di Pierfranco
Bruni
Il tempo passa. Ci sono storie.
Radicamenti. Viaggi. La storia delle famiglie è intreccio di destini. “La
vita, sapete, spezza qualcosa in noi... smentisce tante volte la nostra fede...
Rivedersi... Se fosse vero... “ (Antonie Buddenbrook). “La facoltà
di ingannare se stesso, questo è il requisito essenziale per chi voglia guidare
gli altri” (da “Il Gattopardo”).
Perché scavare nella storia delle famiglie? Perché scavare in un vissuto di tradizioni che tracciano destini? Ogni epoca ha un vissuto di civiltà nelle quali si sono sempre intrecciate le diverse articolazioni delle classi emergenti e delle famiglie che hanno una tradizione. La Tradizione diventa l’asse intorno al quale si muovono i modelli antropologici dei territori ma anche delle stesse famiglie e delle dinastie.
La borghesia del Novecento ha scavato un solco che ha separato la nobiltà e le aristocrazie dalla società. I romanzi che maggiormente hanno tracciato un forte inciso nel mio percorso sono “I Buddenbrook” di Thomas Mann, il viaggio di Leonida Repaci nel quale si racconta la famiglia dei Rupe, il romanzo di Cesare Giulio Viola “Pater”, “Caterina Marasca” di Giovanna Gullì e magnificamente “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
“Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra”, così Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Ma oggi siamo in una variante nel tempo della notte. Ci sono storie che rimandano ad una intelaiatura sia sociologica che antropologica.
Siamo in una variante della decadenza che ha caratterizzato tutto il Novecento in una dimensione sia spirituale(ovvero ontologica e metafisica) sia esistenziale che ha riguardato i popoli e le civiltà in termini anche antropologici. Ai romanzi citati volontariamente aggiungo il mio e di Micol Bruni “Cinque fratelli. I Bruni Gaudinieri nel vissuto di una nobiltà” (Pellegrini), con Video realizzato da Anna Montella, visibile su: https://www.youtube.com/watch?v=IiGEJhkTxHI.
La variante,
dunque, è distante dalla concezione di una crisi valoriale intorno alla quale
si è costruito in questi anni un pensiero debole. Troppo semplicistico
affermare che siamo stati attraversati e tuttora ci attraversa una caduta di
valori. Cosa sono i valori in termini di identitari è difficile poterlo
sottolineare. Thomas Mann: “Abituarsi all'ambiente? No, fra gente senza dignità,
senza morale,
senza ambizione, senza signorilità e senza rigore, fra gente
sciatta, scortese e trasandata, fra gente che è allo stesso tempo pigra e
leggera, pesante e superficiale... fra gente così non mi posso
ambientare...” (Antonie Buddenbrook).
I valori di
generazioni distanti fa sono gli stessi di quelli di oggi? A cominciare dai
concetti di famiglia e di tradizione. Non ci si può basare sui valori nel
momento in cui si ha la consapevolezza che viviamo di transizioni e dentro
questo modello sociologico di transizione entrano anche i concetti citati.
Credo, invece, che
bisogna ritrovare l’orizzonte di una idea forte di eredità, di identità e di
appartenenza. In un tempo di valori cangianti, come sono le temperie, bisogna
proporre una fedeltà. La fedeltà delle origini. In queste fedeltà o in questa
ramificazione di culture si sviluppano i segni di una antropologia che diventa
necessità di conoscenza.
È qui che la
“geografia” della nobiltà è uno scavo nella coscienza, come quella della
aristocrazia e della cavalleria che è dentro il destino delle individualità
delle famiglie. La individualità delle famiglie è nel capire la struttura
antropologia della società.
Nel romanzo di Cesare
Giulio Viola si legge uno spaccato importante di una famiglia borghese che
sapeva guardare con attenzione al modello aristocratico: “Nasceva il podere,
mentre nella città era nata la casa. Mio padre non aveva badato a spese: il
mobilio era giunto da Napoli, ordinato a quel Soley hebert che allora andava
per la maggiore, e forniva le province meridionali, propagando quel gusto di
marca umbertina, che tra l’850 e il ‘900 tappezzò di broccati e popolò di
mobili a stucco i salotti della ricca borghesia. C’erano i poufs nel salotto, i
bei divani, le poltrone, le poltroncine capitonnées, e negli sportelli del
bahut, incastrati, due piatti di ceramica a rilievo che rappresentavano
romantici paesaggi. I mobili erano ben costruiti e ad aprirli odoravano di
legno buono. A montarli gli operai avevano lavorato giorni e giorni: e
Monsupié, l’ebanista del Museo, aveva protratto la sua fatica, a lume di
petrolio, per molte sere fino a tarda sera”.
Una ulteriore
variante della sociologia dei valori che si vogliono condivisi, ma che
antropologicamente non è possibile. Non esistono valori condivisi perché non
può esistere una “collettività” partecipante e omologante tranne se non si
ritorna ad insistere su un termine antiestetico che è quello della società di
massa. Credo che è nel proporre la visione della propria identità che il
viaggio degli uomini può avere un senso.
