[Sulla
scia del successo del suo ultimo libro Nobiltà ed élites tradizionali
analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana (Marzorati,
Milano, 1993), il prof. Plinio Corrêa de Oliveira rilasciò la
seguente intervista al mensile francese Le Nouvel Aperçu. Tratto da Tradizione
Famiglia Proprietà, anno 1, n° 1, marzo 1995.]
Perché
ha scelto la nobiltà come tema per la sua opera?
Attualmente
mi sembra che l’atteggiamento dell’opinione pubblica sulla nobiltà sia molto
meno influenzato dagli errori della Rivoluzione francese di quanto non fosse
fino a poco tempo fa.
Infatti
oggi si può ben vedere, man mano che il tempo passa, che gli errori della
Rivoluzione del 1789 vanno invecchiando e perdendo influenza. Ciò non significa
che tale influenza sia piccola, ma è minore di un tempo, e tende a diminuire
sempre di più. Nel momento di questa transizione storica, è interessante trattare
della questione della nobiltà, che era al centro di tutte le riflessioni, di
tutte le agitazioni e perfino di quasi tutti i crimini della Rivoluzione
francese.
Quale
ruolo attribuisce alla nobiltà nei nostri giorni?
Non
si tratta propriamente di attribuire un ruolo alla nobiltà, ma di riconoscere
questo ruolo nel panorama oggettivo della realtà contemporanea. La nobiltà
ancora esiste, i suoi titoli ancora si usano, i suoi esponenti sono ancora
frequentemente oggetto di speciale considerazione. E perfino, come ho poc’anzi
detto, in molti ambienti il prestigio della nobiltà sta crescendo.
Orbene,
in cosa consiste il ruolo della nobiltà nei nostri giorni?
Certo,
non è più il ruolo che essa svolgeva anticamente, cioè quello di partecipare in
qualche modo alla direzione dello Stato, sia mediante il governo dei territori
nei quali quella classe esercitava un potere feudale, sia attraverso certe
attività di importanza fondamentale nello Stato e nella società.
Infatti,
la nobiltà una volta, in quanto classe eminentemente militare, contribuiva al
reclutamento e alla formazione della classe degli ufficiali di ogni paese. La
quasi totalità degli ufficiali era nobile. Alcune alte funzioni, come quelle di
diplomatico e di magistrato, erano, in larga misura, pure esercitate dai
nobili, il che caratterizzava pertanto la nobiltà come una classe molto
potente.
L’opinione
pubblica di quel tempo, non massificata dai mezzi di comunicazione sociale e da
tutte le conseguenze provocate dalla Rivoluzione Industriale, possedeva in
grado eminente la coscienza dell’importanza e della rispettabilità di ciascuno
dei compiti svolti dalla nobiltà. Ragioni per cui si tributava a questa classe
sociale un rispetto del tutto speciale.
Con
la Rivoluzione francese, tutto questo mutò. Il falso dogma rivoluzionario in
base al quale la suprema norma della giustizia, in materia di relazioni umane,
consiste nell’uguaglianza assoluta fra gli uomini, fu accettato come vero da
innumerevoli persone. La pressione ugualitaria della Rivoluzione provocò,
quindi, sullo Stato e sulla società, effetti immediati e non raramente
violenti, alla pari degli effetti graduali causati più dalla propaganda che
dalla forza. Così, in numerosi Stati, l’ugualitarismo politico condusse a colpi
di stato, che ebbero come effetto la sostituzione delle monarchie con le
repubbliche, con la conseguente abolizione delle funzioni politiche della
nobiltà.
In
altri Stati, l’ugualitarismo progredì mediante un lento sgretolamento del
potere politico dei monarchi e degli aristocratici, riducendoli ad una mera
figura simbolica o quasi, come nel caso del re di Svezia e della Camera dei
Lord in Inghilterra.
E
nel campo sociale?
