Verrà consegnato il 7 Aprile 2016 il Premio Internazionale della Tradizione "Antonino D'Alia", nella sede della Fondazione Thule Cultura di Palermo al Duca Generale Dr. Alberico Lo Faso di Serradifalco, massimo storico di Vittorio Amedeo II Re di Sicilia e di Sardegna, noto araldista e Presidente della S.I.S.A. - Società Italiana di Studi Araldici - con sede a Torino. Il Premio Internazionale insieme a quelli Nazionali, fu assegnato lo scorso anno a Julio Loredo per il suo volume edito a Cantagalli sulla Teologia della liberazione. Il Premio, presieduto da Tommaso Romano, Cancelliere Antonino Sala del Colle San Nicolò, segnala ogni anno dal 1994 Studiosi, Artisti, Ricercatori italiani e stranieri.
Breve nota Biografica
Alberico Lo Faso di Serradifalco è nato a Bologna nel 1935 e vive
a Torino. Già ufficiale dell’Esercito e funzionario della Presidenza del
Consiglio, è dal 2004 presidente della Società Italiana di Studi Araldici. Studioso di storia, è
autore dei volumi 5 mesi sul Don. Ricordi della campagna di Russia di un
ufficiale della Sforzesca (Roberto Chiaramonte Editore, Torino, 2003),
basato su scritti e ricordi del padre Domenico; Palermo 1713 (Ilapalma,
Palermo, 2004) sul censimento di Palermo; Parabola di una rivoluzione.
Giovanni Maria Angioy tra Sardegna e Piemonte (Fondazione Istituto Storico
Giuseppe Siotto, Cagliari, 2008), raccolta di documenti sui moti in Sardegna
fra il 1793 ed il 1796.
Ha inoltre
pubblicato Piemontesi in Sicilia. La lunga marcia del Conte Maffei (Studi
Piemontesi, novembre 1999, vol. XXVIII, fasc.2), L’assedio di Messina:
Luglio-Settembre 1718 (Studi Piemontesi, dicembre 2003, vol.XXXII,
fasc.2),Siciliani al servizio del Regno di Sardegna nel XVIII secolo (Studi
Piemontesi, novembre 2000, vol. XXIX, fasc. 2), Il ruolo della nobiltà
piemontese nelle campagne di guerra 1703-1706 (Memorie ed attualità
dell’Assedio di Torino del 1706 tra spirito europeo ed identità regionale. Atti
del convegno, Torino 29 e 30 settembre 2006, edito dal Centro Studi Piemontesi,
Torino, 2006), La cripta della basilica Mauriziana di Torino, cappella
dell’Immacolata Concezione di Maria Santissima (Studi Piemontesi, dicembre
2007, vol. XXXVI, fasc.2), Scorci di guerra in Sicilia, luglio 1718-maggio
1720(Archivio Storico Siciliano, Serie IV, Vol. XXX, 2004 Palermo), La
nobiltà Italiana nella seconda guerra mondiale(UNI.VO.CA. Quaderno del
volontariato culturale. n. 2, aprile 2002 Torino), Siciliani alla corte
piemontese nel 700. Don Emanuele Valguarnera (Spiragli, anno XIX, 2007,
Palermo).
Altri suoi
lavori sono reperibili on line sul sito della Società Italiana di Studi
Araldici (www.socistara.it),
nella rubrica “Studi”:
- I Sardi di
Vittorio Emanuele I e Carlo Felice (anno 2005); Vittorio Amedeo II: un anno in
Sicilia (anno 2005); Grandi di Spagna Italiani (anno 2006); I viaggi in Sicilia
di Ferdinando II nel 1838 (anno 2006); Ordine in cui intervennero li bracci del
Parlamento stabilito in Messina nell’anno 1639 (anno 2006);
e nel
notiziario “Sul Tutto”:
- Principe di
Butera, primo titolo del Regno (n.0, anno 2005); I Reggio, principi di
Campofiorito (n.3, anno 2005); Nota sulle famiglie nobili ammesse all’officio
di Senatori ed altre della città di Trapani (n. 6, anno 2006); I principi di
Cassaro, Castelli, principi di Torremuzza e marchesi di Motta d’Affermo (n.7,
anno 2006); Cavalieri dell’Ordine della Santissima Annunziata Siciliani nel
Settecento (n.8, anno 2006); Ricordo del soggiorno della Corte Imperiale Russa
a Palermo (n.9, anno 2007).