La nobiltà non si
inventa come non si inventa l’aristocrazia. La borghesia si costruisce e parla,
appunto, di valori da enucleare nel dire della condivisione e della
inclusività. Proprio nei “I Buddenbrook” si legge: “Ma
vede, lei è giovane e considera tutto da un punto di vista personale. Lei
conosce un nobile, e dice: ma quello è un brav'uomo! Certo... ma occorre non
conoscerne alcuno per condannarli tutti! Perché si tratta del principio,
capisce, dell'istituzione! Ecco che non sa più cosa ribattere...Ma come? Basta
che uno sia venuto al mondo, per essere un patrizio,
un eletto... uno che guarda noi altri dall'alto in basso... noi che con tutti i
nostri meriti non possiamo elevarci fino a lui?...”
Io non mi sento
partecipe delle condivisioni in questa leggerezza di tempo e tanto meno
sostengo che bisogna essere inclusivi. Le “classi” esistono. Nessuna
rivoluzione potrà mai abolirle. L’individualità è una nuova energia che diventa
la vera resistenza contro il brutto, l’irato, il massificato. La bellezza non è
nell’insieme che non significa nulla, ovvero massa, ma è nel custodire
quell’amore verso l’essere che è individuo, uomo, persona con una sua
antropologia di ereditarismi di significati e significanti.
Bisognerebbe
riscoprire i titoli nobiliari in una società, appunto, della consumazione della
transizione. Questo significherebbe dare senso al rispetto della storia e alla
cifra che la storia ha decodificato all’interno dei vissuti. Ma la nobiltà non
è soltanto nelle azioni. Si è stati Gattopardi. Chi potrà sostituire una
nobiltà che ora non c’è più? Chi potrà sostituire una aristocrazia? Si è tutti
dentro la borghesia. Persino quello che una volta si chiamava proletariato è
diventato borghesia. Bisogna avere il coraggio di distinguere. Ma èer fare
delle distinzioni è necessario non confondersi.
Sosteneva Friedrich
Nietzsche:
“Che cos’è
nobile? Che cosa significa ancora, per noi oggi, la parola «nobile»? In che
cosa si rivela, da che cosa si riconosce, sotto questo cielo pesante e coperto
dell’incipiente dominio della plebe, per il quale tutto diviene opaco e
plumbeo, l’uomo nobile? Non sono le azioni a dimostrarlo – le azioni sono
sempre ambigue, sempre insondabili – non sono neanche le «opere». Tra gli
artisti e i dotti se ne trovano oggi non pochi che, attraverso le loro opere,
rivelano di essere spinti da profondo desiderio verso ciò che è nobile; ma
proprio questo bisogno di ciò che è nobile è radicalmente diverso dai bisogni
dell’anima nobile stessa, è addirittura un segno eloquente e pericoloso della
sua mancanza. Non sono le opere, è la fede che decide qui, che stabilisce qui
la gerarchia, per riprendere un’antica formula religiosa in un senso nuovo e
più profondo: una qualche certezza di fondo che un’anima nobile ha su se
stessa, qualcosa che non si può cercare né trovare e forse nemmeno perdere.
L’anima nobile ha un profondo rispetto di sé”.
Il rispetto di sé!.
Mi pare proprio ciò che in questa agonia è venuto meno. Ma nelle epoche abusate
dalle democrazie non si ha più Rispetto perché si ritiene di adagiarsi su un
egualitarismo che non può esistere.
Diceva bene Gabriele
D’Annunzio:
“Sotto il grigio
diluvio democratico odierno, che molte belle cose e rare sommerge miseramente,
va anche a poco a poco scomparendo quella special classe di antica nobiltà
italica, in cui era tenuta viva di generazione in generazione una certa
tradizion familiare d’eletta cultura, d’eleganza e di arte”.
Il “diluvio
democratico” moderno ha portato anche alla sconfitta dell’umanesimo della
persona. È il rischio di un disfacimento e va oltre. Quando il buio
diventa diluvio occorre ritornare alle aristocrazie e alle nobiltà. Bisogna
avere il coraggio di non smarrire il senso delle Tradizioni e della Tradizione.
Soltanto recuperando
l’identità della tradizione è possibile capire i destini e la storia, come,
appunto, nel racconto dei Gaudinieri imparentati con i Bruni nella geografia
fisica e umana del Regno di Napoli. È certo che da questa impalcatura,
pur nella sua consistenza letteraria, il romano che meno può appartenere alla
linea dei “Cinque fratelli” resta quello di Repaci. Mentre quelli maggiormente
rappresentativi sono i romanzi di Tomasi di Lampedusa e di Mann.
Qui credo che si
possa lasciare una strada aperta per un ulteriore capitolo che andrà
successivamente a chiudere la saga di una famiglia nobile, aristocratica e
borghese come, appunto, quella dei Bruni Gaudinieri. I tre percorsi ci sono
tutti anche se domina il modello nobile – aristocratico. In fondo “È meglio
un male sperimentato che un bene ignoto” (Tomasi di Lampedusa). Mi
sembra molto suggestiva questa chiosa che separa, anche storicamente, comunque,
due mondi: la nobiltà – aristocrazia e la borghesia.
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