A
tale decadenza politica seguì naturalmente una certa decadenza sociale, poiché
l’esercizio del potere costituisce, di per se stesso, una fonte di prestigio
sociale. Ma in questo campo le trasformazioni più importanti si dovettero a
fattori scientifici ed economici. Il progresso accelerato delle scienze,
iniziato alla fine del secolo XVIII e proseguito più o meno fino ai nostri
giorni, favorì l’apparire di nuove tecniche, applicabili ai più vari campi del
vivere umano. Conseguentemente, le tecniche di produzione agricola e di
allevamento del bestiame, le industrie, l’avvento dei nuovi mezzi di
comunicazione, di trasporto e via dicendo, influenzarono a fondo i costumi
sociali.
Non
solo i costumi, ma le stesse strutture sociali, poiché la scoperta di un nuovo
metodo di produzione, così come l’invenzione di un nuovo rimedio per debellare
alcune malattie, possono essere considerate da un popolo come avvenimenti più
importanti di una vittoria militare. Così, l’invenzione dell’aereo o del
telefono ebbero più importanza per gli Stati Uniti ed il mondo che molte
celebri battaglie dei secoli XIX e XX.
Si
aggiunga l’esercizio di professioni a volte molto lucrose, magari anche più
rischiose, come quella di carattere strettamente finanziario, e si avrà un
quadro del formidabile cambiamento che si determinò: da una economia a base
strettamente immobiliare e, in modo speciale rurale, si passò ad un’altra
soprattutto urbana, finanziaria, industriale e commerciale. E si vedrà che le
attività professionali che una volta conferivano ricchezza e prestigio, furono
relegate in secondo piano, a vantaggio delle nuove, che vennero a trovarsi ora
in primo piano.
Di
conseguenza la nobiltà, con tutto il suo inestimabile capitale di principii, di
tradizioni, di stili di vita e di modi di essere, perse in molti luoghi buona
parte della sua influenza, il che andò provocando un crudele danno nei
confronti delle altre classi sociali, che passarono a vivere sotto l’influenza
criticabile e a volte perfino ridicola dei nuovi ricchi.
Pio
XII fa appello alla nobiltà perché utilizzi tutti i mezzi che le restano —
senza disprezzarne nessuno — per controbilanciare queste conseguenze dannose.
Il pontefice spera che essa lo faccia in un nobile sentimento di preservazione
e di elevazione religiosa, morale e culturale, a beneficio di se stessa, come
pure delle altre classi sociali, dal più modesto proletariato fino al culmine
dei neo-nababbi.
Duecento
anni dopo la Rivoluzione del 1789, Lei pensa che la società francese possa
ancora attendersi qualcosa dalla nobiltà?
Senz’altro.
La storia ci insegna che le aristocrazie si vengono a costituire in condizioni
tali che consentono loro di perpetuarsi a lungo nel tempo. Duecento anni! Cosa
sono per la nobiltà francese, di cui certe famiglie sono talmente antiche che
la loro origine, secondo l’espressione consacrata, "si perde nella notte
dei tempi"?
La
condizione nobiliare non è fatta per avere la durata di una vita individuale,
al contrario di ciò che avviene per i singoli e per le famiglie nelle società
di carattere democratico, nelle quali, del resto, un uomo celebre può
frequentemente scomparire anche prima di morire. La condizione nobiliare è
fatta per avere la durata di una famiglia. E la famiglia, ereditaria per
definizione, è fatta per durare secoli e secoli senza usura; anzi, essa finisce
col valorizzarsi nel tempo.
Si
potrebbe obbiettare che la sua domanda non si riferisce tanto alla mera durata
del tempo, quanto all’usura conseguente agli avvenimenti storici dei due ultimi
secoli inaugurati dalla Rivoluzione francese. E ci si potrebbe domandare se la
nobiltà, dopo aver subito due secoli di rivoluzione così violentemente
anti-nobiliare, non sia ormai tanto obsoleta da non avere più alcun servizio da
rendere alla nazione. La storia della Francia, persino quella repubblicana,
fornisce innumerevoli esempi del contrario: ci sono state personalità eminenti,
che hanno reso servizi importanti al paese, nei campi più variati dell'attività
pubblica.
Lei
commenta le allocuzioni di Pio XII, ma non si potrebbe ritenere che dopo la
politica conciliante nei confronti della repubblica liberale (il Ralliement)
promosso da Leone XIII, la Chiesa abbia definitivamente optato per il popolo e
che il ruolo della nobiltà e delle élites tradizionali sia stato relegato al
passato?