Nel cuore della provincia palermitana a San Giuseppe Jato (fino a metà Ottocento denominato San Giuseppe dei Mortilli) nasceva il 20 settembre 1875 una singolare e tutta da riscoprire figura di colto diplomatico, storico e scienziato della politica: Antonino D’Alia.
Figlio del dottor Marco (il medico dei
poveri generosa personalità dell’Ottocento jatino cui il Comune ha dedicato una
via cittadina) e di Donna Giuseppina Riccobono (della cui famiglia fece parte
il celebre storico e teorico del diritto romano il professore Salvatore
Riccobono che sposò la sorella di Antonino, Francesca, e che fu anche Rettore
dell'Ateneo Palermitano, Accademico d’Italia e Presidente della Provincia di
Palermo negli anni Trenta), Antonino D’Alia ebbe ben altri otto fratelli e
sorelle. Dopo gli studi liceali conseguì la laurea in giurisprudenza presso
l’Università di Genova il 26 novembre 1899. Con Decreto Ministeriale del 15
novembre 1902, dopo un esame di concorso, nominato applicato volontario nella
carriera consolare è destinato ad Alessandria.
Vice console a San Paolo del Brasile nel
1904, l’anno seguente venne trasferito a Barcellona e nel 1906 a Smirne. Con
Regio Decreto 5 agosto 1907 fu promosso Vice Console di prima classe. Dal 1914
venne trasferito a La Canea.
Richiamato sotto le armi prestò servizio
al Ministero degli Esteri e poi alla presidenza del Consiglio dei Ministri.
Divenne quindi capo dell’Ufficio Politico presso il Governatorato della
Dalmazia dal novembre 1918 all’aprile 1919.
Nominato console Generale il 19 gennaio
1923 e Consigliere di Legazione nel 1924, in questi anni fu a Bruxelles e a
Francoforte sul Meno.
Inviato straordinario e Ministro
Plenipotenziario, fu destinato nel 1925 a Montevideo. Per l’intesa e
qualificata attività diplomatica venne insignito dei più alti gradi delle
decorazioni di Stato: il re Vittorio Emanuele III, con un motu proprio, gli conferisce il grado di commendatore dell’Ordine
dei SS. Maurizio e Lazzaro e di Grande Ufficiale dell’Ordine della Corona
d’Italia. Molte le decorazioni concesse da stati esteri. Per l’opera prestata
in occasione del terremoto del 28 dicembre 1908 in Calabria e Sicilia fu
decorato con medaglia d’argento. Il 20 aprile 1904 sposò a Palermo Maria Pitrè,
figlia del celebre antropologo e folklorista professore Giuseppe Pitrè. In
occasione delle nozze della figlia, il Pitrè le dedicò Studi di leggende popolari siciliane definendo
l’avvocato Antonino D’Alia «uno dei più colti vice consoli d’Italia». Una
piccola gemma bibliografica, a questo proposito, è un mio
"rinvenimento": in occasione delle nozze D’Alia Pitrè (20 aprile
1904) Maria Pizzuto Amico (la madre dello scrittore Antonio Pizzuto), farà dono
a Maria e a Nino, di una delicata raccolta di versi di chiara matrice
petrarchesca con echi leopardiani Canti
dell'anima, pubblicati a Palermo dalla tip. C. Sciarrino già Puccio, nello
stesso 1904. Sono diciassette liriche accompagnata da una nota a Maria mia, in cui ira l'altro Maria
Pizzuto Amico annota: «Sei stata la gioia del padre tuo, il desio delle amiche,
che oggi a profusione sfogliano il tuo candido velo dai lattei fiori
dell'arancio, e ti circondano amorose; e t'invocano una felicità duratura,
quale meriti tu, così buona e gentile (...). Accetta questi poveri versi, che
ho voluto raccogliere per le tue nozze; essi esprimono i sentimenti dell'anima
mia ove anche tu hai tanta parte! Tu ed il tuo Nino graditeli con i più felici
auguri da me, da Giovannino mio dai bambini miei; e Dio vi prosperi ora e
sempre! Maria tua».
