di Tommaso Romano
Nel
vetusto vocabolario araldico – genealogico – nobiliare vi è una definizione di
qualità che possiamo prendere volentieri in prestito: lo stato more nobilium, lo stato in cui cioè si
vive nobilmente.
Come
ben disse Dante Alighieri: “La stirpe non fa le singolari persone nobili, ma le
singolari persone fanno nobili la stirpe”. Vale a dire che anche l’inizio del
nobile vivere e sentire, può creare una discendenza. C’è sempre, infatti, un
inizio.
Sgombriamo
subito il campo da rivendicazioni e attribuiti dovuti al tempo delle
investiture e delle legittime nobilitazioni di sovrani e papi o di chi ne aveva
titolo, non sono queste – in larga parte e con le dovute eccezioni – le élites
ormai a cui riferirsi. Blasonati degni ve ne sono, ma la nobiltà oggi è in
buona parte indegna – anche nell’alterigia e nella supponenza – del titolo che
porta e spesso ostenta. Non parliamo – anche stavolta con eccezioni – dello
stato comatoso di non pochi Ordini e Confraternite cavalleresche che si
dilettano in esibizioni periodiche, senza vivere il carisma e le consegne, i
doveri e il servizio che dovrebbero essere propri di un Ordine e la consegna del
perfetto Cavaliere e non certo del coccardiero, collezionista di nastrini e
medaglie, di croci e cordoni.
È
questo il caso in cui la logica causa- effetto non funziona.
La
nobiltà non può essere oggi che quella dello Spirito, non si declama, non si
esibisce, ed è propria di chi in silenzio resiste, veramente nobilmente, alla
dissoluzione in atto.
Essere
e non apparire, ancora una volta.
Il
motto dovrebbe incidersi, per ogni persona che vuole eseguire un perfezionamento
possibile, in ciò che Dante ci ha insegnato: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza.
Chi
procede intellettualmente e spiritualmente verso un risveglio, una
rettificazione, troverà non pochi ostacoli in sé stesso e fuori di se.
Districarsi nella selva oscura dell’odierna
complessità, richiede intanto studio, sacrificio, un rigore e una
determinazione tesi a raggiungere l’obbiettivo attraverso una sorta di
missione. Chi siamo? Chiediamoci come dobbiamo diventare, per realizzare la
nostra personale missione? Cosa può rendere meno accidentato, più semplice il
percorso da compiere?
Venuti
sempre meno i punti di riferimento esteriori, i formatori autorevoli, le morali
autorità, con pochi autentici Maestri viventi, la bussola usabile non può che
essere l’autoconoscenza, in rapporto costante con le fonti della saggezza
espressa, che invece oggi appaiono un reperto archeologico, tanto sottovalutato
è il tema dell’autoformazione integrale, che è ben altra cosa dal sincretismo fatto
di superficiali notizie e parziali conoscenze blandamente acquisite.
Primo
obbiettivo da raggiungere è il saperci depurare dalle troppe scorie, dagli
eccessi che ci portiamo dietro, anche quando proclamiamo esteriormente una
alterità, che spesso è più verbale che vissuta. Non pensare
all’autoreferenzialità, all’egocentrismo come panacea di tutti i mali, ma
sapersi mettere in ascolto, in sintonia con ciò che ci migliora costantemente,
tenendo conto che il punto di arrivo è sempre avanti a noi e che il traguardo è
duro a raggiungersi e non sempre si raggiungerà.
Avere coscienza, intanto, di tutto questo e
crescere in consapevolezza attraverso la libertà, intesa come condizione e
metodo naturale e autentico, come confronto critico con saperi differenti, altri. Non fermarsi all’innamoramento
verso un sapere che ci sembra congeniale e che è probabilmente vero, ma
stimolarsi con un continuo confronto le idee, onde pervenire ad una sintesi
alta oltre la presunzione di sapere e giudicare tutto.
Trovare
ordine dentro di noi è trovare il centro da cui s’irradia l’armonia che è il
bene rispetto, agostinianamente, all’assenza del male, che pure esiste e si
manifesta. Non nasciamo tutti buoni, insomma, come vorrebbe Rousseau, ma siamo
figli di un peccato d’orgoglio vano di origine, di generazioni e di storie
molto complesse.
L’aristocrazia
è il connotato del meglio, rispetto all’usuale, al volgare, come ci ha
insegnato Platone.
Abbandonare
il contingente come fine ultimo è, quindi, migliorarsi e rendersi nobili.
È
trasmutare il sangue comune – sangue come Spirito, ovviamente – in un autentico
diritto di nobiltà del sangue – Jure Sanguinis – che è perciò l’obiettivo da
conseguire. Non escludendo che un tale riconoscimento possa, anche oggi,
avvenire da parte di chi ha fedeltà alla propria autorità intatta, non
macchiata dalla resa al materiale, all’usuale, allo spirito servile del mondo.
Solo
in questo senso l’ideale potrà tramutare e trasmutarsi, nel reale. Intanto,
rettificando e depurando il linguaggio.
La
sovranità non è solo appannaggio di chi vanta illustri e valorose origini o
potestà e si misura oggi anche senza atti eroici, esteriori o emblematici,
nella fedeltà e nel rigore, nell’esercizio delle virtù. Infatti l’inquinamento
e il livellamento morale di chi dovrebbe essere Segno, Guida ed Esempio, portatore di codici morali, non
consente di ritenere legittima neppure una croce concessa al presunto merito.
Dato che la rappresentazione simbolica o è pregna di valori e di significati
profondi o non è nulla.
Non
sarà pertanto inutile a chi intenda professare fino in fondo la fede nella
Tradizione, rispolverare stemmi, emblemi e motti della propria famiglia o
“costruirseli” seguendo le regole araldiche rispondenti simbolicamente alla
propria vocazione.
Ogni
tradizione umana ha un inizio, infatti.
Il
ri-formarsi di èlites di uomini e donne di nobili principi professati, che
abbiano nel codice di un diritto iscritto nella natura lo statuto fondante,
insieme alla conoscenza di sé, del mondo, del cosmo, di Dio, senza cadere nel
moralismo, nei giudizi aprioristici e tenendo conto dei fattori che,
nell’incubazione del perseguimento, contengono alti rischi.
Quindi,
a chiunque è aperta la via regia
dell’autentica nobiltà, ma per pochi, nella perseveranza del saper ben vivere
nobilmente, si apre il conseguimento di una autentica integralità, onestà,
cortesia, accompagnati da sobria eleganza dei modi e nel servizio verso i più
deboli.
Una
delle poche possibilità che ci rimane è il riconoscere un tale stato di
nobiltà, e collegare le singolarità nelle affinità, in una comunità ideale che
sappia ritrovare, o dare inizio, a quella che potranno essere le guide autorevoli,
che si nutriranno di miti, simboli e Riti sacri, non transeunti, che sapranno
trasmetterli come la Tradizione ci insegna, versa una Alleanza Trascendente, in
grado di misurarsi con il tempo e con la storia, e con le sfide epocali che la
salvezza dei Tempi Ultimi impongono a chi vuole salvarsi, rispondendo,
attivamente, alla Legge Eterna di Dio e al Verbo, il Cristo, che si è fatto
carne (di stirpe regale, non lo si dimentichi) nella storia, per noi e che
l’umanità in gran parte oggi disconosce come fonte di Verità e di vita.
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