La
sua domanda presuppone due affermazioni che non condivido. La prima è che
possa esserci una contraddizione fra l'insegnamento di due papi, Pio XII e
Leone XIII. Inoltre, se si ammette, argumentandi gratiae, che una tale
contraddizione esiste, non vedo perché non si possa scegliere, in tutta
libertà, gli insegnamenti di Pio XII anziché quelli di Leone XIII.
Si
può comprendere che in Europa i discendenti dei nobili di un tempo abbiano
ancora un ruolo da compiere, ma che valore ha la sua "opzione
preferenziale per i nobili" in paesi quali gli Stati Uniti, che mai hanno
conosciuto una nobiltà e dove il supremo valore di riferimento è il
denaro?
Se
la ricchezza è certamente un elemento che permette di acquisire uno status
sociale, gli studi sociologici più recenti ci dimostrano che non è
sufficiente per diventare membro a pieno titolo dell'alta società americana.
Questo
concetto di alta società basato esclusivamente sulla ricchezza fa parte di un
mito liberale che si è diffuso nella coscienza popolare a partire dal
secolo scorso per mezzo di opere come Democrazia in America del
nobile francese Alexis de Tocqueville. Questo mito è stato ugualmente
confutato da studi recenti, in quanto i sociologi ci hanno dimostrato che negli
Stati Uniti si è formata una società non meno gerarchizzata che in Europa.
Non vi sono titoli nobiliari; tuttavia, come in Europa, la tradizione familiare
ha un ruolo predominante per assurgere a membro dell'alta società.
In
assenza di titoli nobiliari, le famiglie più antiche delle diverse città e
stati vengono chiamate con espressioni che mettono in rilievo la tradizione e
la continuità. Così troveremo i Proper San Franciscans, i Proper
Philadelphians, i Genteel Charlestonians, le First Families of
Virginia, i California Dons (allusione alle famiglie discendenti
dell'antica aristocrazia spagnola), i Boston Brahmins, e via
dicendo. Molte di queste famiglie conservano ancora i loro palazzi e ville
patriarcali.
Se
osserviamo più attentamente la società americana arriviamo alla conclusione che
gli Stati Uniti non sono guidati dalle masse ma dalle èlites, nuove e
tradizionali. Queste ultime sono organizzate in associazioni ereditarie. Le
famiglie dei nuovi ricchi, le quali dopo alcune generazioni riescono ad
accedervi, devono innanzitutto impegnarsi a non ostentare sfacciatamente la
loro ricchezza di fronte agli aristocratici, a volte impoveriti, e a rispetarne
le tradizioni.
La
più importante di queste società ereditarie è forse quella dei Cincinnati,
per appartenere alla quale è necessario discendere da un ufficiale,
americano o francese, che abbia lottato per almeno tre anni nella guerra
d'Indipendenza o vi abbia preso parte fino alla fine; inoltre in alcuni stati
può farne parte un solo membro per ogni famiglia qualificata. Questa società
risale al 1783 e deve il suo nome a Quinto Cincinnato, il famoso condottiero
romano che abbandonava il suo aratro per assumere il comando dell'esercito nei
momenti di grave pericolo. I membri dell'associazione vollero stabilire nel
paese un'autentica nobiltà militare ereditaria, e come protettore venne scelto
il re Luigi XVI.
Si
può affermare che tutti questi gruppi ereditari formano nell'alta società
americana una élite analoga alla nobiltà titolata d'Europa.
E
quali sono secondo Lei queste "élites tradizionali analoghe" alla
nobiltà nella Francia odierna?
La
delimitazione delle diverse classi in una società è un compito sempre
delicato e soggetto a innumerevoli contestazioni. Per quanto riguarda l'Ancien
régime, e specificamente in Francia, il pubblico in genere ha l'impressione che
le classi sociali — clero, nobiltà e popolo — si distinguevano così
nettamente come le linee di frontiera fra i paesi europei o americani. È
un errore. Innanzitutto bisogna precisare che la nobiltà era ben lungi dal
configurarsi come un corpo assolutamente omogeneo. C'erano diversi tipi di
nobiltà: la nobiltà di spada, quella di toga e altre ancora, per finire forse
con quella di campanile.