Da quel matrimonio nacque il 29 gennaio
1905, a San Paolo del Brasile, l’unica loro figlia Giuseppina, spentasi a Roma
il 24 dicembre del 1977, che dedicò l’intera sua esistenza alla memoria del
nonno Pitrè e del padre.
Nel 1967 Giuseppina D’Alia donò al Museo
Etnografico Siciliano Pitrè di Palermo molti importanti cimeli dei due
personaggi (il museo fu fondato dallo stesso Pitrè nel 1909 in un ex convento
cittadino e dal 1934 trasferito dal direttore e discepolo Giuseppe Cocchiara
alla Palazzina Cinese).
Tramite della donazione fu il valoroso
professore Gaetano Falzone, allora direttore.
Nella biblioteca del Museo, sistemata a Villa
Niscemi, abbiamo trovato un inedito manoscritto sulla vita e le opere di Pitrè
opera di Maria, poi meritoriamente pubblicato sulla rivista etnostorica di Aurelio
Rigoli.
Ma queste note biografiche sarebbero
solo un doveroso riconoscimento all’attività di questo diplomatico siciliano e
parte della storia del paese natio se non intervenisse a sostegno di una
pubblica riscoperta la sua monumentale fatica di scrittore.
I filoni dell’opera approfondita del
D’Alia sono tre: quello più propriamente storico-geografico, quello biografico
e l’ampio interesse per la scienza politica.
Per ciò che riguarda le ricerche e
l’indagine storico-geopolitica, con implicanze metapolitiche e con l’occhio
costantemente rivolto alla diplomazia, Antonino D’Alia si dedica fin dal 1904
con un saggio su Il cotone e la sua
industria nello stato di San Paolo, cui fanno seguito numerosi volumi e
articoli su Francia, Spagna, Dalmazia, Balcania, Austria-Ungheria, Inghilterra,
Russia, Belgio (su questo stato un volume pubblicato a Bologna nel 1922 da
Zanichelli prefazionato da Vittorio Emanuele Orlando e intitolato Il Belgio nei
suoi vari aspetti e uno pubblicato a Bruxelles dall’editore Dewit nel 1923 La Belgique intellectuelle, economique,
politique).
Analisi e ricognizioni accurate su
queste nazioni, in cui il D’Alia tenta, riuscendovi, di coniugare la organica
sintesi dei vari popoli nascente da comuni tradizioni, usi, costumi (mettendo
a buon frutto la magistrale lezione del suocero Pitrè) ma anche modernamente
affrontando le problematiche legate alle relazioni comuni, a quelle con altri
stati, le vocazioni sociali, economiche (in particolare l’agricoltura e i
rapporti commerciali) e le esigenze della difesa. Sono di rilevante interesse,
in questo quadro, alcuni studi del D’Alia di sorprendente e perdurante
interesse: nel 1917, in piena guerra mondiale, D’Alia scrive, edito a Roma, un
volume su Le basi nazionali della nuova
Europa ed ancora dedicato al sogno dell’Europa delle Patrie (che De Gaulle
non aveva ancora teorizzato!) nel 1934 Confederazione
Europea. Sui rapporti euro-africani e sulla politica coloniale nel 1934
due saggi vengono accolti sulla «Rivista Coloniale» e sulla napoletana «Studi
Coloniali».
Mentre è del 1919 l’interesse critico ma
non demagogico, che D’Alia riserva al tramonto imperiale russo e al nuovo
bolscevismo, studio edito dal Ministero Esteri per la Delegazione italiana
della Pace a Parigi: La Russia: l'Impero -
la repubblica socialista - le nuove formazioni statali. Nella ricerca
bibliografica del D’Alia l’altra problematica che abbiamo prima indicato è
quella biografica. Si direbbe un interesse speculare, una sorta di riferimento
nel personaggio oggetto di indagine come pretesto di un rispecchiamento, come
esempio e ammaestramento. Possono così citarsi Il cardinale Richelieu e lo spirito egemonico francese pubblicato
sulla «Nuova Antologia» (volume 347, 1930); Leggendo la grande sintesi di Pietro Uboldi in «Verità», 1938; Giuseppe Avezzana nel Risorgimento italiano
del 1940, Ludovico Manin, ultimo doge di
Venezia sempre del 1940, pubblicato dalla Società Editrice del Libro
Italiano a Roma, frutto di frequentazione amicale con la famiglia Manin e con
il loro archivio-biblioteca, corredato da preziose tavole genealogiche, e
infine Napoleone nel giudizio di contemporanei
e posteri, Roma, 1942. Questi profili e la scelta dei personaggi sono
oggetto di riflessione dell’ultimo quindicennio di vita del D’Alia, conclusa
la carriera diplomatica.
