Imperiale”. Rimandando alla lettura di questa antologia curata da Giovanni Perez, vorremo porre delle riflessioni, a nostro avviso fondamentali, per tutti gli identitari odierni e trattenere la nostra attenzione su alcuni punti estremamente interessanti.
Sarebbe auspicabile riconsiderare la sovranità – e quindi l’autorità – come uno strumento di tutela per chi riscopre l’importanza del radicamento ad una patria carnale. Questo potrebbe sembrare un ossimoro, poiché, per via dell’influenza del pensiero libertario, autoritàequivarrebbe a dispotismo e livellamento. Ma, spiega Evola, che questo è vero per gli stati moderni “uguagliatori”, ma non assoluto. Inoltre, alcuni libertari ritengono che sia il liberismo ad “emancipare le comunità”. Questo, come spiega il nostro, è un errore frutto di una mancanza di prospettiva storica e dell’adesione, forse inconscia, ai dettami giacobini.
Se si vuole superare il nazional-risorgimentalismo si dovrebbe andare oltre, verso un superamento della stessa forma mentis dominante. Federalismo non è quindi un ossimoro, una tolkieniana figura sospesa tra realtà ed immaginazione, ma un paradigma metapolitico, capace di orientare l’azione in modo da coniugare federalismo e sovranismo.
Pensare localmente e agire su larga scala, riscattando il valore della organicità come principio fondante per nuove sintesi comunitarie che guardino ad un’Europa di popoli conservando le proprie peculiarità.

da: www.iltalebano.com

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