Certi
storici parlano di più di cinque classi di nobiltà in Francia. E anche così i
confini fra queste classi sono sovente imprecisi. Inoltre era facile che una
famiglia passase da una classe all'altra: bastava un decreto reale che elevasse
una famiglia di condizione plebea alla nobiltà, o una decisione del Re o della
Giustizia che degradasse qualcuno dalla condizione di nobile a quella di
plebeo. Ciò poteva accadere, per esempio, in seguito a un crimine, specialmente
se si trattava di un crimine contro lo Stato come l'alto tradimento.
In
una società come la nostra, in cui i principii ugualitari — "libertà,
uguaglianza e fraternità" hanno contribuito a formare la struttura dello
Stato e anche quella della società, questa delimitazione diventa ancora più
difficile.
Comunque
proverò a darne qualche nozione. L'élite di un popolo è costituita dagli
elementi — singoli o famiglie — che hanno nelle loro mani le leve dello Stato e
della società. In una democrazia, le élites sono essenzialmente mobili
ed è molto difficile che una famiglia possa assicurarsi una durata
sufficiente da potersi qualificare come tradizionale.
La
nostra società ha voluto essere una società aperta, alla maniera di un corso
d'acqua abbastanza profondo che riceve senza inconvenienti tutti i corsi
d'acqua minori che vanno ad alimentarlo lungo il percorso. Ciò che ha voluto,
la nostra società lo ha avuto. Essa assomiglia appunto a un fiume che accoglie
senza discriminazione tutti i suoi affluenti. Ma questo flusso indiscriminato
aumenta talmente il volume della massa liquida, con acque a volte cristalline e
a volte inquinate, fino a causare straripamenti, inondazioni e inconvenienti di
ogni tipo. Allora è il trionfo dell'arrivismo, di una certa concezione
opportunista dell'UGUAGLIANZA. Il denaro stabilisce la sua dittatura sia
utilizzando le astuzie e gli intrighi politici, sia mettendosi al loro
servizio.
Tutto
ciò forma un insieme di circostanze che, aggiunte alla terribile corruzione dei
costumi (vigorosamente servita da una certa concezione della LIBERTA'), produce
come risultato complessivo un'agitazione fatta di rivalità a tutti i livelli,
dai più piccoli comuni fino alla nazione intera. Cioè, neanche l'ombra di
quella FRATERNITA' laica e inconsistente che i sognatori del 1789 vollero
sostituire alla carità cristiana.
Non
c'è più il tradizionale desiderio di buoni figli che aspirino ad essere i
continuatori dei loro buoni genitori, come gli anelli ultimi di una catena
tanto forte quanto antica: tutto ciò è sparito con l'agonia delle
tradizioni.
Tuttavia,
pur nel bel mezzo di questa nebbia confusa e inquinata si possono costituire
élites nuove ed antiche dopo aver superato una serie di ostacoli. Il
fenomeno è più frequente di quanto lascino capire la gran parte dei
moderni media. Nel mio libro Nobiltà ed élites tradizionali analoghe,
recentemente pubblicato negli Stati Uniti dalla Hamilton Press, Lei troverà
un'appendice, densa di informazioni ed analisi, sulle élites tradizionali negli
Stati Uniti. A proposito di quel paese, la cui importanza nel mondo
contemporaneo è impossibile negare, ecco alcuni punti affrontati in quella
appendice: - Gli Stati Uniti non sono guidati dalla massa ma dalle élite nuove
e tradizionali; - Le élites tradizionali oggi: una realtà sana, viva e
fiorente; - Il lignaggio: nessun altro criterio, neanche la fortuna, è
così determinante per conferire uno status sociale; - L'eredità dello status
sociale negli Stati Uniti; - Gli avvenimenti dell'alta società americana, il
ballo delle debuttanti; - L'organizzazione delle élites tradizionali nei nostri
giorni; - Le associazioni ereditarie negli Stati Uniti; - Le rigorose
condizioni per l'ammissione di nuovi ricchi nell'alta società, e via di
seguito.
Quali
sono quelle élites nella Francia odierna? Come differenziarle fra loro?