Terzo filone degli studi di Antonino D’Alia
è la scienza politica. Numerosi gli articoli e saggi fra cui La teoria dei contrari e del giusto mezzo («Verità», 1939), Le tre verticali della terra («Verità»,
1942); ma di somma importanza sono Popoli
e paesi nella storia dell’umanità, Saggio di scienza politica (740 pagine
in ottavo edita da Treves a Roma nel 1932); e due tomi del 1938, editi a Roma
da Cremonese, a cui D’Alia aveva dedicato molti anni di studio: Massime di arte e dì scienza politica
raccolta di massime e aforismi con ampia introduzione, sui più svariati temi e
problemi lumeggiati dai maggiori personaggi e interpreti della storia
dell’umanità, fino al fondamentale Scienza Politica in cui risalta e si
completa la fatica del pensatore jatino. Una sorta di storia dell’umanità, una
vera e propria storia universale in cui D’Alia, in questi tre ampi volumi, dà
prova non solo di erudizione ma anche di preveggenti proposte risolutive.
Alberto Lumbroso ne parla, ad esempio, con una puntuale recensione sul numero
16 del 1932 de «Il Marzocco», intitolata Sono
ancora possibili le storie universali?, giustamente accostando, la prima
delle tre fatiche dell’ «illustre diplomatico» D’Alia, al grande filone che da
Erodoto e Polibio fino a Bossuet, Rollili, Herder, Oucken, Hanotaux arriva al
Cantù «con un ardore e una fede degni di Ludovico Antonio Muratori». Al volume
del 1932 il Lumbroso assegna un ruolo di «guida culturale da Vedemecum soltanto
agli Uomini di Stato ed ai Diplomatici di pubblico esiguo per quanto scelto,
cui si aggiungeranno tutti i lettori che s’interessano alla politica come
scienza, e alla storia come guida dell’uomo di stato, del Ministero degli
Esteri, dell’Ambasciatore, di tutti coloro che si sobbarcano all’arduo compito
di dirigere la politica estera della loro patria». Il primato della storia, e
non della semplice innovazione senza radici, è ben presente in D’Alia che
unisce metodo critico a metodo volgarizzatore «una scienza difficile e
complessa com’è quella investigata dagli uomini politici» da distinguersi bene
da «quelli che fanno e vivono della politica» o «politicanti», che non han
diritto all’etichetta di «scienziati». Un’opera riuscita e poderosa, come
sottolinea ancora il Lumbroso, un «monumentale e classico libro» di cui si
occuperà, anche riferendosi a questa recensione citata, Antonio Gramsci nei
suoi Quaderni dal carcere (Einaudi,
Torino, 1975, p.l 150). Se in questi tre volumi ve la sicura e compiuta
esposizione dell’idea di scienza del D’Alia, bisognerà pure accennare ad
un’altra opera originale del Nostro: L’amore
nel secolo ventesimo - cause ed effetti della sua decadenza, pubblicata a
Roma nel 1942 che sarà anche il suo ultimo libro. Morirà, infatti, nella
capitale il 13 settembre 1944 nella sua casa di Via Basento.Le ricerche già
compiute, come una tesi di laurea recentemente discussa e il volume su La formazione della diplomazia nazionale
(1861-1915) - Repertorio biobibliografico
dei funzionari del Ministero degli Affari Esteri, curato dal Dipartimento
di scienze storiche e sociali dell’Università degli studi di Lecce (edito a
Roma nel 1987 dall’Istituto poligrafico e zecca dello Stato), possono
rappresentare l’inizio di un auspicabile e corposo approfondimento critico
della vita e soprattutto dell’opera del D’Alia e la necessaria ripubblicazione
delle sue maggiori fatiche. (Tommaso
Romano)
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