Anzitutto bisogna dire che certamente queste élitesesistono, ma che le leggi ed
i costumi in vigore hanno potentemente contribuito ad impedire che balzassero
agli occhi della nazione. Perciò è quasi impossibile presentare una lista delle
famiglie costitutive della élite francese, cosa che del resto si può dire
pressoché per tutti i popoli moderni.
Questa
analisi sulle élites analoghe non vale invece per la nobiltà. Ecco quello che
risponderei alla sua domanda.
Qui,
come sicuramente Lei sa, va di moda far riferimento al populismo come
ancora di salvezza, cioè si ritiene che la crisi della società
contemporanea dipenda da un'eccessiva importanza attribuita alle élites e che
la soluzione stia nel rivalorizzare l'uomo della strada? Che ne pensa?
Certamente
fa parte della missione dello Stato e della società l'attenzione dovuta ai
diritti di quella massa umana che qualifichiamo come "uomini della
strada". Si tratta di uno degli obblighi prioritari dell'uno e dell'altra.
Tuttavia
la sua domanda riflette una posizione strettamente ugualitaria, che considera i
diritti del popolo — chiamato nel linguaggio pittoresco del Medioevo "il
Popolino di Dio", oggi trasformatosi in massa — a tal punto prevalenti da
non lasciare posto a nessun'altra classe. Ora, la esistenza di élites
costituisce un fattore che, per se stesso, risponde a diverse necessità
legittime e fondamentali del popolo. Da notare però che dico "popolo"
e non "massa". Tenendo presente i concetti di "popolo" e di
"massa" così come furono luminosamente spiegati da Papa Pio XII, si
comprende subito e senza sforzo il ruolo delle élites:
"Popolo
o moltitudine amorfa o, come si usa dire, massa, sono due concetti diversi.
1.
"Il popolo vive e si muove per vita propria; la massa è per sè inerte, e
non può essere mossa che dal di fuori;
2.
"Il popolo vive della pienezza di vita degli uomini che lo compongono,
ciascuno dei quali — al proprio posto e nel proprio modo — è una persona
consapevole delle sue responsabilità e delle sue convinzioni. La massa, invece,
aspetta l'impulso dal di fuori, facile trastullo nelle mani di chiunque ne
sfrutti gl'istinti o le impressioni, pronta a seguire, a volta a volta, oggi
questa, domani quell'altra bandiera.
3.
"Dalla esuberanza di vita di un vero popolo la vita si effonde,
abbondante, ricca, nello Stato e in tutti suoi organi, infondendo in essi, con
vigore incessantemente rinnovato, la consapevolezza della propria
responsabilità, il vero senso del bene comune. Della forza elementare della
massa, abilmente maneggiata ed usata, può pure servirsi lo Stato; nelle mani
ambiziose d'una sola persona o più persone, che le tendenze egoistiche abbiano
artificiosamente raggruppate, lo Stato stesso può, con l'appoggio della massa
ridotta a non essere più che una semplice macchina, imporre il suo arbitrio
alla parte migliore del vero popolo: l'interesse comune ne resta gravemente e
per lungo tempo menomato e la ferita è ben spesso difficilmente
rimarginabile".
La
complementarietà e l'interdipendenza fra le élitese le altre classi sociali da
una parte, e una concezione ricca e duttile del bene comune dall'altra, sono a
smentire certi pressuposti della sua domanda e allo stesso tempo le forniscono
una valida risposta.
Dopo
il crollo del muro di Berlino si assiste prima alla scomparsa dell'ancien
régime comunista e dopo al ritorno dei comunisti con le elezioni in diversi
paesi. C'è una situazione generalizzata di caos. Lei pensa che gli antichi
"apparatchik" formano oggi una élite in questi paesi? Nella
prospettiva del vostro libro, c'è una soluzione al caos? Oppure non resta che
fare affidamento su una massa e una nomenklatura modellate da oltre 70 anni di
comunismo?
In
questa prospettiva non c'è soluzione. Il caos è realmente il triste epilogo
delle diverse evoluzioni subite dal mondo comunista.
Dove
andrà a finire tutto questo caos?
Ecco
un problema molto diverso. La storia ci presenta parecchi casi di situazioni
caotiche che finiscono con la liquidazione delle stesse componenti del caos e,
a partire da ciò, con la formazione di nuove situazioni, alcune delle quali
straordinariamente positive. Tuttavia, è più frequente andare incontro a
destini miserevoli, tristi e infelici. Si tratta di popoli "seduti
sull'orlo della morte", metaforicamente parlando.
Ciò
è accaduto all'antico Egitto, alla Grecia dominata da Roma, all'India prima
delle grandi navigazioni occidentali. Ed anche a quasi tutti i popoli
dell'Oriente e dell'Asia.
Un
probante esempio in senso inverso fu l'uscita dal caos in cui era piombato il
territorio di quello che una volta fu l'Impero romano d'occidente, con
l'invasione dei barbari. Era un vero e proprio caos, che tuttavia non si
generalizzò a tutti i livelli. Mentre le autorità romane abbandonavano le loro
funzioni e si davano a vergognosa fuga davanti all'avanzata dei barbari, le
autorità ecclesiastiche, al contrario, rimanevano sul posto.
Frequentemente
a rischio della vita, cominciarono ad impartire una formazione morale a questi
popoli barbari che, più di una volta, mostravano notevoli tratti di innocenza e
di rettitudine morale.
La
Chiesa mantenne e promosse tutto quanto trovò di positivo nella moralità
primitiva dei barbari, combattendo ciò che era censurabile e che costituiva un
ulteriore fattore di caos; da questo amalgama, vivificato dalla forza
generatrice del Vangelo, nacque il Medioevo, da cui a sua volta germinò la
civiltà cristiana occidentale.
Naturalmente,
sarebbe errato supporre che il caos generò da solo tutto quanto ci fu di
positivo nei secoli successivi al Medioevo. Infatti, le masse barbare trovarono
nell'antico territorio romano fattori incomparabili di organizzazione, di
ordine, di strutturazione culturale e sociale, cioè il fermento del Vangelo
capace di generare a nuova vita qualsiasi popolo. Fu il valore morale del clero
che produsse il Medioevo.
Per
quanto se ne sa, in tutto il mondo ex-sovietico non si notano questi fattori.
La chiesa greco-scismatica, chiamata anche"ortodossa", non può essere
considerata puramente e semplicemente come una valida erede della Chiesa
cattolica, di cui anzi è, sotto vari punti di vista, sua oppositrice.
È noto
che durante il periodo della dominazione comunista il clero di questa Chiesa,
dominato dalle dottrine "ortodosse" cesaropapiste che mettevano
l'organizzazione ecclesiastica sotto la direzione dello zar, si è ritenuto
obbligato a prestare ubbidienza a Lenin e ai suoi successori, così come prima
ubbidiva agli imperatori.
Invece
di diventare un fattore di rigenerazione e di lotta contro il comunismo, questo
clero si associò al regime allo scopo di sopravvivere. Quel che fece nascere il
Medioevo fu esattamente la disposizione dei sacerdoti a morire anziché cedere
terreno di fronte alla barbarie.
Come
sia, la Chiesa greco-scismatica non può essere ritenuta un fattore sufficiente
alla rigenerazione dei popoli ex-sovietici. D'altra parte, la penetrazione
della Chiesa cattolica in quei territori è molto limitata per una serie di
circostanze delle quali l'Occidente non ha che un'idea imprecisa.
Infine,
un numero ragguardevole di cattolici che si avventurano nel mondo ex-sovietico
sono quasi sempre influenzati da correnti moderniste, provenienti da un
Occidente in cui la crisi della Chiesa cattolica, dovuta proprio a certo clero
di matrice progressista, causa sbandamenti che conosciamo bene e che tutti
deploriamo.
Sembra
che gli esponenti di queste correnti non siano in alcun modo capaci di
un'azione rigeneratrice. Da dove allora attenderci una soluzione? Da qualche
individuo ben intenzionato e specialmente benedetto da Dio? Loro, e solo loro
potranno, con l'appoggio di Roma, risollevare le sorti dell'ex-mondo comunista,
"colosso" ormai in disfacimento.
Ma
esistono questi individui nel mondo ex-sovietico? Credo di sì; ma in numero
talmente esiguo da doverli cercare col lanternino e pregare per loro aiutandoli
in tutta la misura del possibile.
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